Gianni Cuperlo, Matteo Renzi e Filippo Civati sono i tre principali candidati alla guida del Partito democratico. Ce ne sono forse altri di concorrenti che non ricordiamo. Ma francamente ci appaiono del tutto irrilevanti. Chi scrive è in Africa e non potrà parteciperà alle primarie del partito democratico. Non che stando in Italia o negli Stati Uniti si sarebbe recato al voto con entusiasmo. Ma da partecipante agli esercizi precedenti abbiamo già ricevuto, nel corso delle ultime settimane, i messaggi elettronici dei principali candidati.
Quelli dei due front runners, Cuperlo e Renzi, sono arrivati per primi. Cuperlo, dice, si è candidato perchè il PD “non ha saputo mantenere la propria promessa di cambiamento di luoghi, strumenti e linguaggi della politica”. Secondo Cuperlo il PD avrebbe bisogno di un Segretario che si dedichi a “tempo pieno” – senza cazzeggiare come farebbe invece il sindaco di Firenze – a ricostruire il legame con la società. Che metta il partito alla guida di “una rivoluzione della dignità fondato su un nuovo patto di cittadinanza, libertà e giustizia sociale”. Bella prosa, ma che non spiega niente. E soprattutto nessuno di quei tanti sbagli ricordati nei dettagli dal giornalista de l’Espresso Marco Damilano nel suo volume “Chi ha sbagliato più forte” (La Terza, 2013). Testo che andrebbe portato come documento di dibattito al prossimo congresso del partito democratico. Per chiedere conto ad un’intera generazione di post-comunisti ed ex-democristiani in gran parte supporters di Cuperlo – Massimo d’Alema e Franco Marini su tutti – della sequela di errori che vanno dalla demolizione dell’Ulivo alla fine degli anni ’90, al boicotaggio della candidatura di Romano Prodi dello scorso aprile alla presidenza della repubblica, momento supremo della riabilitazione di un S.B ormai in declino e al termine della sua avventura politica. L’email elettorale di Cuperlo ci appare piena di omissioni, retorica e tanti generici appelli a valori-icone spesso disattesi.
Di tutt’altro tenore è il messaggio del sindaco di Firenze. In poche righe, senza soporiferi giri di parole, Renzi parla di cambiamenti profondi nella burocrazia, nella giustizia, nel fisco, nellla scuola e nell’università. Forse vago, ma meno di Cuperlo. Con la sua solita abilità, in una formula rapida, Renzi aggredisce la retorica che lo dipinge come il qualunquista o populista di sinistra. “C’e bisogno di più politica” e “di meno politici, meno posti di un sistema che ha moltiplicato i costi” allontanando gli italiani dalla partecipazione al voto. Renzi vorrebbe guidare quella “comunità di uomini e donne esasperata dalla guerra di correnti e dagli intrighi che hanno mandato a casa i nostri leaders” (Prodi). Rivendica con orgoglio la sua esperienza nelle amministrazioni locali, il suo lavoro alla presidenza della Provincia, ricordando come sia da tempo convinto delle necessità di abolire un ente inutile che solo a parole la dirigenza attuale del partito democratico dice di voler eliminare. Ma che è in realtà, come molte istituzioni regionali e comunali, rimane uno strumento ancora troppo essenziale per la gestione del consenso (e dei favori) di un partito solidamente radicato nel territorio.
La lettura attenta dei due messaggi ci conferma l’idea di due dimensioni antropologiche distinte. Le parole di Cuperlo le ha scritte chi si è formato nella prosa, nelle formule, nei riti e nelle litirgie dei partiti dell’Italia tradizionale. O in quelle del PD delle correnti. Cuperlo era iscritto alla Federazione Giovanile Comunista, ed è un dalemiano della prima ora. Del competitor ha detto “Renzi parla (solo) di sè”. Capovolgendo l’assunto potremmo far notare a Cuperlo, “D’Alema parla per te”. È lui che lo manda. È lui l’incarnazione umana dell’ultimo patto tra ex-comunisti e democristiani per conservare il partito in un equilibrio nato vecchio e troppo precario, orfano di identità. Un partito che, nell’ultimo decennio, lo diciamo a voce alta, è sembrato anche molto “meno a sinistra” di quanto possa esserlo stato il PSI di Bettino Craxi dei primi anni ‘80. Nella prosa di Renzi si nota una diversità da outsider. Nel fastidio che solleva Renzi tra i dirigenti tradizionali cogliamo l’aspetto generazionale del fastidio contro l’inesperto parvenu. Un’insofferenza che alla volte pare semplice fastidio per la sua giovane età. A dar fastidio è la rivendicata estraneitá renziana al cerchio magico che ha portato la sinistra al governo, come rivendica il permaloso D’Alema. Il rabbioso D’Alema, che spesso dimentica come quello stesso gruppo l’abbia umiliata più volte, la sinistra.
Renzi dunque sarebbe l’immagine del vuoto senza contenuti. Un giudizio espresso dai molti tradizionalisti e ribadito dalla logorroiche prediche domenicale di Eugenio Scalfari, il capo del partito Repubblica, barbapà e kingmaker della sinistra italiana. Chi scrive ha l’impressione che il vuoto che si rimprovera a Renzi sia tutto nelle critiche e nelle insofferenze nei suoi confronti. Diciamolo chiaramente: Renzi ha la colpa di essere cresciuto negli anni ’80. Di non essere stato iscritto a nessuno dei partiti della prima repubblica. Di essere andato a cena con Briatore. Di essere andato in visita ad Arcore. Di indossare il chiodo come Fonzie. Di essere andato alla Ruota della Fortuna di Mike Buongiorno (cosa certamente imperdonabile). Ma è così tanto più nobile frequentare i meeting del circolo Builderberg? Farsi amici i banchieri? Condividere torte, ricotte e crostate – chissa magari anche qualche mignotta – con il padrone di Arcore, disegnando magari, come nel 1997, la riforma delle istituzioni repubblicane? Farci un governo insieme, affossando con 101 franchi tiratori, il fondatore dell’Ulivo? È meno populista il presenziare assiduo alle trasmissioni di costume di Bruno Vespa?
Questa puzza sotto il naso per chi critica Renzi per la sua ricerca di voti a destra, o oltre la sinistra, proprio non la capiamo. Come se alla sinistra fosse sempre bastato il suo 33 e rotto per cento di elettorato per andare al governo.
A dirla tutta a noi piace Pippo Civati, certo non un leader carismatico. Ma è uno che da mesi parla e scrive del PD e di come dovrebbe essere. Di quello che dovrebbe fare. E di quello che non dovrebbe fare. Ma l’astio pre-costituito contro un emergente, che ha la sola colpa di essere un “giovane”, suggerirebbe un voto di reazione. Un voto ingenuo magari, ma di speranza. Per una generazione, quella che ha certamente meno colpe rispetto alla situazione attuale.