26 Gennaio 1979 Palermo. Sera, viale Campania, per terra un morto.
Giulio Francese, vent’anni, appena giunto a casa, vede la scena. Sta per chiudere il giornale il “Diario” – al quale Giulio collabora – dunque si appresta a raggiungere una cabina telefonica per dare in anteprima questa notizia.
Boris Giuliano investigatore della squadra mobile, trascina via dal morto quel giovane cronista. Quel corpo a terra, già avvertito da croci e crisantemi sull’automobile, quel morto che aveva rifiutato la scorta nonostante queste minacce, quel cadavere sull’asfalto che lavorava per lavorare, lasciando fuori l’ego, i timori, gli interessi e le vanità, quel morto ammazzato era suo padre: Mario Francese, assassinato a colpi di pistola dal mafioso Leoluca Bagarella, davanti casa sua.
Il 3 Settembre del 2002 si suiciderà Giuseppe, l’altro figlio di Mario Francese, che per anni si era dedicato ad inchieste sulla ricostruzione dell’omicidio del padre.
26 gennaio 2019, Palermo, Teatro Santa Cecilia.
Salvo La Rosa con Lidia Tilotta presentano la XXII edizione del premio giornalistico Mario e Giuseppe Francese.
A quarant’anni da allora, oggi, attraverso il cunto di Felice Cavallaro, recitato da Salvo Piparo e sostenuto dalle percussioni di Francesco Cusumano, non dimentichiamo, ricordando il peso della libertà di denuncia e di parola.
“Pensavo di fare il mio primo scoop col cinismo che spesso hanno i giornalisti. Svolto l’angolo e sotto quel lenzuolo bianco c’era mio padre: mi si è ribaltato il mondo”. Giulio Francese, non senza umana emozione, racconta la notte del 26 gennaio 1979 e lo squarcio nel suo cielo di carta e di cuore.
La Sicilia è sì la terra di tragedie e di sangue ma è anche la terra di chi a testa alta porta fiero la dignità dei valori di legalità e coraggio. Questo il senso del premio: onorare con la memoria un presente di impegno giornalistico, di denuncia, di resilienza.
Fuori dalle logiche del compromesso e dell’ arricchimento -rilevante la denuncia al precariato giornalistico sostenuta da Carlo Verna – Presidente dell’ordine nazionale dei Giornalisti e Paolo Borrometi, giornalista di TV2000 attualmente sotto protezione per ricevute intimidazioni.
Diversi ma uguali nell’intensità gli interventi che si sono avvicendati sul palco del Premio, ognuno col proprio approfondito di riflessione e nuove soluzioni.

Boato di supporto proprio a Paolo Borrometi e al suo premio al coraggio di scavare nell’ intreccio tra mafia e poteri pubblici senza mai cedere alle minacce.
“Continuate a sognare un paese e una terra diversa”. Giulio Francese consegna il premio a queste sue parole, prendendo in prestito l’hashtag, lanciato da Salvo la Rosa: #cututtuucori.
Il premio Francese è andato anche alla giornalista Lucia Goracci, che non era presente alla cerimonia. La motivazione: per “il coraggio di informare in terre di frontiera con lo sguardo rivolto sempre alle vittime dei conflitti”.
L’informazione deve essere sviluppo di una coscienza civile, urla dal profondo Carlo Verna, prima di accogliere tra i premiati il Generale Giuseppe Governale, direttore della Direzione Investigativa Antimafia, che restituisce il peso specifico delle parole, snodo cruciale per chi con le parole lavora.

Nel pianeta antimafia esiste anche quella antimafia di facciata che annulla il senso di fiducia e depaupera la lotta dal suo stesso senso, a vantaggio di un divismo che non è utile a nessuno.
Associa i “mafiosi” all’esempio una squadra di calcio, Governale: “vanno in difficoltà quando manca un giocatore di rilievo” e sensibilizza i cittadini e la platea di giovani studenti incalzando: “Nella rivoluzione dei tempi, non deve cambiare l’attenzione, l’osservazione, la denuncia, la lotta al mascariamento”.
Una mamma in lacrime e una sorella fiera, sul palco del Premio, non mancano di riferire: “Lui sotto ricatto non c’è stato. Ha preferito morire. Voi siate coraggiosi, perché è insieme che si può”, affrontando in questo modo il dolore della solitudine di Alessandro Bozzo, giornalista calabrese suicida perché isolato a seguito della propria difesa al suo diritto di denuncia, i ricatti e l’annullata libertà. La memoria di Alessandro, uomo e professionista che ha pagato con la propria morte, col proprio suicidio, il prezzo dell’allontanamento personale e professionale, viene tenuta viva attraverso il libro di Lucio Luca L’altro giorno ho fatto quarant’anni.
Applaudito per condivisione l’intervento di Gaetano Savatteri: “Il lavoro intellettuale è considerato un lavoro di serie C che non va pagato; finché chi scrive, chi pensa, chi suona, chi dipinge non verrà pagato, fino ad allora staremo vivendo un paese che muore”.