Manca poco, solo qualche giorno, e saranno trent’anni da quel 23 maggio 1992, quando la Cosa Nostra fece saltare in aria e uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani. Quelle ore e quei giorni, assieme ai miei colleghi del TG2 Rita Mattei e Ulderico Piernoli, li abbiamo vissuti in “presa diretta”, a Palermo.
I professionisti del ricordo e delle celebrazioni già sono mobilitati per raccontare quello che non hanno vissuto per il “semplice” motivo che non c’erano; ma i loro racconti saranno doviziosamente corredati da “particolari” inediti; sarà un diluvio di “il caro amico Giovanni”, il “maestro Falcone”…
Per vicende legate al mio lavoro di inviato l’ho vissuta tutta quella terribile stagione: il primo delitto, Salvo Lima; e poi gli altri: Falcone, Paolo Borsellino, Ignazio Salvo: delitti diversi, persone diverse, naturalmente. Ma al tempo stesso penso parte di un unico disegno, o almeno “unitario”: nel senso che è come se una gigantesca mano abbia voluto spazzare via da un tavolo tutto quello che vi era posato sopra, per poi dar inizio a un altro possibile equilibrio.
A questa mattanza credo si possa aggiungere anche il per fortuna fallito attentato contro il commissario Rino Germanà, anche lui è una “memoria storica”, una banca dati che cammina, e soprattutto pensa: si salva per la sua prontezza; è sul lungomare di Mazara del Vallo, quando cercano di ucciderlo; le armi si inceppano, un attimo di esitazione dei killer, lui rapido si getta in acqua, così la scampa.

Mi ha sempre colpito la scansione dei delitti: Lima 12 marzo; Falcone 23 maggio; Borsellino 19 luglio; Germanà, 14 settembre: sanguinose cambiali che scadono ogni due mesi. Ma forse è solo una suggestione, una “fantasia”.
Per tornare a Falcone, ero a Palermo in quei giorni, poche ore dopo gli attentati; nonostante il tempo trascorso, ho ancora vive le scene che si sono presentate sotto i nostri occhi. Sono vicende, storie, che cerco ancora di seguire per professione, e anche per una sorta di coscienza civica. È importante non smarrire la memoria di quello che è accaduto, cercare di capire perché.
Falcone aveva molti nemici, la Cosa Nostra gliela giura. È “normale”, nell’ordine delle cose. Cosa dovevano mai cercare di fare quei delinquenti sanguinari? Non è lì che si deve guardare, non è quello che va ricordato.
Per quello che mi riguarda, ricordare Falcone significa non smarrire la memoria di alcuni “momenti” di cui si dovrebbe provare vergogna. Sintetizzo:
a) È il Consiglio Superiore della Magistratura a maggioranza (compresi due su tre aderenti a Magistratura Democratica) a preferire Antonino Meli a Falcone, quando Falcone si candida all’Ufficio Istruzione.
Uno dei due, la sig.ra Elena Paciotti, viene poi eletta al Parlamento Europeo nelle liste del PCI-PDS;
b) Sono i suoi colleghi magistrati, a maggioranza, a bocciarlo quando si candida al Consiglio Superiore della Magistratura;
c) Sono Leoluca Orlando, Carmine Mancuso e Alfredo Galasso, rappresentanti dell’allora “Rete”, a denunciare Falcone al Consiglio Superiore della Magistratura, accusandolo di tener chiuse nei suoi cassetti le verità sui delitti eccellenti a Palermo. Dinanzi al CSM Falcone è costretto a difendersi da questa accusa;
d) Nel corso di una famosa puntata del Maurizio Costanzo Show, Falcone (presente) viene accusato di aver “disertato” per aver accettato l’incarico di direttore degli Affari Penali al ministero della Giustizia;
e) Quando viene costituita, da una sua idea, la Procura Nazionale Antimafia, il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferisce il procuratore di Palmi Agostino Cordova;
f) È Alessandro Pizzorusso, consigliere laico del CSM a firmare nella pagina due de l’Unità un lunghissimo articolo nel quale in sostanza si sostiene che Falcone non è affidabile perché ha accettato l’incarico al ministero della Giustizia.

Che la Cosa Nostra, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro e gli altri boss mafiosi volessero Falcone morto, ripeto, è nell’ordine delle cose. Non sarebbero stati i mafiosi che sono stati e sono. Ma sono soprattutto le coltellate che Falcone ha avuto alla schiena, che si dovrebbero ricordare. Borsellino una volta ha parlato di un Giuda: non uno solo; tanti, i Giuda.
Poi ci sono le domande che attendono risposta. Falcone ha cura di redigere una sorta di diario. Una parte l’affida a una giornalista amica: saggia precauzione col senno di poi; alla sua morte viene pubblicato, ed è Borsellino a certificarne l’autenticità. Tuttavia, il documento nella sua integrità, a quanto mi è dato sapere, risulta tuttora irreperibile. Irreperibili alcuni file del computer trovato nell’abitazione di Palermo. Irreperibili i file nel computer nell’ufficio al ministero di Giustizia: cancellato il disco rigido del computer trovato nell’abitazione romana. Una vera e propria “bonifica” che non può essere stata fatta da Totò Riina e dai suoi tagliagole.
Forse ho perso qualche passaggio, ma sono tanti i documenti spariti, intere biblioteche. Scomparsi gli appunti scritti dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sul vorticoso giro di appalti palermitani e siciliani. L’inseparabile borsa da cui il generale mai si separa, e che si vede anche in molti filmati di repertorio, “sparisce” per lungo tempo. La ritrovano in uno scantinato del tribunale di Palermo. Vuota. Il generale si porta a spasso, senza mai abbandonarla, una borsa vuota?
Scompare il foglio della relazione di servizio redatta dall’agente Calogero Zucchetto, il primo ad arrivare sul luogo dell’omicidio Dalla Chiesa. Anche Zucchetto è ucciso dalla mafia. Scompare l’agenda del capo della sezione investigativa della squadra mobile di Palermo Ninni Cassarà, ucciso dalla mafia. Scompare l’agenda che Cassarà sequestra a casa di Ignazio Salvo. Scomparsi gli appunti del poliziotto Nino Agostino, ucciso dalla mafia assieme alla moglie.

È anche grazie ad Agostino se il misterioso attentato all’Addaura, sempre contro Falcone, fallisce. Si parla di quell’attentato ordito, secondo Falcone, da “menti raffinatissime”. Dell’agenda rossa di Borsellino, sappiamo tutto. Il magistrato l’ha con sé, molti l’hanno vista, a via D’Amelio; dopo l’attentato, qualcuno la fa sparire. Scomparsi anche gli appunti del maresciallo Antonino Lombardo, che svolge un ruolo non secondario nella cattura di Riina, e misteriosamente si suicida all’interno della caserma Bonsignore di Palermo.
Come si dice: un indizio è un indizio; due indizi sono una coincidenza; ma tre indizi sono una prova. Qui gli indizi sono un’infinità. Ecco, a trent’anni da Capaci questo penso si debba cercare di ricordare.