Non si può non comunicare. E comunicare significa condividere, avere la possibilità di comprendere quanto l’altro conti per noi, riuscire ad ascoltare e allo stesso tempo mettere a disposizione degli altri quello che sappiamo. Renderlo patrimonio comune.
Oggi la comunicazione è indispensabile, perché ci troviamo in un mondo estremamente connesso e siamo in simbiosi con lo smartphone. Ormai, questo tipo di tecnologia è entrata nella nostra vita e ci avviamo verso una comunicazione sempre più invasiva.
Pensiamo all’ultimo progetto di Mark Zuckerberg che è quello di creare questo universo virtuale, chiamato Metaverso, in cui noi costantemente ci troviamo più a nostro agio rispetto alla vita reale.
Molto spesso siamo convinti di comunicare, ma forse stiamo subendo forme di propaganda e di disinformazione che possono essere molto pericolose. La comunicazione è democrazia, mentre la disinformazione e la propaganda non hanno nulla a che vedere con la democrazia.

Da tempo studio il fenomeno fake news. In articoli scientifici, un saggio ed un libro divulgativo ho provato a fotografare quello che sta accadendo tra disinformazione e disintermediazione.
ll tentativo è quello di spiegare perché una notizia verosimile, o anche scritta molto bene, abbia un appeal maggiore rispetto ad una notizia vera. Il mercato della disinformazione è un mercato florido ed è difficile distinguere una notizia vera da una falsa.
Insieme al collega Andrea Altinier abbiamo individuato una sorta di esagono delle fake news che evidenzia la loro velocità e la loro capacità di rientrare nei flussi comunicativi, grazie alla crossmedialità, cioè passando da un media all’altro molto facilmente. Noi riceviamo tante notizie sulla messaggeria veloce e questo agevola la disinformazione, perché siamo portati con i gruppi di appartenenza a credere a quello che ci viene inviato.
Solitamente, non cerchiamo verità in rete, ma quello che conferma la nostra convinzione. Sociologicamente si chiama “pregiudizio di conferma”, ossia vogliamo confermare quello che noi pensiamo. A volte, confermiamo anche la nostra ignoranza e la nostra presunzione di essere preparati sull’argomento.
La notizia falsa si nasconde molto bene e ci sono dei modi per capire chi l’ha pubblicata e quale credibilità abbia chi l’ha pubblicata. Bisogna verificare se la testata ha pubblicato altre notizie e se altre testate hanno pubblicato la stesse notizie. Più difficili da scoprire sono i deep fake, ovvero i video taroccati che entrano nel mercato dell’informazione.

La pandemia prima e la guerra dopo ci hanno fatto capire quanto il mercato dell’informazione sia travolto dalle fake news. Tantissime le bufale sui vaccini e sulla guerra in Ucraina che hanno danneggiato le persone quasi al pari dei droni, degli elicotteri e dei caccia bombardieri. La tendenza è quella di dare molto spazio alle bad news.
Le bad news colpiscono per la loro straordinarietà, ma nel lungo periodo non costruiscono una relazione con il lettore. Le good news, invece, sicuramente non sono sempre sensazionali, ma possono costituire condivisione e partecipazione da parte del lettore, perché toccano temi vicini a lui.
Oggi il trend dominante è quello del prevalere delle bad news, perché nell’iper-circolazione delle notizie è molto più probabile che si fissino nella memoria eventi negativi e di violenza per l’impatto che le immagini hanno su di noi.
Morcellini sostiene che: “Il genere della cronaca nera è diventato debordante nella comunicazione italiana su qualunque piattaforma, con riflessioni e ricerche cha hanno spaziato dallo studio dei terremoti dal punto di vista dell’informazione istituzionale e della complessa ricostruzione di legami sociali, al terrorismo politico dalla vicenda Moro all’attacco delle due Torri, per attestarsi oggi sui meccanismi di alterazione della socialità e della comunità sotto il ricatto del Covid – 19”.
Le fake news viaggiano veloci perché hanno spinte molto forti e diventa semplice far passare un messaggio anziché un altro. Incidono su 3 settori della vita sociale: economia, politica e scienza. Dietro alle fake ci sono interessi economici, di consenso o potere, che alimentano i bisogni degli Stati.
Nel conflitto tra Russia e Ucraina, per la prima volta, l’Unione Europea non ha permesso a due testate giornalistiche russe di essere visibili in tutti i paesi europei: una decisione mai presa prima d’ora.

