Osce, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ambasciata di Ucraina presso la Santa Sede e facoltà di Scienze sociali dell’Angelicum, hanno tenuto la scorsa settimana a Roma la conferenza “Cristiani nella regione Osce: lo stato delle loro libertà religiose”. Può sorprendere che paesi democratici e di tradizione cristiana, con libertà religiose tutelate anche dagli accordi di Helsinki del 1975 che diedero vita all’Osce, debbano ancora interrogarsi su un tema del genere. Il fatto è che, in Europa e vicinato, la democrazia ha contribuito a generare un secolarismo che riduce la religiosità alla sola sfera privata, negandole potenzialmente la capacità di esistere in quanto fatto collettivo e organizzato, nella vita politica e culturale. A questo si aggiungono episodi di vera e propria intolleranza. Le autorità non fomentano questi atteggiamenti ma non li reprimono a sufficienza, consentendo, di fatto, che si producano inammissibili discriminazioni aantireligiose.
L’Osservatorio su intolleranza e discriminazione contro i cristiani in Europa, con sede a Vienna, tra il 2005 e il 2010 ha censito, nello Shadow Report, una ventina di atti criminali violenti verso comunità cristiane e loro luoghi di culto, particolarmente in Francia, Albania, Austria, Russia e Turchia. Peggio è andata nel 2012. I due studi riportano episodi con le chiese cristiane sotto assedio, in particolare sulle questioni legate a omosessualità e “nuove forme” di famiglia, o all’ostentazione in pubblico di segni cristiani. Alle prese di posizione di credenti o delle loro gerarchie si è risposto, in dette occasioni, con misure o atti criminali basati sull’odio da pregiudizio o sull’intolleranza.
Con i cristiani, sono ovviamente anche altre religioni e minoranze etnico-religiose a risultare vittima di quei comportamenti, con preciso riferimento al rigurgito di antiebraismo, in particolare in Francia ed Europa centro orientale. Si vedrà alle vicine elezioni europee, di quale rappresentanza politica il movimento antireligioso sia in grado di dotarsi; se le cose dovessero andare in un certo modo, bisognerà preoccuparsi di cercare antidoti più seri delle blande misure sinora adottate. Come ha detto a Roma il Segretario generale dell’Osce, ambasciatore Lamberto Zannier, “Seen through the lens of the Osce’s comprehensive security concept, violations of the freedom of religion or belief not only threaten the security of individuals, but also can give rise to wider scale conflict and violence that undermine international stability and security”.
Non ci si può nascondere che ci sono due posizioni difficilmente conciliabili in questa vicenda. Da un lato il laicismo militante dichiara che il fatto religioso appartiene al privato e non deve essere trascinato nelle dinamiche della vita pubblica, la cui pretesa di considerare eguale di fronte alla legge ogni cittadino sarebbe messa a rischio dal pensiero religioso militante. Dall’altro, ogni religione è in sé militante e anche quando, come nel caso del cristianesimo, si pone in modo rispettoso dell’autorità civile, ne contesta ogni pretesa di esclusivismo: Cristo dice agli Apostoli che devono predicare dai tetti la Novità che lui è venuto a trasmettere, altro che attenersi al bon tondettato dal galateo laico.
Semmai è curioso che la società secolare apprezzi la funzione sussidiaria del cristianesimo “pubblico” (istruzione e sanità, assistenza a immigrati e strati meno favoriti), e vada in confusione, per via del suo ottocentesco pregiudizio anticlericale, quando si tratta di teologia e morale “pubblica”. Le Chiese esistono anche per fornire precetti morali e catechesi a fedeli e società. Chiedere che quella missione s’insterilisca nei luoghi di culto, è pretesa irricevibile.
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