Ho paura che di Celestino per un po’ non ci libereremo. Anzi, non se ne libererà quel gentiluomo di Paolo Gentiloni. Del resto chi abbandonerebbe una casa di villeggiatura dove si è serviti e riveriti? E’ del 1942 l’esilarante romanzo epistolare/sceneggiatura di Achille Campanile: Celestino e la famiglia Gentilissimi. Posto che stare al governo per qualcuno è come stare in villeggiatura e considerato che l’ospitalità può essere squisita, come quella dei conti Gentilissimi, gli scrocconi alias Celestino possono chiamarsi Matteo, Valeria, Elena, Marianna, Andrea, Angelino, Roberta, Giuliano, Beatrice… Con o senza portafoglio, che importanza fa quando è tutto gratuito?

La storia, simile solo per assonanza del titolo e per contenuto comportamentale, va all’uopo riscritta ed è questa: il conte Gentiloni-Gentilissimi ha ereditato il palazzo insieme ai suoi ospiti. Frastornato dalla fortuna inaspettata, è entrato in punta di piedi, timoroso di disturbare gli ospiti che stavano banchettando a sbafo. In verità, il notaio gli ha sottoposto subito i conti disastrati della dimora, ma il conte ha avuto un’educazione pesante che l’ha privato della rudezza di metter lor signori alla porta. E’ stato soltanto capace di cambiare i posti a tavola. Si fa per dire, perché gli ospiti sono stati velocissimi ad accaparrarsi una sedia. Qualcuno è riuscito a riprendersi la sua, qualcun altro si è sistemato anche meglio.
Angelino è finito vicino ad una bellissima baronessa inglese e, non sapendo una parola di inglese, non fa che versarle vino e spiegare un sorriso da pesce lesso. Marianna lancia le sue perfide occhiate alla servitù, pronta a coglierla in flagrante per qualche errore di cerimoniale. Purtroppo non si è mai accorta che rubi il caffe e lo zucchero. Elena è stata la più veloce e c’è mancato poco che non occupasse il tronetto del conte. Comunque è così bella che a lei si perdona tutto; infatti Paolo le ha fatto posto vicino a lui. Andrea si riempie la bocca di ciò che è giusto, mentre Roberta infastidita gli rivolge uno sguardo obliquo, quasi volesse passarlo a fil di spada. Beatrice è terrorizzata di venir avvelenata con la tossina botulinica e si è portata la merenda da casa. Dispiega sul tavolo il suo fazzolettino bianco e rosso e con le piccole dita spilucca un panino di pura farina kamut, cotto dalla sua tata. Giuliano pontifica sul primo articolo della costituzione e Gentiloni chiosa: il lavoro nobilita l’uomo. Al che si sente strillare Valeria: “Vi dimenticate lo studio, cari signori!” Ma in quel momento entra il maggiordomo con un telegramma di Mattarella: “Si salvi chi può. In cucina hanno scoperto che avete comprato la laurea al mercato del pesce e quindi vi hanno servito pesce non pesce”. Svenimento delle dame che temono avvelenamenti, ad eccezione di Roberta che sta mandando un sms al capo delle forze armate. Angelino piange come un vitello, terrorizzato di essere scambiato per una scarpena e gettato nel forno. Si erge in piedi Giuliano: “Il pesce non pesce è un pesce d’aprile. Commestibilissimo: lo vendevamo anche alle Coop”. Tutti guardano Valeria e urlano all’unisono: “Maledetta maestra d’asilo! Non hai le carte in regola per governare!” Ma la rossa non si scompone e grida come una forsennata: “Ma chi è laureato qua dentro? Si tratta di mangiare, non di lavorare!”. Tutti cominciano a telefonare agli addetti stampa intimandogli di modificare subito le proprie biografie su Wikipedia.
A questo punto il conte si rende conto che dovrebbe far rivedere i conti della spesa e telefona a Pier Carlo di raggiungerlo seduta stante. Lo accompagna Dario, che ha un progetto strabiliante da presentare per sistemare la dispensa. Con la sua proverbiale pacatezza, Dario sillaba: “Attività culturali e turismo gastronomico”. Boato di assenso e applausi. Poi un attimo di smarrimento collettivo: “Ma sarà d’accordo Celestino?”
Ora possiamo svelarvi, se non lo aveste ancora capito, che il maggiordomo è nient’altri che Matteo, il deus ex machina di questo governo che ha costruito a termine. Prima o poi, prima dell’estate o prima dell’inverno, lor signori dovranno togliere le tende. Del resto un ospite è un ospite e non può essere ospitato per sempre. Il discorso non vale – ovviamente – per i poveri extracomunitari. Ma solo per chi ci governa.