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December 26, 2011
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POLITICA&GIUSTIZIA/ Silvio, Newt e le toghe rosse

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
In foto il politologo Stanton Burnett

In foto il politologo Stanton Burnett

Time: 7 mins read

L’organizzazione della giustizia nello Stato non è altro che lotta politica con altri mezzi? Forse Newt Gingrich non ce la fará a vincere nel caucus in Iowa, prima tappa delle primarie repubblicane, ma l’ex Speaker del Congresso continua a tenere il pallino del dibattito elettorale. Negli ultimi giorni Gingrich ha tirato fuori idee che potrebbero far scambiare le primarie americane per una delle campagne elettorali di Silvio Berlusconi. 

Dice Newt che il potere dei giudici, la cosidetta “supremazia del potere giudiziario”, deve finire e aggiunge che quei giudici federali che se ne escono con sentenze “strane”, dovrebbero essere convocati al Congresso per spiegare le loro scelte e in caso non ci riuscissero dovrebbero essere licenziati… 

Uno potrebbe contestare a Newt: ma con la crisi economica che c’è e il mondo sottosopra, come argomento elettorale non ha trovato di meglio che attaccare i giudici? Ma il fiuto da cacciatore di voti ancora indecisi, gli dice che certe sacche dell’elettorato repubblicano restano molto sensibili alle sentenze di giudici federali che ridimensionano il valore pubblico della religione cristiana. Secondo Newt, certi giudici danno troppo ragione alle loro idée secolariste senza prendere in considerazioni i valori della nazione Americana. Gingrich sembra non temere affatto che riaccendere il conflitto ’giudici-valori religiosi’ possa danneggiare la sua campagna elettorale. Predica anzi presso gli elettori: non è l’eccezionalismo americano e la forza della Costituzione, la vera natura del sistema americano? O volete diventare una sorta di società burocratica secolarista e socialista di stampo europeo?” 

L’attacco di Gingrich ai giudici federali non è stato uno scatto improvviso, ma fa parte di una strategia di campagna elettorale ben programmata. Dopo averne accenato nell’ultimo dibattito politico con i suoi contendenti, l’ex Speaker durante una intervista alla Cbs domenica scorsa, ad una domanda dell’intervistatore sulla questione giustizia (che pare sia stata suggerita proprio dall’intervistato…) ha proposto la ’rimozione’ dei giudici e la possibilità di emettere loro un mandato di comparizione di fronte al Congresso per spiegare il significato di alcune loro sentenze. Il conduttore del programma ’Face the Nation’, Bob Schieffer, a quel punto ha chiesto a Gingrich cosa farebbe se osse presidente e i giudici federali si rifiutassero di comparire: “Gli manderei gli ‘US Marshal’”, ha risposto pronto Newt, cioè proprio quelle forze speciali federali che si occupano di proteggere i giudici da chi li minaccia…

Gingrich si scaglia contro la judicial supremacy affermando che “Non esiste alcuna ragione storica per cui il potere giudiziario debba essere più forte del Congresso o la Casa Bianca… I nostri padri fondatori disegnarono un sistema fondato sul bilanciamento dei tre poteri”… 

Quando le invettive di Gingrich contro i giudici federali hanno riempito le pagine dei giornali americani, ho pensato subito al nostro Berlusconi e ai suoi slogan politici più insistenti durante le sue compagne elettorali, come lo ’strapotere della magistratura’capace di minacciare governi e Parlamento. Ma si possono veramente paragonare gli attacchi di Gingrich alla magistratura Usa con quelli di Berlusconi? La tentazione c’è e per farlo ho consultato l’esperto americano che più di chiunque altro ha analizzato il conflitto tra politica e magistratura in Italia nell’era di Berlusconi: Stanton Burnett. L’ex professore di scienze politiche e diplomatico, poi Director of Studies dell’autorevole Center for Strategic and International Studies di Washington, è l’autore di ’The Italian Guillotine: Operation Clean Hands and the Overthrow of Italy’s First Republic’. (1998)

Ma prima di riferirvi le considerazioni del Dr. Burnett sugli attacchi di Gingrich ai giudici, messi in relazione con quelli di Berlusconi ai magistrati italiani, una premessa necessaria. Nel giugno 1998, all’uscita del suo libro (scritto con Luca Mantovani), intervistai Burnett per il quotidiano ’America Oggi’, e l’autore della ’Ghigliottina italiana’ ribadì le sue tesi bomba: Mani Pulite sarebbe stata un attacco della magistratura in gran parte politicizzata e di estrema sinistra ai partiti della Prima Repubblica. Subito dopo quell’intervista, che metteva sul banco degli imputati i magistrati del Pool di Milano, ottenni un’intervista con i magistrati Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, che ebbero l’opportunità di replicare alle tesi di Burnett e che, soprattutto Davigo, si scagliarono anche contro l’allora capo dell’opposizione Silvio Berlusconi che li accusava di essere uno strumento in mano della sinistra comunista… Senza neanche rendermene conto, scatenai da New York un putiferio in Italia.

