Come al solito, ogni volta che si parla di sprechi nella politica siciliana si fa confusione. Confondendo le istituzioni pubbliche con gli uomini chiamati a rappresentarle. E’ andata così, anche questa volta, con l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti. Si tratta della magistratura contabile che in Italia dovrebbe verificare l’andamento dei conti pubblici. In Sicilia – che come spesso ricordiamo ai nostri lettori americani è una Regione a Statuto speciale – esiste una sezione autonoma della Corte dei Conti. E tocca a questa sezione, ogni anno, descrivere quello che è successo nei ‘Palazzi’ della politica siciliana, con riferimento all’impiego di denaro pubblico.
In questa sede noi facciamo riferimento alla relazione annuale di Giuseppe Aloisio, procuratore facente funzioni della Corte dei Conti di Sicilia. Una relazione – che riguarda il 2014 – che, quest’anno, ha messo in evidenza una crescita di sprechi. Spicca l’aumento del numero di condanne per danno erariale: quasi 40 milioni di euro, circa il doppio rispetto al 2013. In aumento anche le indagini. Ma va precisato, a scanso di equivoci, che sotto accusa non sono le istituzioni, ma gli amministratori pubblici, in parte eletti (deputati regionali, sindaci e consiglieri comunali e anche presidenti e assessori delle Province ormai commissariate), in parte nominati dalla politica (dirigenti di Regione, Comuni e Province e amministratori di società a partecipazione pubblica).
Nella relazione si cita il caso della ex Provincia di Catania dove la Corte dei Conti ha contestato un danno erariale di 450 mila euro. Soldi che gli ex amministratori (il riferimento è all’ex presidente, Giuseppe Castiglione, e agli ex consiglieri di amministrazione) si sono messi in tasca per giustificare missioni e spese di funzionamento. Una vicenda per certi versi incredibile che coinvolge il già citato Castiglione – oggi sottosegretario del governo di Matteo Renzi per conto del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano – e altri amministratori eletti. Storie di rimborsi a sei cifre per gagliardetti, t-shirt, bandierine, disegni in carta di papiro e altre amenità ancora. Un modo non esattamente corretto di utilizzare il denaro pubblico.
Per carità: nulla di nuovo. Queste cose, in Sicilia, avvengono da anni. Se oggi vengono segnalate è perché c’è crisi e allora è necessario fare le ‘pulci’ a tutti. Compresi i politici. Anche al Parlamento siciliano di Palazzo Reale, a Palermo. Dove la Corte dei Conti segnala “l’illegittima utilizzazione dei fondi assegnati, non riconducibili agli scopi istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana, con la contestazione di un danno erariale di un milione e 925 mila euro”. In questo caso si tratta di deputati che hanno utilizzato i fondi dei gruppi parlamentari per acquistare regali. Ma anche per offrire caffè e panettoni. Giusto sanzionare i deputati che hanno utilizzato i soldi pubblici per fare regali di nozze e compleanni. Ma sui caffè, i cornetti e il panettone, beh, ci sembra un po’ esagerato!
Nella relazione si cita il caso di “consiglieri di un piccolo Comune che hanno deciso di aumentare del 417 per cento il gettone di presenza: un danno di 650 mila euro circa”. Non è l’unico caso. Non è un mistero per nessuno che ormai, soprattutto nei Comuni grandi e medi dell’Isola le elezioni al Consiglio comunale si configurano come un “concorso” per un posto di lavoro che dura cinque anni. Insomma: in una Sicilia sempre più povera, acciuffare un posto di consigliere comunale conviene. Raccontare ai lettori americani quello che combinano i consiglieri comunali nei Comuni non è facile. Proviamo a citare un paio di esempi.
Intanto convocano le commissioni consiliari almeno cinque giorni alla settimana – da lunedì a venerdì – per giustificare l’assenza dai rispettivi posti di lavoro. Poi c’è anche la possibilità di una legge folle sui rimborsi. Ammettiamo che un consigliere comunale appena eletto lavora in banca. In pratica, per cinque anni questo signore non va più a lavorare (questo, in genere, succede nei Comuni medio grandi: in quelli piccoli è un po’ più difficile). Dopo di che, grazie a una legge ancora in vigore, il Comune, attraverso una partita di giro, paga per intero lo stipendio al consigliere comunale. Se il consigliere comunale guadagna, per ipotesi, 2 mila e 500 euro al mese, il Comune eroga questa somma alla banca che, a propria volta, la ‘gira’ al consigliere comunale. Con questa semplice partita di giro i Comuni siciliani pagano lo stipendio per intero ai dipendenti pubblici e privati. Una cucca!
