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April 14, 2015
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Hillary 2016? Una donna per presidente, ma senza la democrazia dinastica

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Hillary Clinton durante le primarie del 2008

Hillary Clinton durante le primarie del 2008

Time: 4 mins read

Chi scrive spera che alle elezioni del novembre 2016 la Casa Bianca rimanga con un presidente del partito democratico e auspica anche che il prossimo presidente possa essere una donna, la prima Commander in Chief del più potente paese della terra. Eppure, detto ciò, non mi entusiasma l'entusiasmo che da ieri si sente nell'aria di chi condivide questi desideri all'annuncio che Hillary Clinton correrà per la seconda volta nel tentativo di ottenere la nomination dei democratici e "tornare" così, alla Casa Bianca.

A scanso di equivoci, come pensavo e scrissi anche nel 2008, Hillary Clinton, tra i possibili candidati in pista per i democratici, probabilmente è la più preparata per la carica. Ma la sua elezione sarebbe un grave insulto alla democrazia di questa Repubblica americana nata due secoli fa. 

Hillary Rodham, poi diventata signora Clinton, probabilmente si sente destinata al comando, "fit to govern" fin dai tempi del college al prestigioso Wellesley (dove prima di lei si era già diplomata la Madeleine Albright diventata prima donna Segretario di Stato e che servì proprio il presidente marito di Hillary). Chi scrive pensa che probabilmente anche senza il bisogno di essere stata la moglie del 42° presidente,  Hillary fosse destinata a diventare un personaggio di peso in qualunque cosa avesse voluto fare nella vita. Hillary Rodham non è figlia del privilegio, la sua famiglia middle class aveva raggiunto la stabilità economica in Illinois col lavoro per poi poter mandare la brava studentessa a studiare in Massachusetts. Ma purtroppo per l'ex First Lady, poi senatrice e addirittura segretario di Stato, quello che conterà di più se dovesse diventare presidente degli Stati Uniti, sarà il fatto che per la prima volta una moglie prende il posto del marito nella più alta carica dello stato. Attenzione non dell'Argentina, ma degli Stati Uniti. E questo sarebbe normale per una democrazia nata da una rivoluzione antimonarchica e quindi antidinastica?    

Quello che temevamo nel 2008 e chiamammo fattore "D.D.",  Dynastic Democracy, potrebbe adesso avverarsi? Avverrà la consacrazione della democrazia dinastica se Hillary Clinton diventerà presidente nel 2016? È di questo che abbiamo il terrore.

Se pensiamo che tra i repubblicani il favorito alla nomination appare, a meno di sorprese alla Rubio, il sessantatreenne Jeb Bush, potremmo ritrovarci con il "derby" dinastico alle prossime elezioni, una gara elettorale tra l'altro figlio (e fratello) di Bush e la moglie di Clinton. E magari da "guastafeste" la possibile candidatura da "indipendente" del senatore  Rand Paul, figlio di Ron ex candidato per la presidenza… 

Allora, a parte la parentesi degli otto anni di Barack Obama, se Hillary Clinton dovesse ottenere la Casa Bianca (o Jeb Bush) avremmo avuto l'alternanza di due famiglie a capo dello Stato più potente della Terra in trent'anni. Pensateci, se poi Hillary o Jeb fossero rieletti, avremmo un terzo di secolo di "democrazia dinastica". 
Qualcuno potrebbe obiettare: ma perché farne una questione di principio quando gli Stati Uniti potrebbero avere la prima donna presidente? Perché, almeno in democrazia, pensiamo che i principi dovrebbero essere le colonne portanti della libertà. In tutta la storia degli Stati Uniti, soltanto un presidente è rimasto alla Casa Bianca per più di due mandati, e si chiamava Franklin Delano Roosevelt (ma c'era anche il pericolo del nazi-fascismo…). Nessuno, da George Washington a Barack Obama,  aveva mai ottenuto la presidenza per più di due incarichi, escludendo, appunto, FDR. Quando John Quincy Adams, figlio del secondo presidente John Adams, diventò anche lui presidente nel 1824 (molti anni dopo la presidenza del padre ed eletto da un voto del Congresso!), quella elezione contestata e così impopolare finì per rilanciare le ambizioni del generale Andrew Jackson. Così, dopo un solo mandato, nel 1828 Quincy Adams (seppur figlio di papà preparato) dovette lasciare il posto, e questa volta grazie ad un netto mandato popolare, a Jackson. Da quel pericolo di "democrazia dinastica", grazie al generale Jackson, arrivarono le prime elezioni basate sul voto popolare. 

Dopo il precedente di FDR, nel 1947 fu approvato il 22° Emendamento della Costituzione: due mandati alla Casa Bianca e via.
Proprio Bill Clinton, ormai da tre anni fuori dalla Casa Bianca dopo il secondo mandato, in un discorso nel maggio del 2003, disse queste parole che oggi dovrebbero far pensare: "I think since people are living much longer . . . the 22nd Amendment should probably be modified to say two consecutive terms instead of two terms for a lifetime". E ancora: "There may come a time when we elect a president at age 45 or 50, and then 20 years later the country comes up against the same kind of problems the president faced before. People would like to bring that man or woman back but they would have no way to do so".

Mi dispiace, ma una vittoria di Hillary, seppur preferibile, almeno per chi scrive, a quella di un Bush, non mi entusiasmerebbe. Rovinerebbe la festa per la prima donna presidente. Sarebbe stata molto meglio una candidatura di Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts, grande personalità e intelligenza, ma considerata "troppo" liberal, e che quindi non avrebbe chance contro la "macchina" del partito tutta per Hillary. Già. Ma non dicevano così anche nel 2007, a proposito di un certo Barack Obama?

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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