
Da quando Massimo Bordin è mancato (non lo qualifico di proposito: è Massimo Bordin) molte voci sincere, di amici, di colleghi, di conoscenti, di lettori, si sono mosse al ricordo, alla testimonianza. Tutte molto belle, di una bellezza che la gratitudine ha reso vivida, e la stima, limpida.
Ce ne è stata una, però, che con più urgenza mi si è ripresentata, ora, mentre scrivo, leggendo un post di Pietro Sansonetti: “ Sono stato al funerale di Bordin. Molta gente. Non ho visto nessun leader di partito (a parte i radicali). Perché? Temo per ignoranza. I leader politici non sanno cos’è la politica”.
E, questa, dei “leader politici che non sanno cos’è la politica”, mi pare considerazione che si vorrebbe poter confinare nei più rassicuranti territori del paradosso; ma che, invece, piomba come una scure sul dolorosissimo piano del pertinente, del ragionevole, del tangibile.
Allora mi è sovvenuta quella voce, di Emanuele Macaluso che, al contrario dei presenti, leader politico è stato in un’Italia libera.
Ha detto Macaluso, che “la scomparsa di Massimo Bordin è un lutto nazionale.”

Anche queste sono belle parole, si capisce. Ma hanno questo di unico: sono spiazzanti. Come sa essere solo il candore di una verità negata dal buio di pochi, ma ribadita dalla luce di molti.
Così, quell’immagine, così formulare, così stentoreamente burocratica, si trasforma: e se non protesta per un’assenza che si sarebbe materiata nelle ore successive, è risuonata ammonimento a fissare lo sguardo verso l’alto: dove sempre meno, e con sempre minore frequenza, il discorso pubblico, delle classi dirigenti, di quanti hanno ruolo, e dovrebbero avere responsabilità, non sa guardare (e nemmeno si dice, andare).
Verso l’alto è: verso la libertà. Verso la libertà oggi eminentemente è: verso Massimo Bordin.
Aver disertato un gesto minimo di presenza, ma di grande risonanza, pertanto, dato che di libertà si discute, non è stata semplice stipsi della dignità e della decenza. E’ stata una scelta.
I massimi dirigenti politici d’Italia, hanno scelto di negare che la questione della libertà abbia rilievo politico nazionale. Hanno scelto di affermare la loro indifferenza alla libertà. Di ignorarla.
Per questo, l’evocazione dell’ignoranza, e del lutto nazionale, mi si sono ricomposte in una spontanea e conflittuale successione.

Non si piange quello che si ignora.
E qui non si parla dei piccoli e grandi boia che, forse per un vile capriccio, o forse per più calcolate determinazioni e ispirazioni, hanno fin qui annunciato, e, però, nell’incedere dei giorni, sempre più minacciato, di liquidare Radio Radicale: che di Bordin fu, semplicemente, compagna e creatura di una vita.
E non perché la loro sciaguratissima viltà, la loro incalcolabile miseria, non presentino rilievo, nel volgere di questi tempi, ad ogni passo più cupi, più moralmente sordi, più democraticamente ciechi. Il rilievo un boia ce l’ha sempre. Ma non ha la sorpresa. Può ripugnare, può fissarsi in eterno nella maledizione dell’ultimo sguardo: ma non può sorprendere. Una volti avviati al patibolo, gli uomini liberi tengono la schiena dritta, e aspettano il loro compimento.
No. Qui si parla di quanti vorrebbero distinguersi. Di quanti, disertando un gesto discreto, ma di essenziale significato, hanno inteso acquisire un merito segnaletico.
Si saranno detti: questi sono quelli che dubitano della Palingenesi Continua; delle perpetue riedizioni di Avanguardie Purificatrici, dentro e fuor le aule; questi hanno memoria: non solo custodiscono gli atti, ma li leggono, e pure li interpretano, li confrontano, li contestano.

E Bordin era il migliore, il loro Maestro (sì, lo so che la parola forse sarebbe dispiaciuta; ma dobbiamo stringere pure noi: manca un mese). Perciò, meglio rifuggire troppo esplicite adesioni simboliche; meglio trondcare, meglio sopire: come il manzoniano Conte-Zio, che Sciascia esemplava a modello negativo della nequizia passiva, della complicità obliqua, della inerzia sterilizzante e versipelle. E sia superfluo qui rammentare di quale squisita esegesi e comprensione sciasciana Bordin fu capace.
S’intende, che ciascuno, lo voglia o meno, è reso responsabile delle sue scelte. Chi nega la libertà, perché la nega. Chi nicchia, perché nicchia.
Mancherebbe.