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Tentativo di chiarimento agli italiani sul valore e protezione della libertà negli USA

Troppa confusione nei social, anche tra residenti negli Stati Uniti, sul Primo Emendamento e la libertà di espressione e stampa voluta da Thomas Jefferson

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Tentativo di chiarimento agli italiani sul valore e protezione della libertà negli USA
Time: 4 mins read

Continuo a notare una grande confusione in materia di libertà di espressione negli Stati Uniti. Provo a spiegare in poche righe quello che da dieci anni insegno ai miei studenti del Lehman College della CUNY nel corso “Media and Democracy”.

Tutti coloro che vivono negli USA (inclusi i non cittadini) sono protetti dal Primo Emendamento della Costituzione, che rientra nel cosiddetto “Bill of Rights”. In materia di libertà di espressione e stampa (e religione) questo protegge il cittadino – e chiunque vive negli USA – dal governo (qualunque governo, Federale o locale) dall’interferire con la libertà di esprimere il proprio pensiero sia con la parola orale che scritta e stampata (ora anche on line). Ma, attenzione, protegge dall’interferenza del potere del governo (Federale, statale, locale) dal limitare con le leggi o la censura questa libertà, NON dall’interferenza di un privato.

Qui un esempio: se uno dei miei collaboratori de La Voce di New York scrivendo un pezzo esprimesse un’opinione che io poi decido di non voler pubblicare, non può accusarmi di aver violato il Primo emendamento. Se io invece la pubblico ma questa volta fosse il presidente Trump (o il futuro Biden) o il sindaco di New York de Blasio o il governatore Cuomo a reagire, mandando la polizia a chiudere il giornale o anche a multarlo etc, ecco che il giornale potrebbe denunciarli tutti per aver violato i miei diritti e quelli del giornale protetti dal Primo Emendamento.

Facebook come twitter sono nella stessa posizione (anche se ovviamente molto più grandi della Voce), cioè aziende private, dove il Primo Emendamento non protegge nessuno dalle decisioni prese da chi li possiede in materia di libertà di espressione. La Costituzione protegge solo dall’eventuale interferenza del governo. Allora, se invece fosse stata la Speaker Nancy Pelosi a ordinare la chiusura di facebook o intimare a FB di chiudere tutti gli account dei cittadini pro trump, ecco che sarebbe potuta scattare la protezione del Primo Emendamento…

Da giorni girano e leggo assurdità nei social, soprattutto scritti da italiani anche residenti negli USA, che la libertà di stampa e di pensiero sia in pericolo qui in America perché viene ora tolta a Trump e anche ai suoi seguaci, cosa che non esiste e non è mai esistita: la Costituzione degli USA in materia di libertà di pensiero e stampa è stata costruita per proteggere i giornali e tutti cittadini dal potere (presidente etc), e non viceversa. 

Sono d’accordo però con chi si preoccupa del potere raggiunto dai padroni di Facebook, Istragram, Twitter etc, che appunto sono liberi di decidere a chi far esprimere il loro pensiero e a chi no, quando riescono a coinvolgere ormai miliardi di persone nel mondo. Ma in questo caso, non c’entra il Primo Emendamento, ma le leggi anti-trust sui media. Leggi che esistevano ma sono state in parte indebolite e che devono essere rafforzate per il bene della democrazia. In questo caso materia sicura del Congresso che va risolta

Ho anche un messaggio per quei trumpiani che stanno versando lacrime o peggio si fanno crescere la rabbia perché sarebbe stato violato il primo emendamento al loro profeta Donald Trump. Dopo aver spero chiarito che Thomas Jefferson quando lo scrisse il Primo Emendamento non pensava a proteggere nel futuro a uno come Trump ma gli americani da uno come lui: è stato proprio questo presidente, nella storia moderna degli USA, il più grande critico del Primo Emendamento! In diversi tweet, già durante la campagna elettorale del 2016 e poi – da presidente! – ha attaccato il Primo Emendamento arrivando a sostenere che la Corte Suprema – ovviamente riempita di giudici a lui fedeli –  avrebbe dovuto cambiare la sentenza storica del 1964 (Sullivan vs New York Times) perché questa proteggeva troppo i giornalisti che lui, alla Stalin, chiama “nemici del popolo”.

Sulla Voce ho già altre volte ricordato il significato di questa sentenza, che praticamente impedisce a un “public officer” (dal presidente degli USA a uno per dire eletto nel consiglio comunale del più piccolo villaggio americano) di portare in tribunale un giornalista o un editore di giornali per quello che hanno pubblicato, anche se il contenuto si fosse dimostrato falso. Solo provando un intento “malizioso”, si sarebbe potuto punire legalmente il giornalista. In Italia è l’esatto contrario: nelle cause per “diffamazione a mezzo stampa” (l’Italia da anni detiene il record delle denunce accolte in Europa!), più è alta la carica pubblica che avrebbe subito “il torto” nei giornali, e più la legge tende a punire e severamente. Negli USA invece più si alza il tiro dell’attacco sulla stampa, che so il sindaco, il governatore, il presidente!, e più il Primo Emendamento ti protegge. Mai invece se un giornale sbaglia, malizia o non malizia, nei confronti del semplice cittadino, magari indicato come responsabile di un crimine quando ancora non c’è stata nessuna sentenza di condanna (per questo leggerete sempre la parola “suspect” nei giornali americani). Si chiama libertà d’espressione e di stampa in democrazia e infatti nella sua forma moderna l’hanno inventata gli americani!

Per capire quindi la forza della sentenza del 1964 della Corte Suprema, che infatti poi portò da lì a pochi anni all’era d’oro del giornalismo americano con i “Pentagon Papers” o il “Watergate”,  consiglio di leggerne bene le motivazioni e soprattuto il significato del dibattito pubblico in materia di democrazia che, nonostante le tendenze autoritarie e apertamente fasciste di Trump, dovrà pur sempre rimanere il più possibile “uninhibited, robust, and wide-open”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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