Non si scrive più di lei poiché lei più non ispira come ispirò invece per millenni, fino a una ventina o una trentina d’anni fa. O, perlomeno, nulla degno di nota viene nei suoi riguardi concepito e stampato.
Questa è Roma. Un tempo amata, quando di essa restavano incantati Goethe, Stendahl, Keats, Mommsen, Steinbeck, Malaparte e folle di altri tedeschi, inglesi, americani, toscani, insieme a romanisti (in senso classico, non calcistico) dello stampo di Fellini, Bolognini, Tognazzi, Franco Fabrizi, Franca Valeri, di altri ancora.
Certo che conserva le sue strabilianti bellezze artistiche. Ma ormai ha assunto l’aria d’una donna un tempo bellissima, irresistibile; d’una donna che così tristemente oggi ci appare: decrepita, trasandata, trascurata. Offesa. Violentata. Ecco la Roma dei nostri amari, squallidi tempi; nella rovina in cui prese a scivolare alla fine della Prima Repubblica, con l’avvento di uomini politici o pseudo politici impegnati in grassazioni, malversazioni, abusi di vario genere; impegnati nello sfrenato e spesso illecito arricchimento materiale, tizie e tizi i quali pretendono di collocarsi al di sopra della Legge senza che nessuno osi contestarne la “legittimità”, la “bravura”, il “dinamismo”: gente di dubbia provenienza che non ha esitato a unirsi al malaffare… Bastava – e basta – candidarsi a politiche o amministrative e, in un modo o nell’altro, si trovavano – si trovano – i venti o venticinquemila voti a beneficio dell’intraprendente personaggio, della intraprendente ‘bambolona’ di turno: Incantatore e incantatrice di serpenti alla caccia assai proficua di cittadini franati non si sa come nell’ingenuità, adoratori superficiali, sprovveduti del “nuovo” che tutto sistemerebbe e che a ognuno di noi garantirebbe tranquillità e agiatezza… Ecco quindi come si conquista Roma… Ecco come si procede al novello Sacco di Roma. E’ così che si decreta la morte, lenta, certo, lentissima, della città che insieme ad Atene costruì la civiltà occidentale. Roma è al collasso, si trova sull’orlo del baratro; le infrastrutture cedono pian piano, l’impianto generale si sgretola, si sfalda. Più non si sa come porvi rimedio poiché, realtà senza precedenti in assoluto, mancano la perizia e la volontà necessarie: tempo dieci o vent’anni, almeno mezza Roma sarà invivibile. Basta che piova per dieci minuti e circolare per la città diventa arduo.
In questa Roma due anni e mezzo fa si presentò come candidato alla carica di sindaco un genovese di professione medico chirurgo, Ignazio Marino, l’uomo del quale si parla assai, ancor più da quando, venerdì scorso, dette le dimissioni dopo averle rassegnate venti giorni prima con riserva di tornare eventualmente sui propri passi, visto che la legge fornisce appunto a un primo cittadino dimissionario venti giorni di tempo per meditare sulla propria decisione. Le seconde dimissioni seguirono di poche ore il non del tutto inaspettato ripensamento: ventisei consiglieri comunali s’erano presentati con le proprie firme da un notaio il quale aveva così ratificato la sfiducia collegiale a Ignazio Marino. Il caso è singolare, oseremmo anche dire farsesco; a nostra memoria nulla di analogo si ricorda, né in Italia né altrove. Ma la questione si presenta, addirittura, in termini sfacciatamente antidemocratici, visto che gli "ammutinati" sono appunto ricorsi al notaio e non al confronto dialettico, politico col sindaco fra le mura del Campidoglio.
La faccenda a ogni modo è faccenda all’italiana, tipica di gran parte della Storia della Repubblica Italiana, vale a dire nebulosa, grigia, sordida: “murky”. Marino venerdì 30 ottobre, nell’atto di presentare le dimissioni definitive, ha ammesso di non sapere che cosa gli viene rimproverato, di che cosa è accusato dalla “banda dei ventisei”; e successivamente ha precisato che, a suo parere, mandante delle ventisei coltellate è un uomo, un solo uomo: il Presidente del Consiglio (si badi bene, non eletto dal popolo!), Matteo Renzi, incline ad assumere modi, stile, dittatoriali.
Beh, care lettrici, cari lettori, qui si resta esterrefatti, anche se ormai quasi più nulla in Italia ci sorprende; quasi più nulla ci sorprende in un Paese come il nostro in cui la “res publica” viene con sistematicità trascurata, ignorata, quando non stravolta.
