Caro Stefano,
Il tuo ragionamento è ineccepibile da un punto di vista giuridico, anche se mi lascia un amaro in bocca. Mi sono chiesto perché.
Ecco alcune ragioni:
Come giustamente scrivi, i soggetti che hanno deciso di censurare Trump sono dei monopolisti che si sono appropriati della libertà di stampa. Oggi Trump, domani un altro. Non basta lo Sherman Act o un’azione antimonopolistica. Come sappiamo esistono gli oligopoli in cui soggetti privati concordano le regole che poi, in un secondo tempo, possono imporre a noi. È come se uno o più compagnie ferroviarie volessero appropriarsi dei binari che devono, invece, in una democrazia compiuta, diventare pubblici e, quindi, nel contesto statunitense, soggetti a pieno titolo del Primo Emendamento.
Lo ammetto, sono voltairiano; cioè, disposto a morire perchè l’opinione da me più odiata possa essere liberamente espressa. Conosco le obiezioni. Fake news? Istigazioni alla violenza? Alimentazione e organizzazione di reati tramite la rete? Da cui la domanda di una gestione che escluda tali reati a cominciare da quelli eventualmente commessi da Trump. Ma quis custodiet custodes? Vedo una sola via d’uscita. Per avere diritto di percorrere in piena libertà i binari di internet, che ci si debba registrare con nome e cognome! Se vi si commettono dei reati, sarà la magistratura ad intervenire. Il resto, fake news comprese, sarà il libero dibattito a confermare o smentire.
Infine, l’intervento censorio contro Trump, forte di quasi 75 milioni di voti, e giustamente criticato da voci autorevoli dell’Unione Europea, è politicamente letale perché alimenta opposizioni violente alle istituzioni in quanto esclude o limita drasticamente forme di espressioni di altro tipo. Lasciate che lo dica un antitrumpiano della prima ora, quale io sono in maniera documentata: la faziosità che lui ha prodotto, la volgarità del suo linguaggio, purtroppo ha infettato molti suoi avversari (per fortuna non il nuovo presidente né la sinistra democratica).

Trump e il ritorno dei marziani
Grazie per questo prezioso intervento che in parte condivido. Il mio articolo, come si riconosce, voleva chiarire soprattuto l’aspetto giuridico, questo perché molti italiani, sia nei social che nei giornali, scrivevano che negli USA fosse stata “abolita” la libertà di espressione. Sono d’accordo sul diritto alla libertà di Trump di comunicare con tutti i mezzi a sua disposizione, ma fino al 5 gennaio, dal 6 in poi no. Infatti, se il Primo Emendamento della Costituzione USA protegge la libertà d’espressione senza far distinzione tra deboli e potenti, allo stesso tempo non consente di creare allarme ingiustificato che possa provocare distruzione e violenza.
Quando Orson Welles, con la sua celebre trasmissione radio negli anni Trenta del secolo scorso, fece scendere i marziani nei pressi di New York, provocò il panico, ma allora non poterono punirlo. Si decise quindi che il Primo Emendamento non potesse più consentire, attraverso quelle che poi si chiameranno “fake news”, di scatenare panico o violenze. Viene ripetuto l’esempio del teatro pieno di gente: se di colpo mi alzo e grido “al fuoco al fuoco” senza che sia scoppiato alcun incendio, verrò arrestato anche se dirò poi che volevo esprimere solo la mia opinione di sentir “troppo caldo”. Il 6 gennaio Trump, con la sua frottola delle “elezioni rubate, marciate sul Capitol a riprendervi la democrazia, chi non lotta non ottiene nulla”, ha sparso panico e aizzato alla violenza. Certamente le motivazioni “private” di Twitter e Facebook per bloccarlo saranno state altre (per me, soprattutto la paura di perder soldi per le probabili cause intentate dai familiari delle vittime), ma il risultato di censurare Trump, in questi giorni e fino al 20 gennaio, non corrisponde alla mortificazione del First Amendment, ma anzi alla sua salvaguardia.
Penso che la discussione sul ruolo troppo ampio che le aziende di privati stiano ottenendo sulla censura della libertà di pensiero sia un tema che merita sicuramente ulteriori approfondimenti.
SV