É in corso in questi giorni a New York il meeting annuale della Clinton Global Initiative. Bill, Hillary e Chelsea Clinton fanno gli onori di casa mentre più di 1.000 leader di governo, del mondo degli affari e della società civile, provenienti da decine di nazioni, si incontrano dal 23 al 26 settembre per cercare soluzioni per affrontare sfide sociali, ambientali, umanitarie.
Fondata nel 2005 da Bill Clinton, la Clinton Global Initiative (CGI), è un’iniziativa della Fondazione Clinton, nata con l’obiettivo di riunire i leader mondiali per creare e implementare soluzioni innovative alle sfide più pressanti del mondo.
L’incontro di quest’anno è strutturato intorno a un singolo tema: Mobilizing for Impact. Un tema che cerca di esplorare soluzioni con cui i membri e le organizzazioni aderenti alla CGI possano agire in modo più efficace nell’utilizzare le risorse umane ed economiche a disposizione per migliorare l’impatto delle proprie azioni e progetti. Mobilitare i soggetti giusti, permettendo loro di realizzare il proprio pieno potenziale, per produrre successi duraturi e riproducibili: questo l’obiettivo del meeting di quest’anno. Nel corso dei quattro giorni di incontri, rappresentanti di ONG, organizzazioni internazionali, enti governativi e imprese private si riuniscono intorno a temi specifici che vanno dalla resilienza delle comunità urbane ai cambiamenti climatici fino alla difesa dei diritti della donna e alla sanità. Sempre con l’obiettivo di trovare soluzioni concrete e avviare progetti reali dagli effetti misurabili. Ad oggi i membri della CGI hanno avviato più di 2.300 progetti che hanno interessato oltre 400 milioni di persone in più di 180 paesi per un impegno economico di più di 73 miliardi di dollari. Non solo passerella, quindi, nonostante i tanti volti noti, gli attori e le celebrità (per l’Italia c’era Massimo D’Alema): la Clinton Global Initiative cerca di mettere insieme buone idee, innovazione e risorse economiche per affrontare i problemi del mondo. Senza dimenticarsi dei problemi dell’America stessa.
E di America ha parlato martedì Obama, intervenendo all’ultima assemblea plenaria della giornata. Il presidente, intervistato da Bill Clinton in un’atmosfera da talk show, ha sfruttato l’occasione per parlare di sanità e difendere il cosiddetto Obamacare che, ha ricordato il presidente, non soltanto non va a intaccare il debito pubblico, ma in realtà libera dei fondi che possono andare a coprire parte del debito. Obama ha spiegato nei dettagli il meccanismo per cui, a partire dal 1 ottobre, gli americani che non hanno un piano di copertura assicurativa, potranno fare richiesta per ottenerne uno a costi molto bassi. Si tratta di una strategia per creare dei pool di consumatori privati che, tutti insieme, sono in grado di avere un potere d’acquisto che da soli non avrebbero, diventando così più appetibili per le compagnie di assicurazione che dovranno competere per quel pool offrendo servizi a prezzi vantaggiosi.
“Abbiamo intenzione di difendere questa legge contro quelli che la vorrebbero abrogare. Una decisione che farebbe aumentare il nostro deficit e che lascerebbe milioni di persone esposte, senza copertura”, ha detto Obama ricordando che tra i detrattori dell’Obamacare c’è stato chi gli ha obiettato che la cosa peggiore è che la gente si abituerà ad avere una copertura assicurativa a poco prezzo e finirà per abituarcisi e non volerci più rinunciare. Il presidente ha detto ridendo: “Come se stessero dicendo: la gente diventerà dipendente da questa cosa, la troveranno troppo buona e non potranno più smettere”. Ma Obama si è detto deciso ad andare avanti con un progetto su cui sa di aver giocato tutta la sua presidenza: perché l’America non può continuare ad avere il sistema sanitario al mondo più ingiusto al mondo.