Ma come?? Da un colle quale il Campidoglio, dal cuore della Roma repubblicana e poi imperiale, un capo abbandona il campo senza nemmeno combattere… Un capo il quale non avverte il desiderio d’affrontare i suoi nemici, nemici vecchi e nuovo. Un sindaco il quale appunto se ne va come si esce da un cinema, da uno stadio, da un caffè… Un primo cittadino che non rivendica i propri diritti, soprattutto quelli etici, morali… Un leader che insomma non contrattacca, che non mostra appunto nessuna volontà di dare fino in fondo battaglia. Un uomo pubblico di vasta notorietà il quale, in un tale, drammatico frangente, non chiama a raccolta il popolo e al popolo non comunica le proprie ragioni… Da parte sua nessuna tentazione, neanche in sede dialettica, d’indossare per un po’ i panni di Cola di Rienzo, il tribuno del Trecento romano fatto fuori dai soliti baroni. Come si ripete la Storia…
A questo punto ci siamo chiesti quale mai fiducia possa quindi ispirare un capo che molla senza combattere. Detto in modo brutale, sì, assai tagliente: nessuna. E’ così uscito di scena (almeno per ora, crediamo) il personaggio politico che al suo comparire in un 2013 che ci sembra alquanto lontano, venne subito definito “uomo nuovo”, presentato come antagonista del sistema partitocratico. Nossignori, Ignazio Marino non era, non è, “l’uomo nuovo”. Si presentò nella lista del Partito Democratico, non balzò mica sulla scena come candidato indipendente. Mica tenne comizi su uno sgabello, su una pedana, in maniche di camicia, in Piazza dei Cinqucento, in Piazza Santissimi Apostoli, in Piazza Ragusa o a Ponte Milvio, al Torrino, a Tormarancia. Non bussò certo all’uscio di nessuna famiglia, non conobbe mai la vera fatica fisica, quella che a fine giornata ti spossa, ti prostra, ma che per prodigio ti fornisce l’indomani forze nuove.
Smettiamo una buona volta di cadere negli equivoci, di confondere i termini d’una contesa, d’una discussione: come affiliato appunto al Pd (ammesso che mentre scriviamo lo sia ancora), Marino è anch’egli espressione partitocratica, è anch’egli uomo del Sistema. “Uomo nuovo” insomma non lo è davvero. Un personaggio nuovo avrebbe dato battaglia; forte delle proprie convinzioni, non avrebbe certo gettato subito la spugna. Marino, a nostro avviso, è vittima d’un golpe, d’un putsch; d’un colpaccio di Stato nelle aule del Campidoglio e in un lussuoso studio notarile. Lui al golpe non ha voluto reagire.
Venerdì sera in Campidoglio, il sindaco dimissionario ha elencato, a suo dire, i “grossi risultati” ottenuti dalla sua amministrazione: sarebbe stata sventata una nuova cementificazione dell’Agro Romano da parte dei soliti palazzinari; sarebbero stati chiusi i residence nati negli anni Settanta ma divenuti poi ricettacoli di parassiti sociali e di malviventi della peggior specie; il centro di Roma sarebbe stato liberato dall’orrenda presenza dei furgoni-bar i cui cibi hanno sempre suscitato in noi una certa diffidenza; via, sempre secondo Marino, anche tavoli e sedie di bar o di presunti ristoranti da strade e piazze fra le più suggestive di Roma. Ma a quanto ci risulta, tavolini e sedie occupano tuttora il selciato di Piazza della Rotonda (al Pantheon), di Via della Maddalena, di Corso Vittorio Emanuele, di Via Nazionale. Maree di automobili, motorini, camion, pullman soffocano, nascondono, deturpano tuttora bellezze inconfondibili come Piazza del Collegio Romano, Piazza Navona, Piazza Santissimi Apostoli, Piazza Esedra, Piazza del Popolo, Piazza Poli, Via del Gesù, Via Taranto e così via.
Roma è più sudicia che mai. Sudicia in periferia come in centro. Ma questo deve aver preoccupato assai poco un signore che pur laureato in Medicina è… Complici le precedenti giunte e consigli comunali, Roma presenta inoltre un campionario commerciale che è anch’esso un’indecenza, un oltraggio, un affronto a Roma: negozi, negoziucci in pieno centro e in cui si vendono merci tra nle più dozzinali in assoluto, un numero incalcolabile di esercizi gestiti da genti arrivate da terre così tanto lontane, genti “meritevoli” d’aiuto, “bisognose” di solidarietà; donne e uomini “dolci”, “mansueti”, la “grazia e l’onestà” in persona…
Non si sa neanche più quante licenze commerciali siano state concesse dalle ultime amministrazioni, compresa quella diretta da Ignazio Marino. Licenze commerciali rilasciate anche a italiani, incuranti essi stessi delle norme più basilari della civiltà italiana ed europea; anch’essi indifferenti al principio di tutela dell’Arte, di tutela dell’ambiente storico; anch’essi ben poco, o per nulla istruiti; anch’essi tracotanti, perfino un po’ torvi, nel migliore dei casi, supponenti. Supponenti come un certo “generone romano”, o neo-romano, avido, avaro, assai inelegante, ancora oggi abbastanza presente, diffuso. E’ anche dalle sue pieghe che escono esponenti politici, consiglieri comunali, assessori, suggeritori, strateghi.
Ecco che fine ha fatto Roma. Roma condannata allo scempio di se stessa, al tradimento di se stessa. Roma dimèntica di se stessa… Così lontana da quella che era, da quella che fu, ordinata, linda, rilassante, attenta alla propria cura!
Roma, sì, vittima dello scempio. A Parigi, Londra, Edimburgo non è affatto successa la stessa cosa. Questo detto per esperienza personale.