Quest’anno, il secondo della pandemia covid, La Voce di New York festeggia la festa della Liberazione del 25 aprile e quindi il suo ottavo compleanno, con una conversazione dedicata alla libertà di stampa. Già, come sta messa nel 2021?
Crediamo che sia importante discuterne a pochi giorni dalla giornata internazionale della libertà di stampa, che alle Nazioni Unite viene celebrata il 3 maggio e che sia anche molto appropriato farlo nel giorno in cui in Italia si celebra la liberazione dalla dittatura e occupazione nazi-fascista.
Nel 1945, in ogni provincia italiana che veniva liberata dagli Alleati e/o dalla resistenza dei partigiani, tornavano anche a stamparsi quei giornali vietati dal regime fascista, mentre quelli che ne erano stati controllati da vent’anni, potevano togliersi la museruola e da organi di propaganda ridiventare testate d’informazione degne di questo nome.

Ci sembra giusto che nel ricordare quel momento di euforia per la libertà ritrovata della stampa italiana, si rifletta sul come e dove siamo arrivati dopo 76 anni, per capire magari come sia stato possibile che la paura del covid-19 abbia assestato altri colpi alla crisi di credibilità in cui versa il giornalismo del XXI secolo.
Nel nostro scambio di idee con gli autorevoli colleghi che saranno con noi in diretta video sulla nostra pagina Facebook, non ci limiteremo a parlare di libertà di stampa in Italia. Lo faremo soprattutto guardando anche agli Stati Uniti e a quelle parti del mondo dove la situazione nei prossimi mesi si prevede diventi drammatica. Ma è qui, nella patria del Primo Emendamento, dove la libertà di stampa ed espressione ha mosso i primi passi, che la situazione sta diventando imbarazzante: secondo recenti classifiche di organizzazioni che monitorizzano la libertà di stampa, anche quest’anno gli USA scendono alcuni gradini, fermandosi in posizioni mortificanti.

Quello che in questo 2021 ancora sconvolto dalla pandemia ci appare chiaro, è che la libertà di stampa ed espressione nel mondo, a differenza che dal 25 aprile 1945 ad oggi, non appare più in lenta ma continua espansione, ma semmai in ritirata. Se però nella Hong Kong ormai violata dall’autoritarismo cinese era prevedibile che accadesse, così come nella Turchia di Erdogan o nell’Egitto di al-Sisi, ecco che di colpo avvertire certe scosse negli USA ci diventa un segnale da ultima spiaggia: si può salvare la democrazia senza un quarto potere degno del suo nome in America?
In un recente studio dell’American Press Institute di cui abbiamo letto su CJR, la rivista dedicata al giornalismo della Columbia University, sembra che la crisi di credibilità del giornalismo americano si sia accentuata. Ma le ragioni ora appaiono capovolte: non perché i giornalisti sarebbero sempre meno affidabili a causa della percezìone di una loro “militanza” politica da parte del pubblico americano, ma perché una crescente parte di cittadini USA non si aspetta e non desidera affatto che i giornalisti siano più i “cani da guardia” del potere. In sostanza, e qui il trumpismo ci sguazza, secondo questo studio una fetta sempre più larga del pubblico americano si aspetta una informazione più “rispettosa” del potere. Il rapporto riferisce infatti che per molti americani i valori “in cui i giornalisti credono possono essere troppo intrusivi e ostacolare gli ufficiali pubblici dal condurre il loro lavoro. Questo gruppo di americani vorrebbe vedere più articoli su ciò che funziona e non solo quello che invece sta andando male”.

Come vedete, il quarto potere della democrazia americana è in ritirata non solo per colpa dei giornalisti e dei loro editori, ma di un pubblico che ha smarrito il valore e la comprensione di cosa corrisponda a una corretta informazione in democrazia. Il giornalismo, che per sua natura dovrebbe essere sempre scomodo al potere, dovrebbe invece per sopravvivere ai favori del pubblico diventarne un suo strumento di pr? Una fabbrica “del consenso” di cui era maestro Mussolini? Back to the future?

Quando trent’anni fa arrivai negli USA, nutrivo una così grande ammirazione per il sistema di informazione americano da sperare che il giornalismo, in Italia e in Europa, potesse sempre più maturare a sua immagine e somiglianza, diventarne uno specchio. Invece è successo l’esatto contrario: è finita con il giornalismo americano a copiare quello “ultra militante” europeo.
Le origini della malattia che ha colpito la credibilità del giornalismo negli USA, così come in Europa e in quelle altre parti del mondo in cui si aspirava ad avere la credibilità, ha cause diverse e le responsabilità possono essere equamente distribuite tra produttori e consumatori della notizia, sempre più manipolata per fini che hanno poco a che fare con la verità dei fatti e sempre più con l’agenda di interessi economici e politici.
Così, in questo 25 Aprile del 2021 ancora affranto dalla questione pandemia, di una cosa restiamo certi: senza un’efficace libertà di stampa, non esiste più la democrazia e, quindi, la libertà stessa.
E per questo ci sembra resti così attuale la famosa frase scritta nel 1787 da Thomas Jefferson in una lettera a Edward Carrington, che ancora una volta citiamo: “Se toccasse a me decidere tra l’avere un governo senza giornali o i giornali senza un governo, non esiterei un momento a preferire la seconda ipotesi”.