Non so se Stefano Vaccara si ricorda che ci siamo conosciuti vent’anni fa. Lui lavorava già a New York, redattore di America Oggi. Io in Sicilia. Entrambi giornalisti. Con un’idea in comune: la libertà. Che nel nostro mestiere, spesso, è più celebrata che vissuta. Ed è con questo spirito che ci accingiamo – credo, in questo caso, di poter parlare anche a nome del direttore de La VOCE di New York – ad iniziare una nuova avventura: La VOCE Sicilia-New York, un supplemento siciliano de La VOCE che avrò l’onore di coordinare da un’Isola che rimane ancora oggi preda di mille problemi irrisolti, ma sempre bellissima e stimolante.
Di Stefano ho sempre ammirato la sua libertà. E la sua capacità di capire e rispettare tutti, soprattutto quelli che non la pensano come lui. Sono tante, sotto il profilo professionale, le cose che mi legano a lui. Ricordo ancora la prima volta che mi illustrò la differenza tra giornalismo americano e giornalismo italiano rispetto al potere. Eravamo a cena dalle parti di Selinunte, un luogo che io e Stefano amiamo tantissimo. In America si possono attaccare i potenti. Anche sbagliando. L’importante è essere in buona fede. Debbono essere i potenti, negli Stati Uniti d’America, a dimostrare che quello che scrive un giornalista è falso. E – cosa che mi è rimasta impressa – anche se il giornalista ha sbagliato, il potente di turno deve restare tranquillo. A meno che non dimostri la malizia del giornalista. Insomma, per finire condannato per diffamazione in America, un giornalista deve essere proprio uno stronzo. Se non lo è, ma si limita a controllare l’attività dei potenti, gli stessi potenti si attaccano al tram. Potenza del Primo Emendamento della Constituzione degli Stati Uniti, potenza della democrazia! Quella vera. Dove il giornalismo invece che essere sempre al servizio delle lobby che attaccano questo o quello su commissione, può anche essere libero e indipendente ed essere al servizio dell’interesse pubblico: in una parola, al servizio della collettività.
In Italia, invece, se tocchi un potente e non sei potente pure tu – ed è sempre stato il mio caso – zact!, parte subito la querela. E devi essere tu a dimostrare che il potente che hai attaccato ha fatto questo e quello. Se sgarri di un millimetro ti becchi una condanna. Tra il 2012 e il 2014, per essermi ‘permesso’ di mettere in dubbio certe posizioni assunte da Confindustria Sicilia retta dai tre ‘gemellini dell’antimafia’ (mi riferisco ad Antonello Montante – oggi nell’occhio del ciclone – Ivan Lo Bello e Giuseppe Catanzaro) – ho accumulato non so più quante querele! Interrogato di qua, interrogato di là. Della serie: ma come ti permetti?
Con Stefano mi sono sempre trovato benissimo. Ho scritto per anni sul supplemento di America Oggi che lui dirigeva – Oggi 7 – in totale libertà. Talvolta raccontando fatti anche scomodi (che, con molta probabilità, in Italia avrei avuto qualche difficoltà a pubblicare), talvolta esprimendo le mie idee. Il tutto, ribadisco, in totale libertà. Una meraviglia.
Quando con una mia amica – Antonella Sferrazza, che sarà anche lei protagonista di Sicilia-New York – a fine 2011, abbiamo dato vita al quatodiano on line LinkSicilia ho voluto Stefano tra i collaboratori. E la sua firma spuntava ogni domenica raccontandoci un po’ di America.
Oggi le parti si invertono. Stefano ha dato vita a un quotidiano on line che in un anno è cresciuto tantissimo. Io sono stato tra i collaboratori fin dal primo momento con mia enorme felicità. Scrivendo la mia column "Sicilitudine" sempre in totale libertà. Ragionando insieme, abbiamo deciso di provare una nuova avventura, questa volta con maggiore impegno, visto che ci vedrà in prima linea per raccontare, ogni giorno, un pezzo di Sicilia. Per raccontarla non soltanto ai siciliani d’America, ma a tutti quelli che ci vorranno seguire sulla rete, che è aperta a tutti: alla stessa Sicilia, all’Italia e al resto del mondo.
Certo, qualche ‘specificità’, qualche idea particolare ce l’abbiamo anche noi. Intanto siamo in America, anche se scriviamo dalla Sicilia. E questo ci rende più liberi e più forti. Da qui proveremo a raccontare una Sicilia dalle mille sfaccettature, dai mille volti, dalle tante verità, spesso più o meno pirandelliane. Ci piacerebbe instaurare un dialogo con i siciliani che vivono in America e che sono interessati a saperne di più su quello che succede nella loro terra di origine. Immaginiamo una o più rubriche quasi interattive. Ci riferiamo non soltanto ai siciliani che conoscono la Sicilia, magari perché ci tornano spesso, ma anche agli americani di origine siciliana che hanno perso i contatti con la nostra Isola e, magari, ricordano i racconti dei genitori o dei nonni. Potrebbe essere uno stimolo anche per noi, perché ci sono luoghi della Sicilia che nessuno più racconta. Chissà che non ci inventiamo qualcosa con l’aiuto dei lettori americani. Anche parlando di cucina siciliana, magari rivisitata.
Cercheremo di stare anche nell’attualità. Approfondendo temi e storie. Provando, qualche volta, ad assestare qualche ‘zampata’ di cronaca. Tutto può succedere nel nostro mestiere, specie quando lo si esercita con passione e dedizione.
Parleremo anche del Mediterraneo. Perché in questo mare la Sicilia è immersa. Provando a parlare di agricoltura e di pesca. Partendo da Mazara del Vallo. Magari per fare venire un po’ di nostalgia a Stefano, visto che in questa bellissima città lui c’è nato (a proposito di Mazara, contiamo di raccontare una città che è cambiata tantissimo in meglio, con tante chiese e tanti spazi che sono rimasti chiusi per decenni e che negli ultimi anni sono stati riaperti).
Ovviamente parleremo anche di politica e di economia. Raccontando le cronache del Parlamento dell’Isola. Perché la Sicilia – chi scrive lo ricorda spesso ai lettori americani – gode, sulla carta, di un’Autonomia che, se fosse applicata, farebbe della nostra Isola un vero Stato nello Stato, un po’ come gli Stati americani. Proveremo a raccontare come ha fatto la Sicilia, dal 1946 (anno in cui la Sicilia ha conquistato l’Autonomia) ad oggi, a non applicare il proprio Statuto. Con responsabilità storiche che pesano sulla politica siciliana, ma anche sullo Stato centrale.
Certo, il momento non è dei migliori, se è vero che il governo Renzi, strappando un sacco di risorse finanziarie alla Regione siciliana (5 miliardi di euro in due anni: tanto il governo nazionale ha tolto alla Sicilia, in parte per pagare i costi di un’Europa sempre più esosa, ma sempre più lontana dall’Europa dei popoli sognata negli anni ’50 del secolo passato), ne sta decretando la morte lenta, quasi una ‘grecizzazione’ dell’Isola, se è vero che, nei prossimi mesi, si profilano centinaia di migliaia di licenziamenti nel settore pubblico.
Questo ed altro, forse, ci offrirà l’occasione non soltanto per parlare della nostra Isola, ma anche per capire quello che sta succedendo in Italia, se è vero, come ricordava Goethe, che “la Sicilia è la chiave di tutto”.