L’esempio più eclatante è rappresentato dalla Gesap, la società che gestisce i servizi a terra nell’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo (già Punta Raisi). Il vice presidente di questa società è stato arrestato con una tangente tra le mani, il direttore generale è stato ‘silurato’, le polemiche infuriano. Ma, incredibilmente, in vertici della stessa società ignorano le prescrizioni previste sull’anticorruzione. Tant’è vero che, ad aprile, per ciò che riguarda la gestione di questa società nel 2015, non si sa ancora nulla. Tutto tenuto rigorosamente nascosto. Emerge questo ed altro leggendo il secondo ‘Rapporto’ sull'Open Government in Sicilia che è stato presentato nei giorni scorsi dal dipartimento Dems dell’università di Palermo.
“Rispetto allo scorso anno – si legge nel ‘Rapporto’ – il sistema mostra qualche indice di miglioramento, anche se le amministrazioni italiane arrancano nella realizzazione dell'Amministrazione aperta e della trasparenza totale, mentre quelle siciliane segnano il passo, con grave pregiudizio per l'esercizio dei diritti di cittadinanza”.
Per dirla in modo nudo e crudo, nell’Italia delle tangenti e nell’Isola dove la mafia detta ancora legge la pubblica amministrazione, a tutti i livelli, è tutt’altro che trasparente. “Soprattutto nella pubblicazione delle informazioni sulle decisioni e sui costi degli organi politici, degli enti e delle società partecipate – si legge sempre nel ‘Rapporto’ – siamo ancora lontani dal veder applicata la normativa anticorruzione e la trasparenza totale”.
Sono stati esaminati al 31 dicembre dello scorso anno tutti i siti dei diversi dipartimenti dell'amministrazione regionale della Sicilia e di alcuni enti e società come Irsap (Istituto regionale per le attività produttive), l’Irfis spa (una sorta di azienda di credito controllata dalla Regione), l’Ast (Azienda siciliana trasporti), la già citata Gesap e via continuando.
Il ‘Rapporto’ evidenzia, pur di fronte a qualche progresso rispetto all'analisi dello scorso anno, “la sostanziale opacità delle informazioni”, spesso post datate e incomplete, e uno “scarsissimo utilizzo degli open data e l'inesistente bidirezionalità. Molte delle prescrizioni della normativa sulla trasparenza totale risultano ancora disattese e in alcuni casi recano dati obsoleti che risalgono al 2013 o, addirittura, al 2012”.
Insomma, in Sicilia non c’è alcuna trasparenza nella gestione della cosa pubblica. Questo perché politica e comitati di affari non vogliono che si sappia quello che combinano. Solo la magistratura, là dove può, scoperchia gli imbrogli delle società a partecipazioni pubblica e dei tanti uffici pubblici dove l’utilizzazione disinvolta del denaro pubblico e le 'mazzette' sono all’ordine del giorno. L’importante è sfuggire ai controlli. Ignorando quasi del tutto le regole dell’anticorruzione.
“Una grave lacuna – si legge ancora nel ‘Rapporto’ – è stata colmata con l'approvazione dell'art. 68 della legge regionale n. 21 del 2014 che, pur se impugnato in molte parti dal Commissario dello Stato, introduce l'obbligo di pubblicazione, a pena di nullità, degli atti del Presidente della Regione e degli assessori nonché dei dirigenti”. Questa legge approvata dal Parlamento siciliano è importante, perché costringe il governo regionale e gli alti burocrati a rendere pubblici alcuni degli atti amministrativi. Ma è ben poco cosa rispetto agli imbrogli che ancora oggi caratterizzano la gestione della cosa pubblica in Sicilia.
“Particolarmente allarmante – leggiamo sempre nel ‘Rapporto’ – la situazione delle società partecipate che si sottraggono per molti versi all’attuazione della normativa sulla trasparenza”. Eclatante, come già accennato, il caso della Gesap. Anche se non “meno ‘ermetica’ appare la situazione di enti come l'Irsap e l’Ast”. A questo punto si solleva un altro caso eclatante di cattiva gestione della cosa pubblica che fa il paio con la mentalità mafiosa, tipica di chi amministra la cosa pubblica con la certezza d poter fare il bello e il cattivo tempo, ignorando le prescrizioni di legge. Il riferimento è al decreto legislativo numero 39 del 2013 che ha provato a introdurre l’istituto dell’inconferibilità degli incarichi pubblici. Ci sono figure che, per tanti motivi, non dovrebbero andare a ricoprire certi incarichi nella pubblica amministrazione. Invece il governo regionale siciliano di Rosario Crocetta e le forze politiche che lo sostengono – con in testa il Pd – ignorano questo decreto 39 e fanno i cavoli loro (la dizione sarebbe un’altra…).
