Per l’occasione della giornata mondiale della libertà di stampa (3 maggio) che si è celebrata la scorsa settimana alla sede centrale delle Nazioni Unite a New York, Sherwin Bryce-Pease, il presidente dell’Associazione dei Corrispondenti delle Nazioni Uniti (UNCA) ha tenuto questo discorso durante un evento intitolato “Critical Minds for Critical Times: Media’s role in advancing peaceful, just and inclusive societies” (Menti critiche per tempi critici: il suolo dei mass media nel promuovere delle società pacifiche, giuste ed inclusive).
Oggi sosterrò che una delle vittime di un mondo in crescente polarizzazione è la stampa: un mezzo di comunicazione tradizionale; il tuo giornale quotidiano o il tuo giornale online preferito; il notiziario serale o la stazione radio da cui prendi le ultime notizie. Uno sforzo concentrato nel minare la nostra professione è in atto e sta funzionando; basta guardare ai siti di notizie false che divulgano la disinformazione a spese nostre o a questo poi così non discreto pazzo che ha in qualche modo legittimato la convergenza dell’intrattenimento e delle notizie, dove i fatti non sono più sacrosanti.
La nostra professione viene violata, la credibilità delle storie è compromessa, i loro autori, editori e le istituzioni da cui vengono gestite vengono denigrate in continuazione nella consapevolezza che non esistono delle conseguenze concrete, che è accettabile attaccare i mass media perché comunque a nessuno di quelli al potere in realtà piace averli intorno anche se in realtà pubblicizzano la relazione. Quando un certo presidente degli Stati Uniti ha emesso un recente divieto di viaggio contro 7 e poi 6 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ha iniziato a girare una cosiddetta notizia riguardante la concessione gratuita di visti di viaggio per gli Stati Uniti per paesi come il Ghana e il Sud Africa. Ho ricevuto email da Sudafricani entusiasti di pianificare le loro prossime vacanze chiedendomi se tutto ciò fosse vero. Mi fece arrabbiare molto, non solo perché questi siti di notizie false esistono in primis, ma anche perché la società si fa trascinare così facilmente dall’euforia di queste menzogne. Ed è proprio perché le società sono così credulone per ragioni che non sto qui ad elencare, che il giornalismo vero è a rischio, ora più che mai.
Nessun presidente è stato mai arrestato per aver insultato la stampa, ma prova a stampare o a mandare in onda una storia che ritrae un presidente sotto una cattiva luce e, in alcuni posti, vieni arrestato, buttato in galera e accusato di tradimento. In altri posti, noi giornalisti veniamo ripresi e rimproverati, o peggio, i nostri editori ricevono chiamate dai capi di gabinetto cercando di persuaderli o minacciarli, a seconda dell’ora del giorno. E l’indignazione di coloro che ti aspetti ti difendano? Beh, l’indignazione è spesso mutata, la risposta assume generalmente la forma di una lunga dichiarazione scritta che prende atto dell’importanza di una società libera e aperta, ma che non affronta la specificità dell’insulto, dell’arresto o del flagrante abuso di potere. Queste dichiarazioni sono generalmente rilasciare nella giornata mondiale della libertà di stampa e ci si aspetta che coprano tutte le infrazioni che possono succedere in qualsiasi parte del mondo nei successivi 365 giorni. Perché dire la cosa giusta è diventato così difficile per coloro che hanno la possibilità di essere ascoltati? Perché dire la cosa giusta è diventato qualcosa di pianificato e coordinato così da non offendere il leader X o Y, in un periodo in cui i gli insulti populisti crescono e diventano più mirati? Una posizione più elevata delle volte è semplicemente segno di debolezza e spesso non ha nessun impatto nel fornire il cambiamento che spereremmo di vedere.
