Quando un personaggio pubblico muore, bisogna mettersi in guardia: la viltà, talvolta, sempre la retorica sono in agguato. Di Gian Roberto Casaleggio, un osservatore che volesse essere sincero e, perciò, rispettoso dell’uomo che ci lascia, potrebbe rilevare un carattere più di altri suo: era un uomo lontano. Non tanto, o non solo, per la sua ritrosia ad apparire in pubblico. Giacché, se non è stato certo il front-man Grillo, che si propone nelle forme eterne dell’agorà, della plastica e fisica esibizione di sé: voce volto corpo movimento, era però senz’altro divenuto noto non meno del primo. Ma la sua visibilità era quella di un’icona sullo schermo: fissa, discreta e indispensabile.
Tuttavia, per quanto le suggestioni simboliche siano potenti, Gian Roberto Casaleggio era un uomo. Nonostante l’assidua fede digitale e informatica; nonostante la sua pronosticata dissolvenza della vita fin lì vissuta sul pianeta, anno 2054, in una dimensione di conoscenza che si voleva pacificata, asettica e costantemente rigeneratrice; nonostante in Gaia – un gioco, ma forse no, come giocando e non giocando diceva – lo spazio e il tempo fossero acquietati all’ombra della rete. Era un uomo, ed era un italiano.
Un italiano, se decide di occuparsi della comunità in cui vive, vale a dire, di “fare politica”, trova un terreno già dissodato, arato, seminato, coltivato per lunghissimo ordine di anni. E, anche volendo, non può inventarsi niente.
Allora, quando rilevava che “La Rete” era una sorta di Nuova Atlantide, non era un epigono di Francesco Bacone; ma l’ennesimo rampollo del perenne artigianato italiano, fatto di botteghe rinascimentali, di destrezze, d’inventiva, ma pure di costante ricerca di commesse. Buon perito informatico, nel 1972, a 18 anni va all’Olivetti; poi, a 34, siamo nel 1998, con la Webegg, promossa in joint venture fra Olivetti e Telecom, si fa consulente in proprio su questa novità un po’ strana, in Italia: Internet. Ma arriva Tronchetti Provera, 2003, e lui se ne va. Parte la Casaleggio &Associati, l’anno dopo: la fonda, a 50 anni, con pochi altri tecnici della Webegg.
E’ uno che sa fare cose. Uno così, se decide di “fare politica”, qualcosa combina. Infatti, s’inventa un’altra joint venture: con l’uomo di spettacolo, con Grillo. E lo educa al suo progetto. Prende “Beppe” che spaccava computer sui palcoscenici, ormai prodigo di facili lusinghe, esagitato da un luddismo alla buona, che parla ad un ceto medio distrattamente riflessivo e stabilmente rancoroso, e lo ferma. La rete è il futuro, ma che fai? Chi dei due, però, convince l’altro?
Siamo in Italia, dicevo. Sulla fisica governa l’artigianato, sulla metafisica si stende lo scetticismo. Ne abbiamo viste troppe. Così, sulla scala della Pòlis, che è la prima e più immediata dimensione, “oltre il tangibile”, a nutrire il pensiero, ad orientare l’azione, in giro c’è sempre una ricca scorta di disaffezione, di individualismo. E’ la dimensione personale e familiare, che tutto protegge e comprende, e quando si affaccia oltre l’uscio di casa, sempre rischia di scivolare verso un mareggiare anarcoide. In Italia, sì, certo, non manca mai una spinta a costruire “qualcosa di nuovo”: ma solo dopo aver distrutto, aver detto di voler distruggere, aver programmato, dichiarato, ripetuto, urlato, comiziato, nelle infinite modulazioni che la parola inerte consente, di voler distruggere. C’è sempre molto vapore pronto all’uso. E ci vuole una macchina che lo impieghi. I due si accordano.
Fascinoso il Nostro. Costruisce un suo vocabolarietto, tratto in silloge dal quel perenne umore nazionale e dallo slang digitale. Democrazia diretta. I Rappresentanti non rappresentano. E presenta la sua idea sulle colonne di un Partenone nuovo di fiamma, anzi, di Pixel, bello, nuovo e digitale: perché “la democrazia ateniese è spesso associata alla democrazia diretta”.
Oltre il campo informatico, gli orecchiamenti si fanno corrivi. Pericle era il comandante in capo di un impero ricco di spirito, di virtù, di armi e di schiavi, ritratto da Tucidide mentre celebrava l’apogeo delle sue vittorie militari: Maratona, Termopili, Salamina, Platea, segnano, nelle eroiche sconfitte, nelle gloriose vittorie, il valore di un ethos aristocratico, verticistico. Per questo Sparta gli mosse guerra, per ventisette anni: fino a quando la tenacia lacedemone e la ùbris ateniese non fecero capitolare La Città. Chi era fuori del dèmos, semplicemente non c’era; e le altre città, come insegna la notissima vicenda di Melo, potevano solo obbedire, o essere annientate. Grande, nobile, inarrivata Atene: ma democratica solo nel nucleo.
E su ogni colonna di un Partenone Disneyword, di un’Atene mai esistita, presentata come una compunta scolaretta in grembiule e treccine, Casaleggio iscrive una parte della sua Idea: nell’inglese stanco e amorfo di una slide da convention aziendale. Transparency. Disintermediation. Credibility. Interaction. Aggregation. Process Transformation. Information Access. Per completare il suo favoloso Pantheon, chiama Rousseau il “sistema operativo” del M5S, e anzi precisa: no, non “del M5S: il M5s è il sistema operativo”. Virtù, virtuale.
