L’hanno presentata come una riforma rivoluzionaria. Si è trasformata in uno dei più grandi pasticci amministrativi che si ricordino a memoria d’uomo. Parliamo dell’abolizione delle nove Province siciliane cui avrebbe dovuto fare seguito un disegno di legge di riordino delle competenze dell’ente intermedio. Disegno di legge che ancora non c’è, così come non c’è l’accordo sul modello da seguire: Città Metropolitane ristrette o allargate? Confini provinciali rigidi o flessibili? Presidenti eletti dal popolo o nominati? Competenze e funzioni di sempre o nuove responsabilità? Tutte domande senza risposta. Regna una gran confusione, le ex Province che restano sotto il controllo di commissari ad acta nominati dal Governo. Intanto, mentre la politica discetta, circa seimila persone – i dipendenti delle nove Province dell’Isola – sono senza stipendio.
Eh già, perché mentre i territori soffrono il blocco degli enti intermedi (cui spetterebbero competenze importanti, come quella sulla viabilità provinciale, oggi del tutto abbandonata) si profila una nuova emergenza sociale. A pagare il prezzo più alto di questa confusione sono, infatti, i dipendenti provinciali, circa seimila, sul cui futuro lavorativo nessuno è pronto a scommettere.
Non si sa, insomma, che fine faranno. Martedì scorso, a Palermo, una massiccia manifestazione di protesta ha attraversato le vie delle città. I sindacati chiedono l’immediata approvazione di una legge di riordino e garanzie sul ruolo di questi lavoratori. Sono stati ricevuti sia a Palazzo Reale, sede del Parlamento siciliano, sia a Palazzo d’Orléans, sede del governo dell’Isola. Ma le risposte della politica siciliana, tanto per cambiare, sono state vaghe.
“Il governo ha accettato di aprire un tavolo di crisi sulle Province che partirà martedì prossimo – dicono i sindacati -. Registriamo l’attenzione verso i lavoratori, ma le risposte arrivate finora sia dall’Assemblea regionale siciliana (in Sicilia il Parlamento si chiama così), sia dall’esecutivo non bastano a risolvere le tante questioni aperte”. Dunque la mobilitazione continua con nuove iniziative di protesta “per fare pressione sul governo nazionale e regionale e salvaguardare il personale e le risorse destinate alle ex Province, indispensabili per garantire i servizi ai cittadini”.
Per tentare di sedare la protesta, la vice presidente della Regione, Mariella Lo Bello, ha proposto l’utilizzo di 10 dei 30 milioni destinati alla manutenzione delle strade provinciali (che, come già accennato, versano in pessime condizioni) per chiudere i bilanci delle Province ed evitare il default. E, soprattutto, per pagare il personale.
Un annuncio che, prevedibilmente, ha suscitato l’ira degli edili: "Il governo Crocetta per ovviare ai disastri compiuti colpisce a turno una categoria professionale e sociale. L'ennesima conferma è la decisione annunciata ieri dal vicepresidente Mariella Lo Bello di destinare agli stipendi dei dipendenti delle Province, 10 milioni di euro previsti per la manutenzione delle strade. E chissà la prossima volta quale comparto o settore produttivo pagherà il conto degli errori commessi dall'esecutivo regionale negli ultimi due anni" hanno dichiarato i tre segretari di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil regionali, rispettivamente, Angelo Gallo, Santino Barbera e Franco Tarantino.
"Sarebbe ora che, con senso di responsabilità, la Giunta Crocetta la smettesse di giocare con la vita dei lavoratori siciliani e mettesse in atto la tanto annunciata spending review dell'amministrazione regionale, attraverso la quale recuperare, per esempio – hanno osservato i sindacalisti – le risorse necessarie per garantire ai dipendenti delle Province un diritto sacro come quello dello stipendio".
A dare voce alla preoccupazione dei lavoratori delle Province c’è anche Gigi Caracausi, segretario della Fp Cisl Sicilia (la Funzione pubblica), per il quale “se non arriva la legge, già a settembre i precari delle ex Province potrebbero trovarsi con la lettera di licenziamento in tasca. I dipendenti in organico a loro volta scivolerebbero nella mobilità che, come si sa, è l’anticamera della perdita del lavoro”.
