E venne il giorno: il 17 Marzo in Italia, con tanta retorica e sceneggiate farsesche, le istituzioni del Belpaese celebrano puntualmente l'anniversario dell'Unità d'Italia. Quest'anno è il 154esimo.
C'è chi depone corone di fiori, chi si riempie la bocca con frasi patriottiche, chi sfoggia fasce tricolori e chi si gonfia il petto fingendo di intonare un inno le cui strofe sono sconosciute ai più.
Ma, tant'è. Sempre la stessa musica. E, come ogni, anno, istituzioni e pubblicistica ufficiale, dimenticano di affrontare un tema cruciale che di fatto rende del tutto teorica la tanto declamata Unità.
Parliamo ovviamente della questione meridionale. Parliamo del fatto che l'Italia resta un Paese spaccato in due. Che, ad unire Nord e Sud, oltre alla pasta e alla pizza, c'è ben poco.
Gli economisti della Svimez, l'Associazione per lo Sviluppo industriale del Mezzogiorno, fondata da quel grande meridionalista che è stato Pasquale Saraceno, ci hanno spiegato con numeri e grafici, che il gap tra Nord e Sud ha una causa ben definita: i Governi nazionali hanno smesso da tempo di investire nelle regioni meridionali. Anzi di più.
Quella spesa straordinaria che doveva servire a ricucire il gap ha finito con il sostituire la spesa ordinaria. Vanificando, di fatto, ogni strategia di sviluppo. Insomma, i Governi italiani hanno scientificamente abbandonato il Sud Italia alla deriva. E continuano a farlo, nel silenzio generale.
L'unica novità è che, grazie al lavoro incessante della storiografia recente e degli analisti della Svimez, nessuno può più negare che l'Unità d'Italia ha prodotto pesantissime diseguaglianze. Tanto che pure Matteo Renzi, l'attuale Premer italiano, l'anno scorso, in visita a Catania, non ha potuto fare a meno di osservare che "le disuguaglianze che si sono prodotte dopo l'Unita' d'Italia sono disugualianze ingiuste".
Tralasciando di osservare che ogni diseguaglianza è di pe sé ingiusta, anche la frase del Premier va ad arricchire quell'ampia retorica occasionale che poi non si traduce mai in politiche di sviluppo e di rilancio di una area mortificata.
Ma oggi, nel 154esimo anniversario dell'Unità d'Italia, al di là delle analisi economiche reperibili da chi vuole attenersi ai fatti e non ai pregiudizi, vogliamo soffermarci sul già citato silenzio generale che avvolge la questione meridionale.
I fatti ci dicono che, ad eccezione di qualche giornale locale, ovviamente del Sud, i grandi media nazionali, ignorano con molto 'eleganza' le ragioni della sofferenza di quell'area del Paese che uscita più malconcia dalla tanto celebrata Unità d'Italia.
L'argomento proprio non arriva nelle grandi redazioni, che non a caso, hanno sede a Roma o a Milano. Sarà una questione linguistica? Scherzi a parte, ne abbiamo parlato con il direttore della Svimez, Riccardo Padovani e con il ricercatore della stessa associazione, Giuseppe Provenzano:

Riccardo Padovani
"Difficilmente la questione meridionale – che ancora persiste e su cui, un tempo, si esercitavamo le migliori intelligenze dell’Italia – fa capolino nei palinsesti di radio e televisioni nazionali o nelle colonne dei grandi quotidiani" dicono i due analisti a LaVocediNewYork.com.
"La discussione sul Mezzogiorno è relegata negli spazi delle redazioni e delle cronache regionali e locali. Ed è proprio questa,- sottolineano gli esperti della Svimez- a nostro avviso, la più evidente testimonianza del venir meno, con poche eccezioni, di una tensione all’unificazione economica e sociale del Paese".
Insomma, "la discussione sulla questione meridionale è diventata una questione dei meridionali, tra meridionali".
La verità è che i grandi media, rivolgono la loro attenzione al Sud solo quando scorre il sangue:

Giuseppe Provenzano
"Sono decenni che il Sud non riesce a guadagnare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale (o meglio, dei grandi mezzi di informazione) al di là delle cronache nere e giudiziarie: come se fosse raccontabile esclusivamente come “questione criminale”, o per i casi di malversazioni nelle amministrazioni pubbliche o di cattiva politica".
"Questioni che pure ci sono, – sottolineano Padovani e Provenzano- e per la verità da tempo riguardano l’intera penisola. Ma che certo non esauriscono lo spettro dei problemi che vanno sotto l’etichetta di “questione meridionale”, e tanto meno gli argomenti di discussione sulle possibili soluzioni".
"La nostra Associazione,- aggiungono i due analisti della Svimez- che pure gode di una importante visibilità mediatica, periodicamente viene citata come fonte di descrizione delle gravi condizioni economiche e sociali del Sud. Tuttavia, quasi mai viene interpellata in una riflessione sulle possibili soluzioni della crisi. Una riflessione da cui il Sud è completamente assente".
Non solo la Svimez non viene interpellata pur avendo prodotto studi accurati sulla questione, ma, addirittura, l'attuale Governo, per un periodo ha contemplato l'ipotesi di tagliare quel minimo contributo statale che l'associazione riceve.
La sensibilità meridionalista dell'attuale esecutivo nazionale – anche se poi il contributo è rimasto- brilla proprio come quella dei precedenti governi (a parte le chiacchiere su un ipotetico quanto inutile Ministero del Sud).
"Da oltre un ventennio, si è affermata l’idea che per lo sviluppo del Paese occorre lasciar correre la “locomotiva del Nord” liberandola della “zavorra” del Sud.- osservano ancora Padovani e Provenzano- Ed è stato non a caso il ventennio in cui l’Italia ha perso complessivamente competitività: proprio perché, a nostro avviso, si è derubricato il tema dello sviluppo del Sud. Un’area piena di problemi ma ricca anche di potenzialità e in cui, a nostro avviso, si giocano le più grandi sfide per il futuro dell’Italia".
Certo è che, dinnanzi alle politiche antimeridionaliste del Governi centrali e dinnanzi al silenzio assordante dei grandi mezzi di informazione, nessuno può meravigliarsi del fatto che nel Sud Italia crescono le spinte secessioniste. Sotto la cenere, il fuoco arde.