Nel ‘Rapporto’ si citano i casi dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e della presidenza di Sicilia e Servizi, la società che dovrebbe gestire i servizi informatici della Sicilia. “In tal caso – si legge nel ‘Rapporto’ – va evidenziato l'omesso intervento sostitutivo da parte del Ministero della Funzione pubblica nei confronti della Regione siciliana”. Della serie: a Roma governa Renzi che è del centrosinistra, in Sicilia governa Crocetta con il centrosinistra e, insieme – controllore che non controlla (governo Renzi) e controllato che non viene controllato (governo siciliano di Crocetta) – ignorano una legge dello Stato!
Viene anche sottolineata “la limitata attività dell'Autorità nazionale anticorruzione in Sicilia, nonostante siano molteplici i gravi casi di omissioni portati alla sua attenzione. E ciò, nonostante la Sicilia abbia, per alcuni versi, anticipato il legislatore statale con il 'Codice antimafia ed anticorruzione' approvato nel 2009 (del quale alcuni dei contenuti si trovano nella legislazione successiva), l'adozione del Piano regionale per l'innovazione tecnologica (Pitre, nell'ambito del recepimento del Codice dell'amministrazione digitale) e l'elaborazione di un articolato assetto di open data nel 2011-12”. La storia è sempre la stessa: le leggi ci sono, ma gli amministratori pubblici della Sicilia la ignorano.
La rete, oggi, dovrebbe consentire ai cittadini di controllare gli atti amministrativi di chi li amministra. Perché quel che rende ‘aperta’ oggi la pubblica amministrazione – viene più volte ribadito nel ‘Rapporto’ – non è la presenza dei cittadini nei luoghi nei quali si assumo le decisioni (diretta o via streaming), ma piuttosto il fatto che le istituzioni elettive e gli eletti possano essere giudicati in termini concomitanti da persone, associazioni, imprese attraverso gli strumenti dell’open government. La trasparenza totale ed i dati aperti (open data) – si legge sempre nel ‘Rapporto’ – rappresentano presidi di legalità ed efficienza ai quali le amministrazioni non possono sottrarsi, poiché costituiscono la nuova frontiera dei diritti di cittadinanza e della democrazia partecipativa”.
Nei Paesi civili queste dovrebbero essere le regole. Ma, a giudicare da quello che si legge nel ‘Rapporto’, in Italia e, soprattutto, in Sicilia, la pubblica amministrazione resta opaca. “La rete, se coniugata agli strumenti dell'Amministrazione aperta (Open government) – questa la filosofia che informa il secondo Rapporto Open government – diventa uno straordinario strumento di controllo da parte dei cittadini per contrastare inefficienze, corruzione e malamministrazione, di trasparenza e di partecipazione.
Si è così svolta un'ampia analisi sull'applicazione che hanno avuto le previsioni della normativa anticorruzione e del conseguente decreto applicativo (legge n.190/2012 e decreto legislativo n. 33/2013) in materia di trasparenza amministrativa nell'Amministrazione regionale siciliana e nei principali organismi partecipati (enti e società).
L'Italia, infatti, analogamente a quanto previsto nell'ordinamento europeo e sulla base di importanti esperienze straniere – prima tra tutte la Open Government iniziative dell'Amministrazione Obama – ha varato una codificazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, introducendo importanti modifiche al previgente regime, riconoscendo un diritto generalizzato del cittadino all'informazione amministrativa ed all'usabilità dei dati, rafforzandone i connotati di struttura di servizio per la collettività e le imprese.
Il Rapporto quest'anno è redatto in lingua inglese e sarà oggetto di una comunicazione alla Conferenza annuale del Cambridge Journal of International and Comparative Law (CJICL) che si terrà presso Università di Cambridge il prossimo 8 maggio sul tema 'Developing Democracy: Conversations on Democratic Governance in International, European and Comparative Law'.
L'analisi è stata redatta sulla base della ricerca condotta e dei contributi offerti dagli studenti delle classi di Diritto Amministrativo Europeo e di Diritto Amministrativo e Contabilità Pubblica del Corso di Laurea magistrale in Scienze dell'Amministrazione e delle organizzazioni complesse dell'Anno accademico 2014/2015.
Foto tratta da futuroquotidiano.com