Il Committee to Protect Journalists, il comitato per la protezione dei giornalisti, ha etichettato la Turchia come il peggior carceriere del mondo per i giornalisti, chiudendo 178 mezzi di comunicazione nell’arco di cinque mesi. Un sondaggio portato avanti negli Stati Uniti riporta che gli americani si fidano di tutto ciò che esce della Casa Bianca più di quanto si fidino dei reporter che coprono la presidenza. La libertà di stampa viene costantemente ridotta nel Sud Sudan, cosa altamente improbabile nel 2011 quando il paese era diretto verso l’indipendenza. I giornalisti vengono ripresi dalle forze dell’ordine in Sud Africa, vengono forzati a cancellare immagini dai loro cellulari, fotocamere o accusati di aver preso posizione in un dibattito politico per aver raccontato i fatti che una o l’altra fazione hanno rifiutato. Qui, il problema non è che lavorano in un ambiente contestato; di fatto lo è la natura del loro lavoro. Quello che è pericoloso è quando è il giornalista che viene visto come un problema per aver riportato una cattiva condotta, e non lo è il comportamento scorretto in sé.
Ed è qui che arriva il colpo grosso, in un mondo di notizie false e fatti alternativi, i fatti sono ciò che ci salva. I fatti sono spesso la differenza tra una buona e una cattiva decisione. Il cambiamento climatico, per esempio, non dovrebbe più essere argomento di discussione, eppure ci sono persone che ancora lo contestano. I passi da gigante che di cui siamo stati testimoni nelle scienze solo nel corso delle nostre vite, ci aiutano a prendere decisioni più consce dalla sanità all’agricoltura, perché i fatti sono importanti. Se i fatti non contassero più nulla, allora i patti di pace si romperebbero; quando i fatti non contano più, le persone muoiono per le malattie o la fame; quando i fatti non contano più i diritti umani vengono violati e l’impunità regna sovrana; quando i fatti non contano più, le guerre si prolungano invece che accorciarsi.
L’obiettivo numero 16 del SGD invita alla promozione di società pacifiche e inclusive, riconoscendo come la libertà di stampa si a strettamente legata all’accessibilità delle informazioni e alla promozione dei diritti umani. Il SDG sarebbe duramente minacciato e compromesso se i mezzi di comunicazione continuassero a soffrire questa serie infinita di attacchi sacrificandosi all’altare dell’opportunità politica a breve termine.
Perciò, non è poi così inverosimile insinuare che il giornalismo, per come lo conosciamo, sta affrontando una minaccia esistenziale da parte delle forze che cercano di minare la fiducia pubblica in ciò che facciamo. Alla fine, continuiamo a credere che la verità sia importante, che sotto le luci abbaglianti di una società aperta e libera i fatti regnino e le menzogne spariscano. Ma i giornalisti o le organizzazioni non governative di libera stampa non possono combattere questa battaglia da soli. Abbiamo bisogno di voci che arrivino dalle fondamenta ai collegi editoriali, agli uffici esecutivi delle multinazionali, ai capi di stato e del governo e alle organizzazioni multilaterali per far sentire le loro voci, coraggiosamente e a voce alta, alla luce di questi livelli inauditi di inganni che non solo minacciano il funzionamento del giornalismo ma anche il funzionamento di una società basata su delle leggi; una che cerca di attuare un cambiamento e assicurare un futuro collettivo. Sotto queste circostanze appena illustrate, spetta a tutti noi essere un po’ più vigili, ma specialmente a coloro che stanno al potere mettere più pubblicamente in discussione coloro che abusano i propri poteri. In altre parole, bisogna controllare la fonte delle notizie prima di cliccare condividi su Twitter o Facebook.
Come disse l’allora presidente Sudafricano Nelson Mandela: “Una stampa critica, indipendente ed investigativa è la linfa vitale di una qualsiasi democrazia. La stampa deve essere libera da ogni tipo di interferenza da parte dello stato. Deve avere la forza economica di resistere alle lusinghe degli ufficiali di governo. Deve avere sufficiente indipendenza dagli interessi acquisiti per poter essere coraggiosa e investigare senza paura o mezze misure. Deve avere la protezione della costituzione, così che possa proteggere i nostri diritti di cittadini”. Se qualcuno volesse dissentire con Nelson Mandela, vorrei tanti sapere perché.
Traduzione di Giulia Casati.