Da settimane non si parla d’altro se non della ineleggibilità di alcuni candidati alle elezioni amministrative dei prossimi giorni. Candidati indagati o, peggio, con precedenti penali in tutti i partiti. Interminabili le polemiche: certi candidati sono da considerare “ineleggibili” oppure “incandidabili”? Sono ineleggibili anche quelli già condannati in primo grado, ma con processi ancora in corso? E se una persona è stata condannata a in primo grado, ma poi il processo (a causa di rinvii e ricorsi) è caduto in prescrizione?
Una vicenda, questa, che è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità di gestire la cosa comune. I concetti di “ineleggibilità” e di “incandidabilità” sono chiari e trasparenti (anche il peggiore dei politici o dei candidati potrebbe capirli). Il problema, dal punto di vista legale, non esiste: basterebbe applicare le leggi esistenti. Le cause di “incandidabilità” sono previste dal decreto legislativo 235/2012, adottato dal Governo in base alla delega disposta dall’art. 1 della L. 6 novembre 2012, n. 190 (legge anticorruzione). La ineleggibilità, invece, era già regolamentata dalla legge 175/2010, in cui si parlava anche del divieto di svolgimento di attività di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione.
Altre polemiche sono sorte dopo la decisione della Commissione Antimafia di comunicare i nominativi degli incandidabili solo poche ore prima dell’apertura dei seggi. E allora qual è allora il vero motivo di tanta polemica?
Oggi in Parlamento siedono diversi “onorevoli” condannati in via definitiva per reati anche gravi. E il numero di quelli sotto inchiesta o con condanne in primo grado (e quindi ancora non definitive) o con processi caduti in prescrizione o ancora colpevoli di reati depenalizzati, è interminabile.
Nomi a volte famosi o addirittura “leggendari”. Da Vincenzo Fasano (Pdl, coinvolto in due procedimenti penali e condannato a 2 anni per concussione – ma ha beneficiato dell’indulto) a Raffaele Fitto (Forza Italia, condannato in primo grado a 4 anni per corruzione, illecito finanziamento pubblico ai partiti e abuso d’ufficio). Da Giancarlo Galan (Forza Italia, che ha patteggiato 2 anni e 6 mesi per corruzione, concussione e riciclaggio nello scandalo Mose di Venezia) a Nino Minardo (Nuovo centrodestra democratico, condannato in via definitiva a otto mesi per abuso d’ufficio). Da Augusto Minzolini (Forza Italia, condannato in appello a 2 anni e 6 mesi per peculato) ad Antonio Fabio Maria Scavone (Nuovo centrodestra democratico, condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale – ma il processo penale è finito in prescrizione). Da Salvatore Sciascia (Forza Italia, eletto e ri-eletto in Lombardia, vanta sul proprio curriculum una condanna definitiva a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di membri della Guardia di Finanza) a Domenico Scilipoti (Forza Italia, anche lui rieletto in Calabria, condannato in via definitiva per produzione di documenti falsi).
Segue Salvatore Margiotta (Pd, condannato in secondo grado a 1 anno e 6 mesi per corruzione e turbativa d’asta, ma inspiegabilmente, il suo partito non ne ha chiesto le dimissioni). Per non parlare di Umberto Bossi, eletto e rieletto in Lombardia, che vanta diversi processi e condanne di cui una definitiva (la maxi-tangente Enimont). O Lorenzo Cesa (Udc, anche lui rieletto in Calabria: arrestato nel ‘93, poi condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata, ma tutto è finito in prescrizione). Fino a Daniele Farina (Sel) che è stato condannato in via definitiva per ben tre volte (nel 1989, nel 1998 per lesioni personali gravi e nel 2001 per inosservanza degli ordini delle autorità). Nomi famosi come quello dell’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, che è stato condannato (in primo grado) per diffamazione. O Mario Borghezio (Lega Nord), condannato in via definitiva nel 2005 a due mesi e venti giorni (commutati poi in una multa) per concorso nel reato di danneggiamento. Fino a casi come quello di Luigi Cesaro, deputato non in una, ma in tutte e cinque le ultime legislature (in pratica è in Parlamento ininterrottamente dal 1996) nonostante i suoi presunti trascorsi con la malavita organizzata: stando ad alcune inchieste, sarebbero cominciati nel lontano 1984 (fu arrestato nell’ambito di un blitz contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, processato e condannato in primo grado, ma assolto in appello e in Cassazione) e, da allora non sono mai finiti (fino a luglio 2014 quando la Procura di Napoli ha chiesto il suo arresto, ma il 16 agosto il Tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza per carenza di gravi indizi di colpevolezza).
