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May 22, 2015
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Scuola, Marcello Pacifico (Anief) all’attacco: “Lotta dura a un governo che umilia i docenti”

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 4 mins read

Lotta dura senza paura al governo Renzi, con probabile blocco degli scrutini. Il no alla trasformazione dei presidi in “dirigenti di azienda”. La difesa della Costituzione italiana del 1948. Il no ai docenti reclutati per raccomandazione. Il no alle scuole di seria A, di serie B e di serie C. Le retribuzioni da miseria. Parla Marcello Pacifico (nella foto sotto, a sinistra), presidente dell’Anief e segretario Conferdir e Cisal.

Allora, presidente, nonostante la protesta dei docenti il governo Renzi e il Parlamento sono andati avanti lo stesso. La lotta dei docenti continuerà, magari con il blocco degli scrutini e degli esami? 

marcello pacifico bisSì, sarà il caos. Mai un Governo ha trattato così una categoria. Sembra che migliaia di insegnanti e Ata non abbiano capito cosa hanno fatto in questi anni per il Paese. Giorni e giorni tra aule, corridori per educare i ragazzi del domani, tre scioperi, manifestazioni spontanei e ancora nessun ascolto. Non possiamo consegnare la scuola all’ignoranza.

Ha letto l’intervista di Giorgio Rembado, presidente dell’associazione nazionale presidi, su Formiche.net? Insomma, per Rembado la riforma voluta dal governo va bene. Cosa ne pensa?

Penso che quando si parla di scuola bisogna uscire dalle corporazioni. Come Anief abbiamo presentato 90 emendamenti. Nel corso delle audizioni non ci siamo rifugiati in discorsi retorici. Chi rappresenta i dirigenti dovrebbe essere il più critico rispetto a questa riforma, perché li trasforma in dirigenti d’azienda, piuttosto che valorizzarne il ruolo. E’ come se ti cambiano la maschera e tu reciti una parte non tua, non amata, non indispensabile, anzi nociva e sottoscrivi il cambiamento.

Qualcuno sostiene che, fino ad oggi, il reclutamento dei docenti supplenti, non è stato diverso dal potere che la riforma vorrebbe assegnare ai presidi.

Il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale ci ricordano che nei pubblici uffici si assume per concorso e non per curriculum, albi, amore o altro. Renzi vuole cambiare la Costituzione anche su questo fronte? Lo faccia, ma lo dica al Paese.

Può spiegare perché questa riforma andrebbe a ledere i diritti dei docenti?

Perché se faccio il mio lavoro devo essere assunto per i titoli che ho, perché devo essere pagato quando aumenta il costo della vita senza raccomandazione, perché devo essere valorizzato per il valore educativo che rappresento… Perché senza scuola non si costruisce la società del domani.

Valentina Amico, una docente di tedesco che collabora con la Voce di New York, sostiene che con la riforma Renzi si creeranno scuole di seria A e scuole di serie B. Condivide?

Se è per questo anche di serie C. Perché i genitori che se lo potranno permettere iscriveranno i propri figli in scuole dove magari saranno pubblicati risultati eccellenti, mentre le altre saranno destinate a chiudere. E’ concorrenza, per carità… Ma il ruolo pubblico dell’istruzione, l’uguaglianza, la parità di trattamento, la Repubblica fondata sul lavoro e il diritto allo studio che fine faranno? Se siamo d’accordo, diciamolo. In caso contrario, non ci fermeremo

Nella riforma si parla della parte economica? E’ mai possibile che i docenti – che alla fine sono i responsabili della formazione delle generazioni future – debbano andare avanti con retribuzioni basse? 

In questo momento si inizia a lavorare con 1250 euro e soltanto dopo dieci anni di ruolo si avranno quindici euro in più, magari dopo anni di supplenza con lo stipendio inziale e senza le mensilità estive. E tutto questo per lavorare 50 anni e andare in pensione con 412 euro… Se questa è dignità meglio rimanere disoccupati, la minina ti vale di più.

Avete mai pensato di chiedere il blocco dei fondi che lo Stato italiano eroga alle scuole private per migliorare le retribuzioni dei docenti delle scuole pubbliche?

Il problema non è il finanziamento alle scuole private, ma quello alla scuola pubblica. Meno 600 milioni di euro in quattro anni e le scuole al collasso con la carta igienica che è chiesta alle famiglie. Ma veramente possiamo pensare di far crescere i nostri figli in una scuola dove non puoi andare in bagno per cinque ore?

I Padri costituenti, nella Costituzione italiana del 1948, hanno ‘parlamentarizzato’ la vita politica italiana con il bicameralismo perfetto per scongiurare il ritorno a forme di governo non democratico. Anche voi avvertite un ritorno a pratiche che l’Italia, purtroppo, ha conosciuto nel ventennio fascista?

E’ un grosso problema. Si violenta la democrazia quando negli ultimi anni decidi tutto con decreti leggi e voti di fiducia; lo stesso quando non fai decreti legge, ma ricatti il Parlamento con calendari che cambiano le regole del gioco. Quando fai una riforma epocale devi ascoltare, ascoltare e ascoltare e poi decidi. Qui abbiamo avuto un governo che ha deciso, è rimasto sordo, poi costretto dagli umori della piazza ha cambiato qualche cosa e continua per la sua strada…

Soprattutto a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica, i docenti italiani, in larga maggioranza, si sono identificati nel centrosinistra. Oggi il Pd è ancora il punto di riferimento del mondo dei docenti italiani?

Purtroppo sta perdendo consenso e questo non va bene per un partito che trovava il suo naturale humus nella classe intellettuale del Paese.

E’ inutile che ci giriamo attorno: il prossimo voto delle elezioni amministrative, se sarà favorevole al Pd di Renzi, verrà letto come consenso degli italiani alla riforma della scuola di Renzi. Ne siete coscienti? 

Vedremo. Qui i sindacati come i colleghi non giocano alla roulette della politica. Basti pensare all’ultimo provvedimento del governo sulle pensioni: per la Consulta la perequazione è al 100%, per Renzi meno della metà perché abbiamo vincoli finanziari. E sarà ricorso ancora. Ma perché dopo dieci anni di tagli, blocco stipendi e pensioni, riduzione delle risorse pubbliche, è aumentata la spesa pubblica?

 

 

 

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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