Rousseau, di cui convintamente si ricorda uno degli aforismi più noti e malsani: “Il popolo…pensa di essere libero, ma s’inganna parecchio, poiché non lo è che durante l’elezione dei membri del Parlamento: appena essi sono eletti esso è schiavo, è niente”. Secondo Sciascia, da lì vennero tutti gli “ismi”, e i loro rivoli di sangue e di miseria del Novecento.
Ma l’informatico che “fa politica” è irremovibile: solo una “rete di cittadini informati” può superare le barriere dell’intermediazione parlamentare, e rendersi sempre più aggregata, affiatata, libera. E si pone, immaginoso e utopistico, alla testa di un movimento di pensiero e di azione politica che, proprio in Italia, e con il M5S, vedrebbe culminare una tendenza mondiale.
Negli Stati Uniti, afferma, già nel 2013 la media della popolazione adulta, per la prima volta, è stata connessa per più tempo di quello impiegato sui media tradizionali, cioè TV. Quattro ore giornaliere contro cinque, circa. In Italia, il rapporto è ancora di 1 a 4 ore, circa, in favore della TV. Ma cambierà. Nel mondo, aggiunge, 2,7 miliardi di persone, nello stesso anno, sono state connesse.
E l’interazione Rete/Politica ha già avuto le sue tappe fondamentali: nel 1999 la contestazione NO Global al WTO di Seattle, 50.000 manifestanti, resa possibile grazie a un “passa parola” della Rete; nel 2003, Howard Dean, il semi-sconosciuto Governatore del Vermont, sarebbe riuscito a presentare la sua candidatura, raccogliendo più fondi on line di ogni altro candidato; e, nel 2008, Obama, conquista la scena politica solo grazie ad Internet: i fondi raccolti, con versamenti medi per persona non superiori a 200$, gli avrebbero consentito di imporsi all’apparato. E altri momenti, altri nomi: i “pirati” svedesi, quelli tedeschi, con percentuali visibili in recenti elezioni.
Sui fondi, l’anima reale della Rete, con legittimo orgoglio, Casaleggio rileva che M5S ha rinunciato ad oltre 40 milioni di euro di rimborsi elettorali; e che la sua campagna per le politiche è costata un centesimo di quella media degli altri soggetti politici. Sogna, semplifica. Naviga sul problema. Quale? Il problema dei problemi.
Il problema enorme, e centrale, delle democrazie moderne: l’asimmetria informativa fra chi decide e il destinatario della decisione. Però, viene da chiedersi: sicuri che si tratti di un problema nuovo?
Casaleggio pensa di sì. E continua ad immaginare: il “recall”, (diciamo: “richiamo”, alla maniera delle automobili di cui si scopra un difetto), cioè una consultazione diretta, plebiscitaria (o referendaria, se piace la parola); con cui, in alcuni stati americani, si può deporre il titolare di una carica pubblica elettiva, se “Il Popolo della Rete”, ritenendo una sopravvenuta immeritevolezza, lo chiede; il “deliberative”, che è una proposta di legge di iniziativa popolare.
Ma non c’è solo il trend. C’è, soprattutto, il futuro: da nuovi luoghi, i social, si trae una nuova capacità previsionale, a metà fra antropologia applicata e algoritmo: il social semantic web. Dai “comportamenti” digitali, sapremo chi e cosa farà, quando e come. Il futuro, la paura del futuro: gli aruspici che scrutano le viscere degli uccelli, l’analisi degli scontrini per capire il prodotto che tira, la potenza di calcolo, la velocità del dato in movimento, il nuovo spazio-tempo. Il mezzo che non è più mezzo. L’uomo e la macchina. Siamo sempre lì.
E, fisso sulla capacità della “Rete”, sulla sua forza, ma senza ulteriori precisazioni, Casaleggio lascia che Grillo traduca la sua idea con il terreno linguaggio del corpo. Lui rimane lontano, incorniciato da quel suo copricapo amichevole, e dallo svolazzo di una chioma che è come il segno dell’astrazione inattaccabile, di un ribellismo diventato mestiere.
Un’idea così vasta e indeterminata – Rete, tutti fanno tutto, tutti sanno tutto, nessuno prevale – però, presto urta con l’uomo: da parole vaganti vengono uomini vaganti. Così questo magma di fuoco digitale e lapilli liceali viene intercettato (magia delle parole!) dal gorgo del potere militante, dell’azione penale sopracciò, dell’intellettuale con il costante problema del sabato sera. I soliti nomi: da venti, da trenta, da quarant’anni, anche da cinquanta.
Il monadismo anti-rappresentativo rischia l’implosione. Allora, da “uno vale uno” si va al “Direttorio” (ancora quelle parole equivoche, cariche di equivoci), passando per espulsioni, sconfessioni, maledizioni: spicce, emotive, tarate su “l’immagine”, su un vagheggiamento di “purezza”. Si ritorna all’antico. All’antico italiano. All’antico universale.
“Ogni mattina, il signor rappresentante del popolo si reca alla sede del Parlamento…Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione… per questi continui debilitanti sforzi, riceve in compenso un ben guadagnato indennizzo. Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva non può far altro che trasformarsi in maggiolino, così questi bruchi parlamentari lasciano la grande serra comune e, alati, svolazzano fuori, verso il caro popolo”. (Adolf Hitler, Mein Kampf, 1930).
“(Il) Cretinismo parlamentare, (è l’)infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti…. e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio….non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all’importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l’attenzione dell’onorevole loro assemblea.” (Marx-Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, 1851).
Il vasto mondo, l’Italia, il perito informatico, il palcoscenico, gli intellettuali engageè, l’eterno movimentismo italiano.
Gian Roberto Casaleggio. Riposi in pace.