“Dovrebbero essere giustiziati pubblicamente questi animali neri bastardi”. Non è neanche mezzogiorno di venerdì 26 luglio e la bacheca Facebook rigurgita fiumi d’odio non distillato. Un carabiniere è stato ucciso a Roma. Stando ai primi post che circolano sul social network, tra i responsabili ci sarebbero degli africani. Tanto basta a scatenare l’inferno: fuoco alle polveri, pardon, alle tastiere. Il commento citato, però, è particolarmente greve e grave. Se non altro perché proviene da un tizio che si identifica come rappresentante delle forze dell’ordine, dello stesso corpo di cui faceva parte la vittima. La frase che lo descrive su Facebook è “Il signore è mio Pastore”. Sul suo profilo condivide per lo più massime cristiane e tanti video in difesa degli animali.
Ne hai vista una, le scorri tutte. Perché l’algoritmo di Facebook è così. In sequenza, arrivano come un pugno allo stomaco le notizie e i commenti riguardanti il barbaro omicidio. Un giovane vice brigadiere dei carabinieri sposato da soli 43 giorni, ucciso nella notte con otto coltellate mentre faceva il proprio lavoro. Sarebbero stranieri e di colore i responsabili, secondo una delle piste più accreditate nelle prime ore. Ancora poco chiara la dinamica. Ma le notizie incalzano. E con esse le prime zoppicanti ipotesi diventano titolo, perdono per strada il virgolettato, lasciano a casa i condizionali. Così è per l’agenzia di notizie che dovrebbe fungere da fonte “primaria”, così è per la testata che si professa imparziale e che ambisce a spiegare per bene le cose. “Caccia a due nordafricani”, scrive un giornale la cui credibilità dovrebbe non essere discutibile, che poco dopo titola anche: “L’identikit dell’assassino: nordafricano, alto 1.80, con le meches”. La notizia viene rilanciata da altri organi d’informazione nazionali, sebbene tardino ad arrivare le conferme ufficiali. Seguono una sfilza di commenti che tirano in ballo Laura Boldrini, Bergoglio, le Ong.
Tra le informazioni che circolano c’è anche una bufala: quella della cattura di tre cittadini di origini marocchine e di uno di origini algerine. A confezionarla sarebbe stato proprio un collega del vice brigadiere, a diffonderla un agente della Guardia di Finanza, come ricostruito da Wired.

“Se dovessero essere persone non italiane spero che il carcere se lo facciano a casa loro e non qui, se sono irregolari non dovevano essere qui, col sistema di rimpatri dobbiamo agire con più forza”, dichiara Luigi Di Maio. “Lavori forzati in carcere finché campa al bastardo”, tuona Matteo Salvini. Rita Dalla Chiesa si scaglia invece contro Roberto Saviano, reo – a suo dire – di voler fare propaganda pro-migranti sull’uccisione di un servitore dello Stato con un post su Facebook.
Solo in serata si chiarisce meglio la dinamica dell’accaduto.
Tutto ruoterebbe intorno a due ventenni americani in vacanza a Roma, che avrebbero rubato il borsello a un pusher, colpevole di avere venduto loro dell’aspirina tritata spacciandola per cocaina. I due acquirenti avrebbero compiuto il furto per vendicarsi dell’inganno, ma poco dopo sarebbero stati contattati dallo spacciatore con una minaccia: “So chi siete, se non mi restituite le mie cose vi vengo a cercare e vi ammazzo”. I ragazzi gli avrebbero dunque proposto d’incontrarsi con un accordo: la droga vera e 100 euro in cambio della refurtiva. A quel punto, però, lo spacciatore chiama il 112 e, omettendo la parte della cocaina, dice di essere stato scippato da due persone che gli chiedono soldi per la restituzione della borsa. All’appuntamento concordato, invece del pusher si presentano quindi due carabinieri in borghese, uno dei quali è Mario Cerciello Rega, chiedendo ai rapinatori i documenti. I due americani, nel frattempo, si sono procurati un coltello: la situazione degenera, ad avere la peggio è il vicebrigadiere 35enne, colpito a morte e soccorso dal collega, mentre gli assassini sono in fuga.

Fin dalle prime luci dell’alba, parte la caccia agli assassini. Il collega di Cerciello Rega fin da subito parla di due giovani ragazzi, le cui caratteristiche corrispondono esattamente a quelle degli americani arrestati ieri nella loro stanza d’albergo, dove vengono trovati anche l’arma del delitto e gli abiti insanguinati. Dopo un’ora d’interrogatorio, uno dei due – quello con le meches, ma dalla pelle chiara – confesserà di avere accoltellato il vicebrigadiere.
È passata meno di una giornata. Dall’alba al tramonto. La caccia delle forze dell’ordine capitoline è stata proficua. Non così per quella consumatasi sui social e sui media. Tra testate megafono della politica, schierate prima ancora dell’accertamento dei fatti, post di vicepremier inopportuni e inappropriati, bufale e querelle che hanno fornito materiale per titoli sensazionalistici, la cena è servita. Rimane il cadavere di un giovane servitore dello Stato, morto mentre compiva il proprio dovere. Diversamente da chi (pochi minuti dopo) usava penna, fiato e tastiere per speculare sulla pelle di qualcun altro, anziché preoccuparsi d’informare correttamente, esprimersi con responsabilità e credibilità riguardo ai fatti accaduti nel Paese che ha l’onore e l’onere di governare, dare dignità alle proprie divise e ai propri rassicuranti credo.