Sarebbero di meno i paesi che nel mondo hanno applicato la pena capitale nel 2011, anche quelli che hanno portato avanti le esecuzioni non costituiscono una cifra allarmante, secondo l’ultimo report “Death sentences and executions 2011” di Amnesty International, presentato ufficialmente all’ONU questo lunedì.
Ciononostante, il resoconto annuale presentato dalla ONG per i diritti umani, ha mostrato come l’utilizzo della pena di morte abbia avuto un aumento del 28% – passando da 567 a 676- esecuzioni tra il 2010 e il 2011. Gli USA sono ancora al centro del mirino, come unica nazione democratica ad aver mantenuto la pena capitale, anche se un crescente numero di Stati starebbe lavorando per abolirla. Nel 2011 in America ci sono state circa 43 esecuzioni, queste cifre la pongono al 5° posto nella classifica mondiale della pena capitale, Amnesty ha confermato però una diminuizione nel complesso, visto che un anno prima erano state all’incirca 46.
In ogni caso gli USA sono fortemente divisi su questo argomento. Il Governatore del Texas, Rick Perry ad esempio, è stato acclamato quando durante il dibattito tra i candidati alle primarie a Settembre, ha giustificato la sua firma su circa 234 esecuzioni eseguite in circa 10 anni di servizio.
Proprio in quel periodo alcuni giovani protestavano in Georgia per evitare l’esecuzione di Troy Davis per l’omicidio avvenuto nel 1991 di un poliziotto. Il caso è stato molto discusso, visto che per anni, testimoni chiave hanno cambiato le loro versioni. Certamente il dibattito sulla condanna di morte è ad un punto di svolta negli USA. Anche se gli stati che ancora la mantengono sono 34, pochi sono ancora quelli che la applicano. In particolare, sempre seguendo il report di Amnesty International, l’Illinois ha bannato la pena di morte l’anno scorso e l’Oregon ha adottato una moratoria sulle esecuzioni, non solo anche il Maryland ed il Connecticut sono vicini nell’eliminarla. Nello stato della California poi, sono state firmate più di 800,000 petizioni per un referendum che abolisca la pena di morte.
Richard Dieter, direttore del Death Penalty Information Center, che monitora l’attività degli USA, ha confermato che circa 78 prigionieri nell’ultimo anno, avrebbero ricevuto sentenze di morte, mentre alcuni anni fa si arrivava anche a 300 casi. Dieter ha attribuito questo declino anche all’introduzione del test del DNA, che ha ridotto i margini di errore nei casi che prevedono la pena capitale. Inoltre i processi per questo di condanne sono molto dispendiosi anche per il governo.
Gli USA sono comunque in una posizione scomoda, perché sono l’unico stato membro del G-8 a mantenere la pena di morte. Anche in Giappone, dove esiste la pena capitale, non ha registrato esecuzioni per la prima volta in 19 anni, secondo il rapporto di Amnesty International. In Europa invece l’unico Stato è il Belarus, mentre in Medio Oriente ancora ci sarebbe ancora una elevata applicazione, con l’Iran in testa con circa 360 casi verificati e l’Arabia Saudita con 82.
In queste aree ed in Asia, c’è ancora un forte gap informativo da parte dei governi nel fornire i dati sulle esescuzioni, per cui ad esempio nel caso della Cina, dove sarebbero state più di 1000, ci sono grossi dubbi sulla certezza delle notizie che trapelano da questo Paese. In Cina infatti, la condanna capitale e’ applicabile a 55 reati, e detiene al momento il primato sulla imposizione della pena di morte. Non solo, lo scorso anno nel gigante asiatico sono state giustiziate più persone che nel resto del mondo, anche se appunto i dati reali sulle condanne a morte continuano a rimanere segreti.
Ci sarebbero invece, secondo il rapporto, molti progressi nell’Africa sub-sahariana, dove, sia il Sierra Leone che la Nigeria, hanno confermato le moratorie sulle esecuzioni. In Ghana poi, la Costitutional Review Commission sta valutando la abolizione della pena di morte.
Per tornare agli USA, la speranza è che molti più Stati raggiungano una risoluzione moratoria sulla pena di morte. Intanto il Dipartimento della Difesa ha annunciato recentemente che valuterà la pena capitale per sei detenuti della base di Guantanamo Bay, a Cuba, attraverso un processo tenuto da una commissione militare. Amnesty come organizzazione ha sempre sostenuto che i processi di questo tipo, siano discriminatori, perché non danno ai cittadini stranieri lo stesso diritto di apparire in una corte negli USA.
*precedentemente pubblicato su www.lindro.it