Se il Partito Democratico in Sicilia è l’erede del partito di Pio La Torre e del partito di Piersanti Mattarella, oggi questi eroi stanno a rivoltarsi nelle loro tombe, innanzi ad eventi altamente simbolici che fanno rimanere senza parole. Il presidente regionale del Partito Democratico è un uomo, Marco Zambuto, che rappresenta oggi esattamente l’opposto dei valori della legalità e della lotta alla mafia e alla corruzione. Quello che qui racconteremo sul presidente del PD siciliano è assolutamente inverosimile, ma altrettanto vero, e fa comprendere quale sia il disastro della democrazia siciliana, ovvero la mancanza di dignità e di decenza.
Marco Zambuto è un pulcino del pollaio prima gestito dall’ex ministro Lillo Mannino e poi dall’ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro. Con costoro Zambuto entra nel Consiglio comunale di Agrigento, nell’anno 1993, giovanissimo. Stare in Consiglio comunale diventa, per il giovane Zambuto, un vero e proprio lavoro. Oggi Marco Zambuto, all’età di quarant’anni, non ha mai lavorato in vita sua, non ha mai percepito un reddito da qualsivoglia attività lavorativa. Gli unici redditi che ha percepito gli vengono dalla politica, quale consigliere comunale, assessore, sindaco di Agrigento.
Il ragazzo comprende che è opportuno garantirsi un impiego. Lo comprende quando è segretario provinciale dell’UDC del presidente della Regione Cuffaro. E, per incredibile coincidenza, partecipa ad un concorso all’Azienda sanitaria di Agrigento gestito – con modalità delinquenziali, verrà poi condannato in via definitiva – dall’uomo di massima fiducia di Totò Cuffaro all’Azienda sanitaria di Agrigento, il dottor Armando Savarino, pure Sindaco di un paese della provincia agrigentina – Ravanusa – nonché padre di Giusy, balda, giovane e aitante parlamentare della corte di Totò Cuffaro. Per coincidenza quindi Zambuto riesce a trovarsi, da segretario provinciale dell’UDC, un posto pubblico in un concorso truccato dal papà di una onorevole, guarda caso, dell’UDC. Vincitore di concorso e truccatore di concorso tutti dell’UDC, intimi all’epoca di Totò Cuffaro.
Quando i parlamentari del Partito Democratico, Angelo Capodicasa e Benedetto Adragna, hanno la bellissima idea di candidare Marco Zambuto a Sindaco di Agrigento, questa storia è nota a tutti, già ci sono stati gli arresti per i concorsi truccati e Zambuto è in vetta alla graduatoria delle cose torbide. Ma per questi grandi uomini politici non è un problema né il concorso, né la appartenenza, sino a ieri, di Zambuto al cuffarismo. Stringono un accordo di ferro con Angelo La Russa, un ex parlamentare ed ex assessore regionale Dc, suocero di Zambuto, pesantemente tirato in ballo per le pratiche allegre dall’imprenditore Filippo Salamone, grande foraggiatore di politica e mafia. Come vedremo, è La Russa che comanda nell’ombra e decide i destini di Zambuto e di Agrigento.
Dunque Zambuto viene eletto in quota al Partito Democratico, si insedia come Sindaco, dopo sei mesi si reca a casa di Silvio Berlusconi. Non scherzo, proprio a casa di Silvio Berlusconi. Accompagnato da Angelino Alfano, nelle stesse sale di Palazzo Grazioli ove si tenevano i “bunga bunga”. Ma l’amore tra Zambuto e Silvio Berlusconi, mentore Angelino Alfano, non dura in eterno. Zambuto vuole un posto di parlamentare immediatamente. Alfano non è in grado di garantirlo. Silvio è troppo impegnato con le orge, le minorenni, gli affari di letto e di galera. Ecco che Zambuto fa marcia indietro, ritorna al suo storico amore, l’UDC già di Cuffaro e di Mannino, oggi dell’onorevole D’Alia. Questo succede nel 2013. Fa carriera velocissimamente: viene infatti nominato vicesegretario regionale. Nel frattempo, sempre con l’UDC, solo con l’UDC e altre aggregazioni clientelari, viene rieletto Sindaco di Agrigento. In quelle elezioni Zambuto offre il peggio di sé: conclude un patto con un ex assessore già allontanato dal Comune perché nipote del capo mafia locale e soprattutto perché era impegnatissimo al Comune a servire gli interessi dello zio e dei suoi sodali. Il ruolo del nipotino è notissimo: il nipotino assessore ha avuto pure le pagine del Corriere della Sera, per quelle imprese per cui fu cacciato dal Comune. Zambuto lo recupera, recupera i suoi voti e l’ottimo ambiente che lo circonda, gli promette un nuovo posto nella giunta comunale e, immediatamente, a garanzia, lo nomina nel consiglio di amministrazione del consorzio universitario di Agrigento.
Scoppia il casino e la nomina e l’accordo non vanno in porto: questa è l’attenzione di Zambuto per le tematiche rappresentate dal nipote del capo mafia.
