“You got to speak out against the madness” (“Devi denunciare la follia”), cantavano Crosby, Stills & Nash nel brano Long Time Gone del 1969. Più di mezzo secolo dopo, i tre componenti del supergruppo folk statunitense si sono comportati di conseguenza, annunciando il ritiro del loro repertorio musicale da Spotify in segno di protesta contro il colosso svedese per il fallimento nel censurare le teorie no vax.
La principale piattaforma di streaming musicale al mondo è infatti finita nell’occhio del ciclone per colpa di un celebre podcast – The Joe Rogan Experience – tenuto dal comico Joe Rogan. Personaggio assai popolare negli Stati Uniti, Rogan è stato corteggiato per mesi da Spotify, che ha convinto il newjerseyan a produrre contenuti esclusivi sulla piattaforma pagandolo 100 milioni di dollari.
Materia del contendere è lo spazio concesso nella trasmissione a ospiti controversi come il dr. Robert Malone, pioniere dei vaccini a mRNA che ha sposato la causa antivaccinista, nonché feroce critico della gestione pandemica da parte delle pubbliche autorità (paragonate nel talk alla Germania nazista di Hitler).
A molti ascoltatori non è piaciuta nemmeno un’altra affermazione di Rogan, che durante la puntata del 25 gennaio ha espresso perplessità sull’opportunità di chiamare “nero” (e non “marrone”) chi non sia nato nel “posto più nero” dell’Africa.

Ad aprire simbolicamente il portone d’uscita è stato, lo scorso 24 gennaio, il cantautore e chitarrista Neil Young. Lo storico artista canadese-statunitense ha scritto una lettera ai propri managers, riportata nei contenuti essenziali dalla rivista Rolling Stone. “Voglio che facciate sapere immediatamente a Spotify OGGI che voglio ritirare tutta la mia musica dalla loro piattaforma”, ha scritto Young, accusando Spotify di stare “causando potenzialmente la morte di coloro che credono alla disinformazione (sui vaccini) diffusa da loro”. Infine, l’aut aut: “Possono avere Rogan o Young. Non entrambi”.
Più tardi, il 28 gennaio, si è accodata in uscita anche la connazionale folk Joni Mitchell. Come già Young, Mitchell ha quindi rilanciato una lettera firmata da più di 1.000 medici che chiede a Spotify di agire contro la disinformazione sul vaccino. Nelle ultime settimane l’esodo dalla piattaforma è proseguito con la fuoriuscita di Nils Lofgren (chitarrista di Bruce Springsteen), India.Arie e, come anticipato, gli altri membri della superband Crosby, Stills, Nash & Young – ossia David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash.
Una circostanza particolare riguarda David Crosby, che ha espresso solidarietà all’amico Neil Young ma non è più in grado di richiedere la rimozione del proprio repertorio da solista. Difatti, seguendo la scia di colleghi come Bob Dylan e Bruce Springsteen, all’inizio dello scorso anno Crosby ha venduto i diritti sulla sua produzione musicale alla Iconic Artists Group, a cui da allora spetta l’unica voce in capitolo per questo genere di decisioni commerciali.

A mettere altra benzina sul fuoco che assedia la fortezza-Spotify ci hanno pensato poi anche alcuni utenti, che hanno lanciato l’hashtag #DeleteSpotify e cancellato i loro abbonamenti, invitando gli altri a fare altrettanto.
Nonostante il danno d’immagine, però, la società svedese ha deciso di tirare dritto. Lo scorso 30 gennaio, il CEO Daniel Ek ha affidato la sua risposta a un post sul sito Web della società: “Sappiamo di avere un ruolo fondamentale nel sostenere l’espressione dei creatori, bilanciandola con la sicurezza dei nostri utenti. In tale ruolo, è importante per me che (Spotify) non assuma la posizione di censore di contenuti, pur assicurandoci che ci siano regole e conseguenze per coloro che le violano.”
La società ha comunque teso la mano ai contestatori attraverso la pubblicazione di nuove regole di piattaforma, aggiornate, accessibili e tradotte in più lingue. Quindi, verrà presto aggiunto un avviso informativo sotto ogni episodio di podcast che tratti di Covid-19 (analogamente a quanto già fanno Facebook, Instagram e Twitter).
Una mossa, quella dell’avviso, salutata con favore dallo stesso Rogan, che in una video-risposta su Instagram ha espresso la volontà di ospitare esperti con opinioni diverse su temi che lui chiama “controversi”.
La questione è finita persino alla Casa Bianca. La portavoce di Biden, Jen Psaki ha definito la scelta di inserire un disclaimer come “un passo positivo, ma vogliamo che ogni piattaforma continui a fare di più per spingere fuori la disinformazione e la misinformazione, e allo stesso tempo promuovere un’informazione accurata.”
Ciononostante, il dibattito continua a infervorare l’opinione pubblica. Da una parte i sostenitori di una censura per il bene comune, ossia intesa a limitare la proliferazione di fake news e la disinformazione sulla pandemia. Dall’altra, chi si chiede amaramente cosa succederebbe alla libertà di parola se i giganti del Web si trovassero a dover censurare tutte le affermazioni sgradite o controverse, attentando così al Primo Emendamento e al pluralismo delle idee.