Il recente giudizio della Corte dei Conti Siciliana sulle finanze della Regione offre uno spunto prezioso per riflettere, ancora una volta, sull'obiettività della 'grande' stampa. Soprattutto, sui suoi pregiudizi quando si parla di Sicilia e di Sud Italia in genere. Un approccio già molte volte denunciato dalla Svimez ,l'Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, (vedi la recente bufala di Libero sulla Sicilia di cui vi parliamo qui) e che, anche in Sicilia, trova espressione.
Che succede stavolta? Succede che i magistrati contabili, nel giudizio di parifica del bilancio regionale, hanno tracciato un quadro a tinte fosche sui conti della Sicilia. Della serie, se non è default, ci somiglia molto. Con l'aggravante che, come dicono i giudici, mentre nel resto del Paese si registrano segnali di risveglio, in Sicilia la situazione continua a deteriorarsi ed è pure indietro pure rispetto alle altre regioni meridionali.
Insomma, un disastro. Un quadro che è stato ampiamente ripreso da tutta la stampa – siciliana e non -con titoli a tutta pagina e commenti tanto scontati quanto strumentali.
La notizia è notizia. E, indubbiamente, la relazione della Corte dei Conti lo è.
Ma, ed ecco la solita 'obiettività', a gran parte della stampa, vedi caso, sfugge un passaggio importante dell'analisi dei giudici contabili, quella in cui il Governo nazionale viene inchiodato alla sue responsabilità (e sono tante, come scriviamo da tempo).
Una notizia che, ad occhi e croce, avrebbe meritato un risalto ancora maggiore delle solite (quanto utili, per carità) considerazioni sulla fragilità dei conti, perché è la prima volta che la Corte dei Conti Siciliana rifugge dalla diplomazia, dalle atmosfere ipocrite del politically correct, e scrive a chiare lettere che, se la Sicilia naviga in brutte acque, la colpa è anche (se non soprattutto) di Roma.
Eppure, tranne LiveSicilia.it, e un accenno nell'editoriale di Nino Sunseri sul Gds, a tutti gli altri giornalisti, per quel che abbiamo visto, pare che la notizia sia sfuggita. Troppo caldo? Distrazione? La solita informazione di facciata, di regime? Chissà….
Fatto sta che il giudizio della Corte dei Conti non lascia dubbi e dovrebbe far tacere anche chi, con una spiccata superficialità (o partigianeria), relega la battaglia per il riconoscimento dei diritti della Sicilia al capitolo 'lamentele infondate di un gruppo di indipendentisti o autonomisti', o peggio, alle 'pretese assurde dei soliti Siciliani spreconi'.
Il Procuratore generale della Corte dei Conti, Diana Calaciura, numeri alla mano, ha risposto per tutti. Con coraggio e chiarezza. Cominciando da un 'furto' di risorse siciliane operato dalla Agenzia delle Entrate:
“Nel corso del 2014, la Struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate ha trattenuto le entrate riscosse nella Regione per complessivi 585,5 milioni di euro, riversandole direttamente al bilancio dello Stato a titolo di accantonamenti tributari e, per di più, in assenza di qualsiasi comunicazione formale alla Regione. Quest’ultima, in tal modo, non ha potuto accertare la medesima somma in entrata e, conseguentemente in uscita – a titolo di concorso alla finanza pubblica – atteso che, nell’ordinamento contabile della Regione, le entrate erariali sono accertate all’atto del versamento. Queste Sezioni riunite, pertanto, – aggiugne – evidenziano come l’operato degli anzidetti Uffici statali, che hanno posto in essere una sostanziale “compensazione per cassa”, abbia realizzato una procedura unilaterale e poco trasparente, che non consente un corretto riscontro al livello di banca dati SIOPE e che mal si concilia con il principio di “leale collaborazione” che deve presidiare i rapporti istituzionali tra Stato e Regione”.
Insomma, il Governo italiano è stato sleale, una slealtà "che ha prodotto un duplice ordine di criticità: da una parte, non ha consentito alla Regione di operare in termini di corretta contabilizzazione delle entrate, di talché risulta fuorviante e di difficile comprensione, attraverso il rendiconto, non solo la modalità con la quale la Regione ha contribuito al risanamento della finanza pubblica, ma anche l’analisi della “serie storica” degli accertamenti”.
Non solo. Il magistrato entra nel merito del mancato riconoscimento dell'articolo 37 dello Statuto Siciliano “che prevede ’attribuzione alla Regione del gettito dell’imposta sul reddito degli impianti industriali e commerciali con stabilimenti ubicati nell’Isola: per l’esercizio 2014, a tale titolo, è stata assegnata la complessiva somma di 50,2 milioni che, tuttavia, non risulta ancora versata dalla Struttura di gestione, né risultano esplicitati i criteri di stima utilizzati dal Mef (Ministero dell'Economia e Finanze) per l’attribuzione di siffatta entrata”.
“Queste Sezioni riunite sottolineano come, ancora una volta, in un momento di affanno finanziario per i conti della Regione siciliana, somme statutariamente spettanti non vengano erogate dai competenti organi statali”.
E ancora un passaggio sui danni prodotti delle manovre nazionali. Danni denunciati dalla Svimez in più di una occasione, ma ahimé, anche qusti sfuggiti alla grande stampa:
“Sulle già ridotte risorse erariali, – si legge sul rendiconto – pesano in misura preponderante i tagli subiti per effetto delle pesanti manovre di finanza statale, che hanno determinato disponibilità assolutamente insufficienti a far fronte agli oneri di spesa incomprimibili; nè il sistema economico dell’Isola offre segnali di ripresa della produzione e dei consumi, timidamente registrati in ambito nazionale. Il concorso alla finanza pubblica – prosegue il documento – richiesto alla Regione siciliana per il 2014 ha drenato risorse per complessivi 1.142 milioni, di cui 508,3 milioni sulle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione e 80,6 milioni di euro, quale cessione di spazio finanziario in favore della Regione Puglia”.
Insomma, da oggi potremmo affermare, con buona dose di certezza, che chi non vuole riconoscere questa verità- e cioè che il Governo di Roma ha contribuito non poco ad affamare la Sicilia- è sordo e cieco, oppure dorme, o peggio, è un ascaro salariato da Roma che non esita a 'svendere' i Siciliani in cambio di lunghe quanto inutili carriere.