Pochi mesi fa, parlando del Jobs Act, la legge che ha stravolto i contratti di lavoro, Renzi promise che la decisione del governo avrebbe portato “crescita e occupazione”. Subito gli fece eco il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che preannunciò “un successo storico”.
In questi giorni, è proprio il caso di dirlo, il Ministero del Lavoro ha dato i “numeri”: quelli dell’occupazione. Lo scopo, evidentemente, è quello di convincere gli italiani, diffondendo i “numeri” positivi raggiunti grazie alle scelte fatte con il Jobs Act, e plaudire all’operato del governo. Nel mese di marzo 2015, ha fatto sapere l’esecutivo, si sarebbe avuta un’impennata di assunzioni che, secondo i dati del Ministero, avrebbe portato a ben 92.299 nuove assunzioni. Un successo incredibile. Al punto che lo stesso Ministero si è affrettato a sottolineare che si tratta di dati ancora parziali e suscettibili di verifiche.
Filippo Sensi, portavoce del Pd, ha cercato di giustificare i “numeri” del Ministro del Lavoro affermando che, in realtà, si tratterebbe di serie storiche: “Nei primi mesi del 2015 si rafforzano i primi segnali positivi per l'economia italiana, all'interno di un quadro ancora eterogeneo". Il mercato del lavoro italiano "presenta ancora segnali contrastanti, pur in presenza di un aumento delle ore lavorate nel quarto trimestre 2014".
Numeri tanto incredibili che sono subito fioccate le smentite da parte di soggetti autorevoli. A cominciare dall’Istat. Il maggiore e più “ufficiale” istituto di statistica nazionale, subito dopo l’annuncio del Ministero del Lavoro, si è precipitato a spiegare che i dati statistici sulle assunzioni derivano probabilmente dalla decisione di molte imprese di rinviare le assunzioni stesse in attesa dell’approvazione del Jobs Act e degli sgravi contributivi introdotti nella legge di stabilità. Per la maggior parte, non si tratterebbe quindi di “nuove” assunzioni, di “nuovi” posti di lavoro, ma solo di trasformazioni di contratti già esistenti.
Non contenti, i tecnici dell’Istat hanno sottolineato che, a conferma del fatto che di “crescita” non si parla proprio, il mese scorso si sono persi ben 44mila posti di lavoro! E, infatti, la disoccupazione è salita al 12,7% (dal 12,6% del mese di febbraio). Senza contare che per alcune fasce d’età la situazione è ancora peggiore: nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni, l’occupazione è diminuita del 3,8% rispetto al mese precedente (si sono persi 34mila posti di lavoro). Per contro, sono aumentati i giovani disoccupati (+11 mila). Un “numero” preoccupante dato che, per di più, non tiene conto dei giovani inattivi, quelli cioè che non sono occupati, ma che (o perché totalmente disillusi o perché ancora studenti) non cercano lavoro. “Numeri” ben diversi da quelli vantati dal Ministro del Lavoro.
Analoghe le conclusioni di Nomisma, il cui capo economista, Sergio De Nardis, ha sottolineato: "Aumentano i contratti a tempo indeterminato, ma all’interno di questa voce cresce il peso delle stabilizzazioni nel nuovo quadro delle tutele crescenti". Aggiungendo: "Il combinato della decontribuzione attiva da gennaio e del Jobs Act dal 7 marzo inizia a vedersi, ma è prematuro dire che c'è stata una spinta occupazionale nel suo complesso".
La verità è che ormai, da diversi mesi, alle promesse del “nuovo che avanza” e del suo entourage non crede più nessuno. Anche le teorie che avrebbero dovuto giustificare le decisioni imposte a colpi di voti di “fiducia” al Parlamento sono state smentite e dichiarate prive di ogni fondamento. Come le teorie che promettevano crescita economica in cambio della liberalizzazione del mercato del lavoro e, in particolare, “un’accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, non a caso inserita nel Jobs Act. Tesi prive di ogni fondamento teorico (e quindi sbagliata), come ha detto l’Ocse: in base ai dati rilevati in diversi Paesi europei non esisterebbe alcuna prova del fatto che la liberalizzazione dei contratti e un maggior numero di contratti a tempo indeterminato (punti focali del Jobs Act) comportino una maggiore occupazione.
È per questo, forse, che la gente comincia a non credere più alle promesse del governo. Ed è per questo motivo che, da qualche tempo, il governo è costretto a dare i “numeri” per convincere i cittadini. In un articolo dell’Huffington Post, per descrivere le dichiarazioni del governo, è stato citata la massima di George Bernard Shaw: “Le statistiche vengono spesso usate come gli ubriachi si servono dei lampioni. Non per illuminare, ma per stare in piedi”. Un equilibrio che, ogni giorno che passa, sembra sempre di più mancare al governo.
Recentemente, in una intervista a Radio24, l’ex premier Enrico Letta ha detto: “Cerco di dare un contributo perché non sia un tempo in cui la percezione conta più della realtà”. E poi parlando di Renzi: “Non aiuta a stare meglio: è metadone”. Forse è proprio questo che sta facendo il governo con i suoi “numeri”: sta cercando di stordire (è questo l’effetto del metadone) l’Italia.
Ma dare i “numeri” non basterà al governo per risolvere i problemi dell’Italia, né quelli degli italiani che sembrano peggiorare sempre di più ogni giorno che passa…