Una settimana fa, Sergio Cofferati si è dimesso dal Partito Democratico. Alle primarie indette per designare il candidato alla Presidenza della Regione Liguria (le elezioni si terranno a Maggio), è stato sconfitto dalla concorrente Raffaella Paita. Egli sostiene, per effetto di brogli: in particolare, ha rilevato la partecipazione di noti esponenti del Centro-Destra, di cittadini stranieri (che non parlavano bene la lingua italiana, ha voluto precisare: casomai qualcuno rimanesse disorientato dall’argomento), di alcune irregolarità formali (mancata autenticazione di alcune firme) e, fior da fiore, voti comprati; tuttavia, in quest’ultimo caso, non precisando i termini dell’accusa. Il Collegio dei Garanti per le Primarie in Liguria ha deciso di annullare il voto nei tredici seggi della discordia. Nuovo calcolo, stesso esito: perde Cofferati. Il quale, tuttavia, ha annunciato che la Procure di Savona e quella di Genova e, giusto per senso della misura, anche la Direzione Distrettuale Antimafia ligure starebbero indagando. Pertanto, dicevo, si è dimesso.
Sergio Cofferati in atto è Parlamentare a Strasburgo. “Voti miei”, ha risposto a chi gli chiedeva se avesse pensato anche di dimettersi dalla carica, una volta preso atto che il PD, nelle cui liste era stato eletto, era, parole sue, “un partito alla frutta, anzi al digestivo”. Resta un deputato europeo.
La sua migliore stagione sembra trascorsa. Tra il marzo del 2002 (manifestazione riuscita al Circo Massimo contro l’annunciato accordo sulla Riforma del Lavoro con II Governo Berlusconi; e rottura con CISL e UIL) e il Settembre dello stesso anno (dimissioni da Segretario Generale della CGIL), pareva che fosse divenuto il plausibile punto di coagulo di tutto quello che, a vario titolo, rivendicava di essere autenticamente “di sinistra”: Movimento dei Girotondi (J’accuse di Nanni Moretti a Piazza Navona, il 3 febbraio), c.d. sinistra dei DS, sempre più coincidente con la CGIL da egli diretta.
Ma fu una stagione breve quanto tempestosa. La tempesta allora infuriò sul c.d. Libro Bianco, scritto da Marco Biagi e Paolo Reboani (attuale AD di Italia Lavoro, l’agenzia pubblica che si occupa di ricollocare gli LSU e conseguente riedizione del vecchio collocamento), definito “limaccioso” e il suddetto accordo, definito “scellerato”. Furono mesi attraversati da feroci polemiche sul noto omicidio (19 Marzo), rinfocolate dalla pubblicazione di alcune e-mail: in una, il Professore scriveva di temere che le durissime contestazioni di Cofferati “venissero strumentalizzate da qualche criminale” (dalla lettera del 2 Luglio 2001 al Direttore di Confidustria); in un’altra, diretta allo stesso Reboani, che “Mi sentirei un vigliacco a stare dalla parte di Cofferati, dove si adagia la maggior parte dei giuslavoristi italiani per conformismo e tranquillità personale”. Parole stringate ma, letteralmente, plumbee.
Il Nostro venne difeso in qualche modo dal DS. Ma già nel maggio del 2003, Fassino, Segretario del Partito, preso atto che Cofferati aveva assunto la presidenza dell’associazione “Aprile” (ennesimo coagulo della sinistra “vera”) dichiarava “incompatibile” quel ruolo con “la presenza nel partito”. Come si vede, il suo entra-esci, non è nuovo. Quelli, dunque, furono i mesi dell’effimero apogeo di Cofferati (cui non mancò il contributo del Ministro dell’interno in carica Scajola, con l’indimenticato “rompicoglioni”, a spiegazione perenne della mancanza di scorta). Lasciato il Sindacato, divenne poi Sindaco di Bologna, nel 2004. Ma il suo tempo era finito.
Secondo l’esponente del SEL locale, Cathy La Torre (avvocato, consigliere comunale, nata a Trapani, ma bolognese d’adozione, Cofferati sarebbe stato “uno dei peggiori sindaci di Bologna, secondo solo a Guazzaloca” -del Centro-destra). Si sarebbe distinto per la sua assenza, proprio assenza fisica. Il tema logistico, diciamo così, fu confermato dallo stesso interessato, quando, da Sindaco ancora in carica, (2008) annunciò che non si sarebbe ricandidato a Bologna, perchè intendeva essere più presente in famiglia, a Genova. E volle legarsi mani e piedi ad una dichiarazione impegnativa, intervenendo sulle voci di sue possibile candidature, variamente parlamentari: “Il problema non è Bruxelles e nemmeno Roma: se andassi, potreste dire che sono un ciarlatano”. Nel 2009 è Europarlamentare. Emerse così la singolare idea che una carica a Strasburgo lasciasse più tempo per vivere a Genova, e ne venne confermata l’impressione che a Bologna aveva agito su di lui una tenera forza centrifuga. Ciarlatanerie a parte.
Scaduto il mandato, fondato il PD (ha rimarcato il valore delle sue dimissioni anche stigmatizzando che egli è stato “uno dei 45 Fondatori”), ritornato a Strasburgo con i “suoi” voti, siamo all’oggi, alle dimissioni.
Con questa filigrana, si ha l’impressione che si tratti di una mossa, per non dire altro. In questo PD, di Renzi “il padrone”, aveva accettato di candidarsi e di essere rieletto alla “familiare” carica europea. Di questo PD, conosceva le anime che non si parlano, i senatori che danno dell’autistico al loro segretario, e via così. Sicchè lo scivoloso terreno delle “primarie” registra l’esistente: comprese regole opache e caracollanti organizzazioni.
Il punto politico è l’irrilevanza di queste dimissioni. Come anche il caso di Barbara Spinelli dimostra (eletta a scapito di un operaio, letteralmente con la politica del marameo), questa c.d. Sinistra autentica è una sacca socialmente notabiliare e politicamente nulla. Siryza (secondo Maurizio Landini, FIOM, Cofferati sarebbe “lo Tsipras italiano”) Podemos, non sono “l’ultima frontiera” raggiunta dal treno degli umili. Sono solo la penultima fermata di chi viaggia a scrocco della loro condizione e delle loro speranze. Si dimetta Cofferati, si dimetta: ma sul serio.