Ha vinto il New York Times. I dodici giurati hanno respinto la richiesta di Sarah Palin nella sua causa per diffamazione contro il quotidiano, sostenendo che non vi fossero prove per sostenere che il giornale l’avesse diffamata con malizia.
L’ex governatrice dell’Alaska aveva citato in giudizio il Times e il suo ex editore della sezione editoriale James Bennet nel 2017, dopo che era stato pubblicato un commento che collegava erroneamente una mappa disegnata dal comitato di azione politica di Sarah Palin alla sparatoria del 2011 in cui furono uccise sei persone, e altre 12 ferite, tra cui l’ex deputata dem Gabrielle Giffords. L’editoriale in questione era intitolato “America’s Lethal Politics” ed era stato pubblicato il 14 giugno 2017, giorno di una sparatoria avvenuta in Virginia durante una partita di baseball tra congressmen repubblicani.
Una decisione un po’ scontata dopo che ieri il giudice federale che presiede la causa, Jed S. Rakoff, aveva affermato che non avrebbe accettato un verdetto di colpevolezza per un caso di diffamazione in cui c’era stata una rettifica meno di 12 ore dopo la pubblicazione. Il Times non perde una causa per diffamazione in un’aula di tribunale a New York da almeno 50 anni.
Il caso è stato un test importante per il Primo Emendamento e dell’altissimo limite legale che la Corte Suprema ha fissato per provare un’accusa di diffamazione contro i giornalisti.
Gli avvocati dell’ex governatrice dell’Alaska e candidata alla vicepresidenza repubblicana scelta da Jon McCaine nel 2008, hanno affermato che le attuali misure legali per proteggere i giornalisti dalla responsabilità giuridica sono obsolete ed eccessivamente ampie. Kenneth Turkel, il legale della Palin aveva argomentato che il giornale aveva agito irresponsabilmente, collegando in modo scorretto la retorica della Palin alla sparatoria e sostenendo che l’ondata di violenza politica era il frutto dell’esasperato confronto politico.
Nel poster creato dal Comitato di Azione Politica di Sarah Palinm il distretto elettorale di Gaby Giffords era uno dei 20 che mostrava un disegno della mappa degli Stati Uniti con le crocette del mirino che lo puntavano. Bennet scrisse dei “chiari legami” fra l’azione dell’attentatore e i messaggi sui social del comitato politico di Sarah Palin, definendo quest’ultima colpevole di “evidente incitamento”.
Sul banco dei testimoni, l’ex redattore del Times che ha forzato il collegamento ideologico, James Bennet, ha testimoniato che il suo errore lo aveva lasciato tormentato dal senso di colpa e che da allora ci aveva pensato quasi ogni giorno. “È stato solo un terribile sbaglio”, ha detto aggiungendo che l’intenzione era quella di affrontare l’acceso confronto politico e che erroneamente affermava che c’era un legame “chiaro” tra le violenze e la mappa creata dal Comitato politico di Sarah Palin.
David Axelrod, l’avvocato del Times, ha affermato che il giornale aveva commesso “un errore onesto” e si era comunque corretto nel giro di poche ore. Secondo Axelrod, la tesi della Palin rispondeva a una “teoria complottista” secondo la quale James Bennet avrebbe deliberatamente gettato del fango su di lei. Testimoniando, Bennet, imbarazzato dalla sua cantonata, ha ammesso l’errore ma anche la velocità con cui è stata compiuta la rettifica. Un personaggio pubblico come Sarah Palin avrebbe dovuto dimostrare che la testata giornalistica avesse agito con “malizia” pubblicando informazioni false con la piena consapevolezza della loro falsità.
L’ex responsabile delle pagine degli editoriali ha detto di essere stato inizialmente sorpreso dal fatto che alcune persone avessero interpretato l’opinione come un’indicazione che l’uomo che ha sparato a Gaby Giffords fosse stato incitato dalla Palin. “Questo – ha detto – non è il messaggio che si voleva inviare. Da allora me ne sono pentito praticamente ogni giorno”. Gli avvocati della Palin hanno affermato che Bennet “aveva una motivazione politica” e che il pezzo era un’“opera di successo politico”, ma le e-mail mostrate in tribunale dettagliano le discussioni tra più membri del comitato editoriale che hanno rimuginato sull’idea dell’editoriale nelle ore immediatamente successive alla sparatoria in cui fu ferito il congressman Scalise. Diversi giornalisti hanno testimoniato ricostruendo l’iter editoriale e il loro ruolo nel lavoro sul pezzo, incluso il fact-checking.
Da vedere ora se si dovesse arrivare alla Corte Suprema come reagirà la maggioranza dei Justices a forte maggioranza conservatrice dopo la nomina degli ultimi tre magistrati da parte di Donald Trump.