Insomma, in Sicilia c’è già troppa povertà, ripetono alla Cisl: di un’ondata di nuovi poveri non se ne avverte proprio l’esigenza. Tra l’altro, si tratta di dipendenti pubblici che, in buna parte, hanno vinto un concorso. Gente che, adesso, rischia di fare la fine che hanno fatto negli anni passati tanti dipendenti pubblici greci.
Intanto, si inseguono le dichiarazioni dei deputati del Parlamento siciliano. “Bisogna attribuire le funzioni ai Liberi consorzi e alle città metropolitane. Il lavoro sarebbe semplice, visto che le funzioni sono quelle previste dalla legge regionale già approvata e che ci hanno invidiato in tutta Italia. Alcune funzioni della Regione possono essere trasferite ai Liberi consorzi e alle città metropolitane". Questa la posizione del presidente del Parlemento siciliano, Giovanni Ardizzone. Per Ardizzone, l'urgenza di completare la riforma con una legge che attribuisca funzioni e competenze ai nove Liberi Consorzi e alle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina "si coniuga con un problema finanziario".
"La legge di stabilità nazionale – ha osservato il presidente dell'Assemblea regionale siciliana – chiede il concorso delle Province e delle città metropolitane per complessivi 100 milioni di euro. Per le prime il carico stimato è di 65 milioni di euro. Dobbiamo avere le carte in regola – ha concluso Ardizzone – facendo una legge che attribuisca le funzioni. La questione della governance viene dopo".
Ardizzone, con grande eleganza, glissa su un tema che non gli deve piacere molto: lo Statuto siciliano, con riferimento all'articolo 15, che da questa riforma esce calpestato. Lo Statuto, proprio all'articolo 15, parla di "Liberi consorzi di Comuni". Ma il papocchio messo su dal governo regionale e dal Parlamento dell'Isola impone dall'alto nove Consorzi, lasciando ai Comuni una libertà un po' ridicola. Insomma, con lo Statuto questa riforma confufa ed incerta non c'entra proprio nulla!
Dice il capogruppo di Forza Italia al Parlamento dell’Isola, Marco Falcone: "Sulle Province e comunque sugli enti di area vasta dobbiamo raccogliere le ansie, le preoccupazioni, ma anche le proposte provenienti da tutte le sigle sindacali. La mancata approvazione della legge di riforma è da ascrivere alla confusione di una maggioranza che, al di là degli annunci, non riesce a tracciare una seria strategia d'intenti".
"Forza Italia – conclude il capogruppo di Forza Italia – è pronta ad un impegno di serietà per ribadire l'elezione diretta del presidente, il rafforzamento delle competenze e il decentramento delle funzioni dalla Regione agli stessi enti di area vasta. A fronte di ciò, però, necessita che il governo Renzi dismetta la veste del carnefice, eliminando quell'insopportabile prelievo fiscale che ha costretto gli enti alla canna del gas".
Insomma, solo nell’ultima parte del comunicato Falcone, bontà sua, affronta il vero problema delle nove ex Province siciliane: la mancanza di soldi. Risorse finanziarie drenate dal governo nazionale per fare fronte al pagamento degli interessi del debito pubblico imposto dall’Unione Europea. Il completamento della riforma delle ex Province e la questione finanziaria, dice il presidente Ardizzone, si “coniugano”. Ma che significa coniugarsi?
La lingua italiana è molto ricca. Ma c’è il dubbio che, in questo caso, la parola “coniuga” non postuli l’arrivo dei soldi che Roma ha scippato dal Bilancio regionale. Anzi lo stesso Ardizzone spiega che Renzi si è già prenotato per strappare ai nove Consorzi di Comuni (che dovrebbero sostituire le nove Province) e alle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina 100 milioni di euro da portare all’Europa, una sorta di ‘minotauro’ che ogni anno non chiede fanciulle come usava fare il minotauro di Creta, ma soldi freschi. La verità è che, in Grecia, Tsipras, come da tradizione, ha già indossato i panni di Teseo, mentre in Italia e in Sicilia tra Renzi e Crocetta i minotauri europei ‘baccheggiano’ con abbondanti libagioni a spese dell’Italia…