Riepiloghiamo: all’inizio del 2007 Zambuto è con Totò Cuffaro e Lillo Mannino, addirittura segretario provinciale. A metà 2007 è Sindaco di Agrigento grazie al Partito Democratico e viene sconfitto il candidato di Berlusconi e di Alfano. Non vi è neanche il tempo del brindisi di fine anno che Zambuto è in trattative con Silvio e Alfano. Ma l’adesione a Forza Italia dura un paio di anni. Poi Zambuto guarda a sinistra e, come detto, approda all’UDC. Nuovamente vice segretario regionale. Pretende il posto di capo lista alla Camera per le elezioni del marzo 2013. Non ottiene la candidatura privilegiata e si sposta di nuovo, tornando nel Partito Democratico.
Un simile arlecchino della politica, un vero e proprio saltimbanco dell’utilitarismo e dell’opportunismo, con un simile pedigree viene promosso a presidente regionale del Partito Democratico siciliano! Roba da rimanere sconvolti. Diventa il numero 2 dei renziani in Sicilia, il braccio destro di Davide Faraone, parlamentare nazionale vicinissimo a Renzi. Faraone dovrebbe spiegare quali sono i meriti e i contenuti di Zambuto, del suo carnevalesco incedere politico, per ricoprire cotanta carica all’interno del PD.
Adesso comunque siamo alla frutta. Vi è ad Agrigento un fortissimo tintinnio di manette. Siamo in presenza di una gestione totalmente illegale dell’urbanistica. Già il dirigente fiduciario Sebastiano Di Francesco, nominato da Zambuto e da suo suocero Angelo La Russa – vero padrone del Comune, e adesso vedremo il perché! – è sotto processo per presunte tangenti, e con lui sono stati colpiti da misura cautelare una serie di pesci piccoli.
Incredibile ma vero, La Russa che trascorreva ore ed ore con Di Francesco all’epoca non viene colpito. E neanche Zambuto: il ragazzo si era tenuto stretto stretto il dirigente Di Francesco capo della ‘banda’, ed aveva invece licenziato in tronco tale ingegnere Morreale, che aveva sostituito Di Francesco in qualità di vincitore di concorso.
Innanzi a questi fatti la Magistratura, ovvero la Procura della Repubblica di Agrigento, ha dormito. Ora è stata costretta a svegliarsi. Dai colpi di maglio, di cannone, di mazza sferrati da tale Giuseppe Arnone, ovvero da chi scrive, colpi di maglio e di cannone che ognuno può apprezzare collegandosi su youtube e selezionando “Arnone ricostruisce gli anni di Zambuto, La Russa, Di Rosa”, ricostruzione esplicitamente ad uso del Procuratore generale, Roberto Scarpinato. Ed ulteriore, potente sveglia viene fuori dalla registrazione, che ognuno può ascoltare cercando su youtube “la registrazione che fa tremare la politica agrigentina”, tra il gran puparo Angelo La Russa e tal consigliere comunale ed aspirante assessore Giuseppe Di Rosa, autore della registrazione all’insaputa del primo.
Sono proprio ‘uccelli privi di zucchero’, innanzitutto su un piano morale, etico e politico, ma anche giudiziario, quelli che vengono fuori da questa registrazione. Colui che comanda al Comune è il suocero, Zambuto è un pupo nelle sue mani. La Russa propone a Di Rosa di essere nominato assessore con le deleghe più importanti di tutte, ovviamente, in primis, quella all’urbanistica; e la condizione che pone per conferire quest’incarico è – come dichiara Di Rosa – quella che il neo assessore rinunzi a pensare con la sua testa e si consegni mani e piedi a La Russa. Ma nell’intercettazione vi è di più: La Russa spiega che da lì a breve – siamo a novembre 2013 – per il Sindaco Zambuto si prospettano incarichi parlamentari, e quindi occorre preparare il nuovo Sindaco, cioè la successione. Il puparo è sempre La Russa e promette a Di Rosa che se si comporterà bene sarà lui a poter succedere a Zambuto: l’importante è che i fili dei burattini li manovri sempre La Russa.
Adesso la Procura è stata costretta a sequestrare tutti gli atti delle varianti urbanistiche e del Piano regolatore generale di Agrigento elaborati dalla ‘banda’ già sotto processo sotto i comandi di La Russa e Zambuto, gli atti elaborati dai tangentisti e dai successori graditi e benvoluti. Già, perché l’ingegnere Morreale non era né gradito, né benvoluto, né tangentista e Zambuto (e La Russa…) lo hanno allontanato licenziandolo di netto.
Che strana la Magistratura agrigentina, che ragazzi distratti! Dunque Zambuto tiene al Comune un dirigente fiduciario, non vincitore di concorso, impelagato in storie di tangenti e di imbrogli, persino colpito da misura cautelare. Dopo questo dirigente viene nominato il vincitore di concorso e tempo sei mesi Zambuto lo caccia via con tanto di lettera di licenziamento. Scrive che il dirigente perbene, il vincitore di concorso, non è efficiente, non è adatto all’esigenze del Comune di Agrigento e per questo lo caccia via. E la Procura di Agrigento innanzi a queste dirompenti anomalie che avrebbero consentito a chiunque di comprendere quale fosse la misura del marcio non ritiene di aver nulla, proprio nulla da dire.
Ora abbiamo il video sopra indicato, quello “Arnone ricostruisce gli anni di Zambuto, La Russa, Di Rosa”, consultabile su google, che pesta di brutto, proprio di brutto, tutti i protagonisti di questo malaffare, da Zambuto a La Russa ai procuratori della Repubblica molto “distratti”.
Sì, siamo proprio caduti in basso. Ma probabilmente avremo la forza per rialzarci.