Inoltre, per una frase attribuita a Davigo che nella trascrizione dell’intervista risultò imprecisa (scrissi “Berlusconi era stato condannato” invece di “è stato condannato”), il leader di Forza Italia accusò il magistrato di “malafede” convocando una conferenza stampa in cui annunciava di voler querelare Davigo e anche “quel giornalista americano…”. Berlusconi presentò le dichiarazioni dei magistrati milanesi rilasciate nell’intervista come prova della ’persecuzione’ politica per via giudiziaria di cui si sentiva vittima. Da quell’estate del 1998 le accuse del Cavaliere contro la magistratura italiana crebbero fino a raggiungere l’apice durante i successivi anni trascorsi a Palazzo Chigi.

Ormai sono convinto che quelle doppie e lunghe interviste a Burnett e ai magistrati di Milano (nel ’98 ’America Oggi’ non aveva ancora un sito internet, mi riprometto al più presto di ritrascriverle e farle trovare on line) agevolarono Berlusconi nel sostenere il suo teorema. A dare ’dignità politica’ alle accuse di Berlusconi, era proprio il libro di Stanton Burnett, anche se il politologo americano ha sempre tenuto a precisare che nel voler analizzare i pericoli derivanti da una magistratura ’politicizzata’ non voleva favorire Berlusconi (Burnett si é sempre dichiarato di idée politiche “liberal”, di sinistra, ndr).

Terminata la lunga premessa, ecco la risposta di Stanton Burnett, senior adviser del Center for Strategic and International Studies di Washington, a questa mia domanda. Nel riaccendere il conflitto tra politica e magistrati, Gingrich potrebbe ispirarsi a Berlusconi oppure il paragone tra gli Usa e l’Italia resta improponibile? 

"Come sappiamo bene entrambi, le differenze tra le due situazioni sono così numerose che sarebbe troppo facile scartare ogni tentativo di comparazione. Ma penso anche che negare totalmente il paragone sarebbe altrettanto sbagliato. Ecco prima una lista seppur incompleta delle più ovvie differenze tra i due sistemi: le funzioni di indagine e accusa in Italia sono svolte dallo stesso corpo di magistrati. Negli Stati Uniti, invece le carriere o la loro organizzazione non sono in contatto. Negli Usa un avvocato che ha svolto una carriera da avvocato difensore, può essere eletto o essere nominato alla carica di giudice, e infatti molti lo diventano, tanto quanto possono diventarlo i district attorney (i nostri pm). Va sottolineato che l’attivismo politico di cui si lamenta Berlusconi si riferisce a magistrati che svolgono le funzioni di pm, non di giudici, anche se i magistrati pm spesso potrebbero contare su magistrati che svolgono le funzioni di giudici per sostenere i loro casi. Al contrario le lamentele di Gingrich si riferiscono eslusivamente alle funzioni esercitate dai giudici che giudicano. Cioè l’attacco di Gingrich si riferisce a problemi di politica e interpretazione della legge e della costituzione. Il Pool di Milano invece si occupava di incriminare solo persone. In Italia allora non c’era uno specifico dibattito politico in corso come c’è in America, a meno che qualcuno non voglia sostenere che agli imprenditori e ad altri soggetti dovrebbe essere concesso di poter dare soldi sotto banco ai partiti e ai politici…"

 Burnett a questo punto aggiunge: “In entrambe le situazioni, c’è un partito del conflitto che rappresenta una posizione politica estrema. Negli Stati Uniti Gingrich da voce all’estrema destra. In Italia, il Pool di Milano era costituito da magistrati che erano stati connessi con il Partito comunista, o si erano dichiarati, molti anni prima, insoddisfatti dalla moderazione del Pci (Di Pietro rappresenta l’eccezione). Berlusconi aveva pure nella sua coalizione un paio di partiti estremisti, ma una delle poche cose di cui non è stato accusato è di radicalismo politico, di estremismo idelogico (probabilmente era troppo poco interessato alle ’idee’ per poterlo essere). Poi l’idea della separazione dei poteri gioca un differente ruolo nel sistema presidenziale da quello giocato nel sistema parlamentare. La lista potrebbe continuare, ma prima di eliminare ogni possibilità di connessione tra le due polemiche, dobbiamo anche considerare un punto di contatto cruciale. Sia Berlusconi che Gingrich risultano colpevoli nel dimostrare mancanza di rispetto per lo spirito delle istituzioni politiche stabilite costituzionalmente nelle loro nazioni. Gingrich, con le sue proposte, schiaccia apertamente la separazione dei poteri. E Berlusconi preferirebbe poter fare a meno del Parlamento così come dei magistrati, a meno che non sia il ’suo’ parlamento. Infatti ritengo che sia stato proprio questo atteggiamento, più che lo scontro politico tra destra e sinistra, che ha allarmato il presidente Giorgio Napolitano su Berlusconi fin dall’inizio. Probabilmente l’ultima mossa ufficiale di Berlusconi, le sue dimissioni, è stata la più rispettosa delle istituzioni di tutta la sua carriera politica”. 

Infine Burnett conclude: “Su questo ultimo punto, Gingrich è ancora più colpevole di Berlusconi. Ma il primo è stato un professore di storia e su questa tenta anche di basare certe sue posizioni. Non ho mai avuto notizie che il Cavaliere si appassioni ai libri di storia…”. Questa volta le idée del politologo americano ideatore della "ghigliottina italiana" difficilmente potranno aiutare l’ex capo del governo…

 

Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata sull’appzine L’INDRO ed è disponibile su www.lindro.it/

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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