Con molta probabilità, con lo sciopero di oggi da parte dei circa 18 mila dipendenti della Regione siciliana, si apre nell’Isola una stagione di scontri sociali destinata ad acuirsi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Non è un caso che, mentre a Palermo (davanti la sede del Parlamento siciliano) e a Catania (anche in questa città, già da stamattina, si prevedono manifestazioni di protesta) la gente comincia a scendere in piazza, a Roma cresce di ora in ora la tensione sull’Italicum, la legge elettorale frutto dell’accordo tra Renzi e Berlusconi: legge elettorale, lo ricordiamo, che ricalca, per certi aspetti peggiorandola, il ‘famigerato’ Porcellum, legge già ‘cassata’ dalla Corte Costituzionale, ma riproposta da un governo che non sembra sintonizzato con la Costituzione italiana del 1948, ma con chissà quali altri poteri.
“La vita è terribile. E’ lei che ci governa, non noi che la governiamo”, ci ricorda Oscar Wilde. Mentre, bene o male, a Roma non è difficile capire chi sono gli attori di un’aspra battaglia politica (Renzi che cerca di fare ‘inghiottire’ a una parte del Pd una legge elettorale che ripropone, almeno in parte, i ‘nominati’ da mandare alla Camera e al Senato, in barba al pronunciamento della Consulta), con l’incognita di una Presidenza della Repubblica che potrebbe risultare diversa da quella gestita da Giorgio Napolitano, non sembra, invece, che in Sicilia ci sia sufficiente chiarezza sul difficile momento politico ed economico. Ieri, durante una tormentata seduta del Parlamento dell’Isola dedicata all’approvazione di Bilancio e Finanziaria 2015, un governo senza maggioranza è stato più volte sconfitto. Solo che i problemi della Regione siciliana di oggi hanno poco o punto a che vedere con le scaramucce parlamentari.
Sui giornali siciliani si legge che, all’appello, mancano 450 milioni di euro. Ma man mano che il dibattito procede si cominciano a intravedere i numeri reali di un ‘buco’ finanziario che sembra molto più ampio. Ecco, il vero dato politico, oggi, in Sicilia, è la mancata consapevolezza di quello che sta succedendo. In questa fase siamo alle proteste di alcune categorie (oggi, come già ricordato, sono di scena i dipendenti della Regione). Ma – lo ribadiamo – non c’è ancor la consapevolezza di quello che sta avvenendo e dei responsabili veri di un disastro finanziario del quale solo in queste ore i siciliani cominciano a intravedere i primi effetti devastanti.
Per ora la controparte scelta da chi protesta è il governo della Regione e, in particolare, il presidente Rosario Crocetta. In realtà, quest’ultimo è un personaggio che è stato individuato da chi oggi comanda nel Pd per fare da parafulmine a tutte le proteste sociali che stanno per esplodere e che esploderanno, come già accennato, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Per carità: il presidente Crocetta ha proprie responsabilità, non ultima quella di avere accettato i diktat di Roma, a cominciare dalla rinuncia ai contenziosi finanziari favorevoli alla Sicilia. ma prendersela con Crocetta e salvare il Pd – soprattutto il Pd siciliano – è un grave errore: perché sono Renzi e il Pd i veri responsabili del baratro economico e finanziario in cui sta sprofondando la Sicilia.
Più volte, nei nostri articoli, abbiamo parlato di fallimento della Regione siciliana. Ne ha parlato un paio di mesi addietro il professore Massimo Costa, che nella vita fa l’economista e il docente universitario. Ne abbiamo parlato anche noi, con la formula “fallimento controllato” da Roma. Perché chi sta manovrando tutto, in questo momento, non è il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, che funge da parafulmine, ma il governo Renzi che, come ci capita spesso di scrivere, ha tolto un sacco di risorse finanziarie alla Sicilia.
Per chiarezza: i tagli del governo Renzi – imposti all’Italia da un’Unione europea sempre più lontana dalla democrazia (Tommaso Lima, un dirigente del Megafono – il movimento politico del presidente della Regione, Rosario Crocetta – in una recente intervista al nostro giornale ha parlato senza mezzi termini di “Europa post democratica”: insomma, non siamo i soli a pensare che l’Unione europea non sia più democratica), sono stati propinati a tutte le Regioni e a tutti i Comuni italiani. Ma in Sicilia questi tagli sono stati maggiori rispetto alle altre Regioni italiane; e sono stati penalizzati anche i Comuni: indirettamente perché ricevono meno risorse dalla Regione siciliana massacrata da Roma; e direttamente, perché solo in Sicilia viene applicata la parte della riforma federalista che prevede tagli, mentre non viene applicata la parte della legge che, guarda caso, prevede, per i Comuni dell’Isola, la perequazione fiscale e infrastrutturale.
