L’ANNUNCIO SU RADIO RADICALE DELLA MORTE DI MASSIMO BORDIN.
Che stesse male, si sapeva; meglio: lo si intuiva; quando parlava, tossiva sempre. Ora non più. Quello che poteva sembrare un buon segno, era invece il segnale di una fine ormai prossima. I capelli, poi: la folta e un po’ incolta capigliatura, non c’era più: il cranio liscio come una palla di biliardo. E ancora: la quotidiana rubrica su Il Foglio, “Bordin Line”, da giorni sospesa; e neppure la condizione della storica “Stampa e regime” su Radio Radicale…
E’ stato molto discreto nell’andarsene “altrove”, Massimo. Si sapeva che era tormentato dello stesso male che anni fa ha stroncato Marco Pannella; e potevi anche intuire, da una smorfia tenacemente repressa, una qualche sofferenza. Ma dalle sue labbra, niente. Si teneva tutto per sé.
Finché le forze lo hanno sostenuto è stato al timone di “Stampa e regime”, capace di confezionare la trasmissione anche quando, per qualche ragione i giornali non uscivano; da quei venti quotidiani, meticolosamente scandagliati, ne ricavava un ventunesimo, dove presente, passato e possibile futuro si fondevano: amante dei retroscena, senza mai perdere di vista la scena.
Forse la definizione che più lo descrive è quella di “apota”: così Giuseppe Prezzolini, nel 1922, su “La Rivoluzione Liberale” di Piero Gobetti, qualifica le persone che “non la bevono”.
Non bevono, s’intende, le versioni ufficiali, le verità del “potere”; ma per Bordin va anche bene – naturalmente non nel senso spregiativo – cinico: come i filosofi greci di questa “corrente” di pensiero, tendeva all’autonomia spirituale. Non al punto di escludere ogni desiderio e ogni esigenza; e si guardava bene dal condannare la civiltà con le sue conquiste. Ma osservava, e “vedeva” con occhio disincantato e partecipe insieme; sapeva dov’è il gusto del sale. Giusto dieci anni fa il riconoscimento che forse più gli ha fatto piacere, il “Premiolino”; con una motivazione felice, che ben “racconta” il personaggio: “ Il collega che da anni ci sveglia ogni mattina con le sue puntuali, professionali e graffianti rassegne stampa, cesellando i fatti con opinioni di rara acutezza libertaria”.
Massimo lo ricordo, come tutti coloro che l’hanno conosciuto: eterno sigaro in bocca; tossicchiante; un po’ curvo; una eleganza ricercata e un’apparente, studiata, trasandatezza come certi personaggi dei film in bianco e nero; la parlata lenta e riflessiva; una cultura che ha in uggia il nozionismo, ma è figlia di attente, selezionate, ben assimilate letture; la battuta salace, fulminante; la memoria di ferro che gli consente di raccontare aneddoti remoti su tutti; una rete di conoscenze non comune, coltivata fin dai primi anni di università, quando studia filosofia e milita nella IV Internazionale, convinto trotskista, prima di approdare alle rive del Partito Radicale.
A “Radio Radicale” lo ricordo da sempre: le sue ormai leggendarie rassegne stampa mattutine, ma non solo; imperdibili anche gli “speciali giustizia”, e ben lo sanno i tanti magistrati a cui ha fatto le pulci con implacabile acribia. Ma soprattutto per le domenicali, fluviali, conversazioni con Marco Pannella: due ore in diretta, a parlare di tutto, su tutto, passato, presente, futuro; trasmissioni capaci di stroncare un bue, e lo so bene, per averne fatte anch’io. Non era per nulla facile, tenere testa a Pannella. Non so se Marco lo faceva per reale amnesia, o per piccola provocazione, ma s’intestardiva, per esempio, a dare solo il nome di battesimo, delle persone che citava. E allora ecco un logorante slalom: quando citava Bettino o Giulio, il gioco era facile; ma se si arrivava a Vittorio, ce ne voleva per capire che intendeva il vecchio rivoluzionario comunista Vidali. Oppure Umberto (Terracini), Gianna (Preda), Fausto (Gullo), Giano (Accame).
Ha diretto la “Radio Radicale” con rara perizia per nove anni; posso assicurare, non era facile con un editore come Pannella: al tempo stesso libertario e liberale, ma implacabilmente rigoroso ed esigente. Fino a quella domenica del 9 luglio: quando all’improvviso, e in diretta, si dimette, dopo l’ennesimo battibecco con Pannella. Un altro si sarebbe sotterrato. Lui imperterrito, sostiene le sue ragioni. Riassumere i termini della questione, qui importa poco. La registrazione, peraltro è facilmente reperibile nel prezioso archivio di “Radio Radicale”. Si cita l’episodio solo per dire che erano entrambi caratteri forti, nessuno disposto a cedere di un millimetro dalle posizioni assunte.
Ora basta. Già par di sentirlo, Massimo che un po’ infastidito, con la sua eterna espressione tra il lusco e il brusco: “Ma dai, fatela finita. Che sarà mai? La “Grande Puttana” prima o poi viene per tutti. Questa volta è toccata a me. Succede… E comunque non avete di meglio da fare? Leggetevi allora un libro”. Di sicuro ne indicherebbe qualcuno dell’amatissimo Leonardo Sciascia.
Qui sotto, un’ intervista in cui Bordin spiegava la sua rubrica “Stampa e regime”.