“La Buona Scuola è il piano che il Governo offre a tutti i cittadini come proposta di riforma della scuola. Per fare la Buona Scuola non basta solo un Governo ma è necessaria un’ampia consultazione e condivisione popolare”. Sembra una barzelletta, ma sono le parole che si leggono sul sito La Buona Scuola, una piattaforma voluta dal premier Renzi al fine di prendere in giro un intero Paese con la favoletta della “riforma più condivisa di tutti i tempi”.
La verità è venuta a galla definitivamente solo oggi: in cambio delle assunzioni di migliaia di docenti, che il governo finge di far passare come un “favore” e non come un “diritto”, è stato colpito al cuore l’organo più nobile delle democrazia italiana: la pubblica istruzione. Per non parlare del fatto che “largamente condivisa” fa proprio ridere visto che è stata approvata ieri al Senato con il ricorso alla quarantesima fiducia e pure in seguito alla vergognosa decisione di aggirare l’ostacolo del passaggio in Commissione Istruzione dove il disegno di legge rischiava di essere bocciato.
Ma non mi soffermo molto sulla questione “fiducia”, rispetto alla quale in queste ore e negli ultimi giorni vari opinionisti esprimono il proprio stupore: o sono ingenui o in malafede, perché bastava fare una banale analisi psicologica del “personaggio Renzi”, perfino del tipo di quelle che si fanno durante la posa dal parrucchiere o nei saloni di bellezza o, ancora, nel bus fra persone incontratesi lì per caso, per giungere alla conclusione che, come avevo scritto in un precedente articolo (articolo che potete leggere qui), anche la riforma della scuola sarebbe stata imposta con voto di fiducia.
Gli aspetti su cui invece intendo soffermarmi sono due: 1) il perché questa riforma rischia di “distruggere” la pubblica istruzione e con essa i valori democratici di cui è garante; 2) il significato politico dei diversi “non passaggi” che hanno portato alla sua approvazione.
Nelson Mandela, fra gli altri, diceva: “L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione”. Malgrado gli innumerevoli e innegabili difetti, la scuola italiana che abbiamo conosciuto fino ad oggi non è mai venuta meno alla sua funzione di “ascensore sociale”; ciò che non è stato discusso a sufficienza, a mio avviso, è proprio il seguente punto: quanto la riforma di Renzi (scusate ma preferisco chiamarla così, vista l’inettitudine e l’irrilevanza della figura della ministra Giannini) miri alla conservazione di questo fondamentale ruolo sociale della scuola. La risposta è: per niente. Anzi ho la vaga sensazione che, addirittura, miri all’estinzione del concetto di scuola come “riequilibratore sociale” e ciò paradossalmente viene detto dagli stessi Renzi, Faraone e Gelmini quando, citando il testo della riforma, affermano: “I docenti dovranno autocandidarsi e i presidi sceglieranno i migliori in base al curriculum e in seguito ad un colloquio”.
Ora, immaginando un Paese di puri in cui, a parità di curriculum, il preside non sceglierà sulla base dell’avvenenza fisica, dei legami di amicizia o di interessi personali, ciò comporterebbe che i “docenti migliori” si candideranno nelle scuole più gettonate, ovvero quelle del centro città, quelle con una “buona utenza”, cioè frequentate dalle classi più agiate, mentre i docenti “scartati”, cioè scarsi, finirebbero nelle scuole di periferia, quelle degli emarginati, degli ultimi che in tal modo non avranno alcuna prospettiva di riscatto sociale. E, fatto molto grave, i difensori di questa legge approvata ieri in Senato non fanno mistero di tale assurda intenzione di creare scuole di serie A e scuole di serie B!
Ci troviamo dunque quasi al paradosso di dover sperare che i presidi non agiscano con onestà ed obiettività, bensì secondo le pratiche del vecchio clientelismo affinché assumano i raccomandati scarsissimi nelle scuole della Palermo bene, della Roma bene, della Napoli bene, etc, i cui alunni almeno avranno genitori in grado di colmare le lacune ereditate dai professori scarsi e permettere così ai bimbi e agli adolescenti privi di altri mezzi di ritrovarsi buoni professori nelle scuole di periferia. Perché il dibattito sulla scuola, intenso e acceso soprattutto negli ultimi mesi, si è soffermato tanto poco su questo aspetto? Perché nessuno interpella Renzi o Faraone o un qualsiasi altro sostenitore della “Buona S(c)uola”, invitandolo ad esprimersi in maniera chiara su questo punto?
Un altro aspetto che viene spesso citato, ma poi non approfondito riguarda il rischio che i presidi possano subire milioni di pressioni nel momento in cui saranno loro a dover scegliere i docenti e ciò a prescindere dall’idea che si possa avere di certi colleghi e dei presidi in genere. Nessuno infatti pensa che i presidi siano tutti persone disponibili a farsi corrompere o ad accettare ricatti. Ma come escludere la possibilità che si verifichi, per esempio, la seguente situazione: immaginiamo un professoressa “X”, non importa che sia di destra o di sinistra, che viva secondo i principi della legalità o meno. Anzi, immaginiamola “pura”; costei ha tre figli e un marito in cassa integrazione (o licenziato o disoccupato o con un’azienda in crisi) e, se il preside della scuola vicino casa sua non l’assume, rischia di finire – continuiamo ad ipotizzare – in un paese lontanissimo dal luogo in cui abita, per raggiungere il quale dovrebbe spendere almeno 500 euro al mese di benzina. Ha tre figli e nel bilancio familiare questi soldi sono vitali. Secondo voi che fa? Malgrado la sua purezza, trattandosi delle bocche dei suoi figli, non mobilita tutte le sue amicizie per arrivare al preside e assicurarsi il posto sotto casa? E se le pressioni sono fortissime o gli “scambi” irrinunciabili?
E chi non conosce nessuno? Fino ad oggi la scelta della sede spettava a chi precede in graduatoria, quindi con criteri che escludevano qualsiasi elemento di discrezionalità, garantendo trasparenza e uguaglianza al sistema delle assunzioni. La riforma Renzi rischia di far precipitare anche il settore scuola pubblica nel baratro del clientelismo. Lo sa bene e lo nega. Mente sapendo di mentire.
Quanto al significato politico dell’iter seguito dal premier per far approvare il testo di legge in Senato, i fatti parlano da sé: sbandierare per mesi “la riforma più condivisa di tutti i tempi” e poi ritrovarsi costretto a mettere la fiducia scavalcando la Commissione legislativa di merito è già una sconfitta. Sono ottimista: la giornata di oggi potrebbe passare alla storia come l’inizio della fine dell’era Renzi.