Ebbene, adesso i nodi stanno vendo al pettine. Il governo Renzi ha imposto al governo siciliano di ritardare sino a fine aprile l’approvazione di Bilancio e Finanziaria regionali 2015. Questo per prendere quattro mesi di tempo. Siamo ormai a fine aprile e, adesso, la verità dei numeri comincia a manifestarsi in tutta la sua drammaticità. E la gente di Sicilia, nella stragrande maggioranza dei casi sempre distratta e sempre e solo interessata al proprio ‘particulare’ di guicciardianiana memoria, sta cominciando a realizzare che la Regione di Crocetta non ha più i soldi per pagare non il di più, ormai scomparso da almeno quattro-cinque anni, ma l’essenziale per molte categorie sociali. Tra le pieghe della pubblica amministrazione della Sicilia rimangono, è vero, sacche di privilegio (ormai poche, in verità: qualche migliaia di ‘fortunati’, non di più). Ma il vero dato sociale è che mancano i soldi per garantire retribuzioni da mille-mille e 500 euro al mese a migliaia di soggetti.
Contrariamente a quello che si legge in tanti giornali siciliani, il ‘buco’ di cassa della Regione siciliana versione 2015 non è di 450 milioni di euro, ma di circa un miliardo e mezzo di euro. Una cifra spaventosa. Ed è spaventosa perché è un ‘buco’ di cassa: cioè soldi che mancheranno da qui al 31 dicembre! Nella legge che il Parlamento siciliano si accinge ad approvare c’è scritto che 700-800 milioni di euro dovrebbero arrivare dal Pac 2015. Il Pac è una sigla che sta per Piano di azione e coesione. Si tratta di fondi europei e nazionali destinati sulla carta al Sud, ma che ordinariamente i vari governi nazionali, in buona parte, dirottano verso le Regioni del centro Nord Italia.
Proprio in queste ore, mentre il Parlamento siciliano si accinge a certificare con il proprio voto che una parte del Pac 2015 (che, peraltro, sono risorse finanziarie che dovrebbero servire per gli investimenti, cioè per le infrastrutture) verrà utilizzato, di fatto, per pagare gli stipendi ad alcune categorie sociali siciliane rimaste senza copertura finanziaria, il governo Renzi utilizza quasi l’80 per cento e forse più dei fondi Pac 2014 per pagare gli sgravi fiscali alle imprese, per lo più del centro Nord Italia. Anche se i giornali italiani – ci riferiamo ai ‘grandi’ giornali – non lo scrivono, i fondi con i quali il governo Renzi dice di aver rimesso in moto l’economia del Belpaese con nuove assunzioni non sono altro che i soldi del Pac 2014: soldi rubati al Sud per un’improbabile ripartenza dell’economia del Centro Nord Italia all’ombra del Jobs Act.
Insomma, si va avanti con menzogne costruite su menzogne. Perché, come fanno notare tanti osservatori, una volta finiti i soldi per gli sgravi fiscali, questo ‘presunto’ boom delle assunzioni via Jobs Act si sgonfierà. Però noi, dalla Sicilia, non possiamo non far notare la commedia degli inganni che va in scena a Palermo: si mettono nel Bilancio 2015 della Regione siciliana fondi Pac che, pronto accomodo, per quest’anno non saranno disponibili; ben sapendo che il prossimo anno questi fondi verranno utilizzati in buona parte in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Emilia Romagna, in Toscana. Questi sono i fatti che avvengono in questo momento con i fondi Pac 2014 e che si ripeteranno, tali e quali, con i fondi Pac 2015.
Resta da capire come reagiranno tutte le categorie sociali della Sicilia alle quali il governo nazionale ha tagliato le risorse. Anche i siciliani sono destinati a svegliarsi. Perché, da oggi in poi, tante categorie sociali scopriranno di essere state, di fatto, abbandonate.