Accade che un gettito maggiore di notizie vada ad alimentare la disinformazione e la misinformazione. La disinformazione mi permette di immettere nel mercato dell’informazione una notizia falsa e tento di diffonderla il più possibile. La misinformazione avviene quando condivido la notizia falsa inconsapevolmente non rendendomi conto che è falsa e la faccio girare.
Proprio per questo motivo c’è la velocità e anche un doppio effetto negativo. Chi organizza la disinformazione, o chi inconsapevolmente fa girare notizie attraverso la misinformazione, immette tutto nel grande circuito del web o dei media.
I social network sono quelli che alimentano la disinformazione. Una ricerca americana ci dice che su un campione di diecimila persone, le persone ultra sessantenni sono i maggiori spacciatori di fake news.
Un dato impressionante che ci fa capire quanta disinformazione possa circolare anche sulle diverse piattaforme. Pensiamo ai preadolescenti su Tik Tok e agli adolescenti su Instagram, che quotidianamente condividono link e video, dando vita a realtà parallele.
Un tempo i giornalisti avevano il compito di essere certi della fonte della notizia. Adesso, un buon giornalista deve essere capace di intercettare una notizia vera o una notizia falsa sulla rete e andare a scrivere di conseguenza.

Oggi, tra i compiti del giornalista, non c’è solo quello di cercare la notizia, ma anche capire se la fonte è autorevole oppure no. Il comunicatore ha un compito complesso e può entrare in gioco anche quando deve smentire una notizia falsa attuando il fact checking.
Purtroppo, le fake news riescono a penetrare ovunque e ci sono stati casi in cui una falsa notizia generata da un social network è poi diventata crossmediale e ha attraversato tutte le testate giornalistiche, rendendo difficile la sua smentita.
I dati ci dicono che il 60% delle persone che condividono una notizia falsa sul loro profilo non sono disposte a toglierla anche se c’è un lavoro di fact checking preciso e dettagliato. Quindi anche se riescono a convincersi che la notizia è falsa, la lasciano online a causa delle loro idee.
Il futuro della comunicazione è florido e proficuo, ma il vero problema è il futuro della democrazia e quanto sarà controllato il nostro mondo. A Singapore ormai non esiste più la polizia, perché il sistema di controllo è cosi efficace che quando qualcuno pensa di compiere un reato viene subito intercettato.

Il mondo verso cui ci stiamo avvicinando è quello in cui il controllo delle nostre vite è sempre più contorto e realizzato da persone che hanno tutto l’interesse di studiare i nostri comportamenti e di riuscire a vendere le nostre emozioni.
Di fatto, diventa sempre più difficile assicurare processi democratici e pluralisti, poiché la metacomunicazione può danneggiare la nostra vita. Inoltre, l’idea che abbiamo di democratizzare il privato e pubblicare tutto quello che facciamo sui nostri social preferiti ci rende più esposti.
La comunicazione è essenziale se rappresenta la verità e non la menzogna o la bugia. Credo che un professionista della comunicazione preparato riesca ad essere protagonista del mercato della comunicazione e chi non è preparato o chi improvvisa, in un mercato che si sta professionalizzando sempre di più, rischi di essere tagliato fuori.
La direzione che dobbiamo intraprendere è quella di puntare ad un giornalismo di qualità, capace di trasmettere contenuti e valori. L’assenza di queste caratteristiche non ci porterà ad avere una comunicazione efficace. La nostra capacità sta anche nel dribblare le insidie che quotidianamente noi dobbiamo affrontare, facendo una comunicazione costruttiva e combattendo il falso che sembra vincere clamorosamente.