La lista dei parlamentari e dei politici di professione con precedenti penali è interminabile. E questo solo a voler citare i parlamentari della XVII legislatura (quella attuale): se a questi poi si volessero aggiungere i nomi dei parlamentari delle precedenti legislature condannati in primo grado, in Appello o dalla Cassazione (ma spesso ancora gongolanti per i vitalizi che incassano mensilmente) e quelli dei consiglieri regionali provinciali e comunali, forse non basterebbe un giorno per nominarli tutti.
Una situazione che fa dell’Italia lo zimbello dell’Europa: il prestigioso Financial Times ha pubblicato un suo reportage sulle liste in cui compaiono ineleggibili. Ma il quotidiano britannico è andato oltre. L’articolo si intitola “Campania poll shows limits of Italian PM Matteo Renzi’s influence”, ovvero “Le elezioni in Campania mostrano i limiti dell’influenza di Renzi”. Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che all’estero l’immagine del ‘nuovo che avanza’ è tutt’altro che nuova e positiva. “La candidatura di De Luca ha dimostrato i limiti dell’influenza di Renzi fuori da Roma, dove la politica locale è ancora basata su personaggi sgradevoli e reti clientelari estremamente difficile da smantellare. E il signor De Luca (nella foto sopra, a sinistra insieme con Renzi) rappresenta la testardaggine di quel vecchio sistema di potere”, ha scritto James Politi, autore dell’articolo.
Per comprendere quali sono le vere ragioni di tale marasma è esemplare il caso di Francantonio Genovese (Pd): per due volte la Procura, a marzo e a maggio 2014, ne ha richiesto l’arresto. Secondo gli inquirenti, Genovese sarebbe “al centro di una fitta trama di società e di clientele. L’unico scopo è quello di drenare denaro pubblico”. Ma Genovese, come molti dei politici incandidabili o ineleggibili se non sotto il profilo giuridico almeno sotto il profilo morale, è uno di quelli che porta al partito molti voti (fervente sostenitore di Renzi, alle ultime primarie in Sicilia, ha portato al Pd quasi 20.000 preferenze). E in un momento come quello attuale in cui, tra defezioni e astenuti, i partiti sono assetati di voti, questo conta più di qualsiasi altra cosa.
I candidati, ancor prima di essere o meno candidabili o eleggibili per la Commissione antimafia, dovrebbero esserlo per le segreterie dei partiti: dovrebbero essere gli stessi partiti a fare una cernita sulla base di concetti di moralità. Se non altro per tutelare il buon nome del partito. Il problema è che del nome del partito, della sua dignità e dei suoi ideali, oggi, invece, non importa a nessuno (lo dimostra la facilità con cui i partiti cambiano nome specie in vista delle elezioni). E a nessuno interessa se chi si candida è “onorevole”. A molti non importa neanche se è incandidabile o ineleggibile. L’unica cosa che conta (grazie al sistema elettorale in vigore e quello che lo sostituirà) è il numero dei voti che finiscono nell’urna. Tanto, dopo la scrematura necessaria e rispettati i patti con chi davvero gestisce la politica nelle varie regioni, sarà possibile “aggiustare” tutto e continuare come se niente fosse.
Un modo di fare politica che un altro giornale straniero, la Reuters, ha definito: “Un vecchio sistema di partito baronale”…
Foto tratta da artisopensource.net
Errata corrige: In una versione precedente dell’articolo era stato incluso erroneamente anche il senatore Andrea Marcucci (PD) per una condanna a 10 anni, ma che in realtà si trattava di una condanna in primo grado a 10 mesi. Il senatore Marcucci era stato poi assolto con formula piena (perché il fatto non sussiste), ed in via definitiva, dalla Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 23 ottobre 1995 e, pertanto, non risulta come parlamentare condannato. Ci scusiamo quindi con il senatore Marcucci per l’errore.