Già questo è uno scandalo. Ma ancora più scandaloso è il fatto che certi signori, una volta eletti consiglieri comunali, si fanno assumere da aziende private con il grado di dirigenti. Con l’assunzione in tasca si fanno pagare dal Comune lo stipendio di dirigente. Non è un cosa di poco conto, perché la legge stabilisce che il rimborso a un “dirigente” può arrivare fino a due terzi della remunerazione del Sindaco. E poiché in una grande città siciliana la remunerazione del Sindaco sfiora i 10 mila euro mensili, un dirigente ‘inventato’ si porta a casa 6 mila euro al mese nei grandi Comuni e circa 4 mila euro al mese nei Comuni medi.
Tutte queste cose non le trovate nella relazione della Corte dei Conti. E nemmeno nel dibattito politico. Queste cose, cari lettori americani, ve li raccontiamo noi. Aggiungendo che, due anni fa, gli esponenti del Movimento 5 Stelle della Sicilia avevano acceso i riflettori su questo scandalo. Annunciando un dossier sui Comuni di tutta la Sicilia. Partendo dal Comune di Siracusa, dove sembrava che questa pratica del rimborso fosse piuttosto diffusa. Poi, però, di questa storia non si è saputo più nulla. Gli stessi grillini tacciono. Qualche mese fa hanno detto che “stanno ancora raccogliendo il materiale”. Anche se, a dir la verità, due anni per “raccogliere il materiale” ci sembrano troppi. Anche i grillini coinvolti in questa storia? Aspettiamo di vedere come va a finire. Anche se non possiamo non notare che, in questa vicenda, i parlamentari siciliani del Movimento 5 Stelle non stanno facendo una gran bella figura. Anzi.
Nella relazione della Corte dei Conti – sempre a proposito dei Comuni – si parla di Agrigento, dove il consiglio comunale è riuscito a convocare 1.133 riunioni delle commissioni consiliari solo nel 2014: in pratica tre volte al giorno, tutti i giorni, compresi Natale e Ferragosto. Il tutto per consentire ai consiglieri comunali di incassare più soldi (circa 300 mila euro la spesa).
La ‘Malasignoria’ nella pubblica amministrazione siciliana non riguarda solo gli eletti. La Corte dei Conti segnala 39 milioni di euro di condanne per danno erariale. In questo calderone di sprechi c’è di tutto. Per esempio, 5 milioni di euro di danno erariale imputabile alla gestione dei corsi di formazione professionale (coinvolti gli enti e i dirigenti regionali, a cominciare dal più alto burocrate della Regione – Patrizia Monterosso – che è stata condannata al pagamento di oltre un milione di euro).
Poi c’è lo scandalo delle società chiamate a gestire alcune aree archeologiche dell’Isola che non hanno riversato alla Regione la quota parte dei biglietti di ingresso (danno erariale pari a circa 16 milioni di euro). Il riferimento è a Novamusa, società che, dal 2003, ha gestito alcuni siti archeologici siciliani: il teatro antico di Taormina e le aree archeologiche di Segesta e Selinunte. Tale società, come già ricordato, incassava i soldi dei biglietti senza versare il dovuto nelle ‘casse’ della Regione siciliana (circa il 70 per cento). La dimostrazione che la gestione privata dei beni culturali, almeno in Sicilia, non è un’alternativa valida alla gestione pubblica.
Nella relazione della magistratura contabile si parla di 109 atti di citazione notificati a 255 amministratori del settore, per un danno di 48 milioni di euro. Quindi un passaggio sulle assunzioni nel settore pubblico. Scrivono i giudici: “C’è un ricorrente spreco di risorse pubbliche nelle procedure di assunzione di personale o di ingiustificato riconoscimento ai dipendenti di qualifiche o livelli superiori da parte delle società in house della Regione siciliana i quali, nonostante il divieto posto a contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, hanno continuato a disporre reclutamento di personale non giustificato e vietato”. Traduzione: con la scusa che le società per azioni partecipate, a maggioranza, da soggetti pubblici sono, pur sempre, società di capitali – e quindi di natura privatistica – i politici che le controllano si fanno cazzi loro: assumono chi vogliono e pagano gli dirigenti cifre iperboliche. Basti pensare che, ancora oggi, nonostante la crisi di una Regione ormai prossima alla bancarotta, ci sono amministratori pubblici che si mettono in tasca chi 200 mila euro lordi, chi 250 mila euro lordi, chi 300 mila euro lordi annui. Il tutto mentre i dipendenti delle stesse società non superano i mille e 500 euro al mese. E a chi vogliono mandare a casa per risparmiare? I dirigenti da 300 mila euro all’anno o i dipendenti da mille e 500 euro al mese? Vediamo se indovinate…