WikiLeaks, il sito internet fondato dall’australiano Julian Paul Assange, sta rifacendo tremare i palazzi del potere di mezzo mondo. Milioni di documenti del Dipartimento di Stato Usa potrebbero essere diffusi mentre scriviamo dal sito che ha come missione di rendere pubblico tutto ciò che i governi vorrebbero mantenere segreto.
Un governo autoritario se ne frega della "trasparenza" del suo potere e pretende sempre di mantenere ben segreti i suoi processi decisionali, ma l’istinto a "nascondere" è innato anche nei governi democratici. Anche la democrazia tende a celare il più possibile ai propri cittadini tutto ciò che il governo considera "fatti suoi" e che poi si scopre essere fatti nostri. È l’istinto del potere, mantenere i cittadini all’oscuro degli affari cosidetti di stato. "Top secret" perché, ci avvertono, se si sapessero metterebbero in pericolo la "national security". Quindi toccherebbe a noi cittadini sacrificare in certi casi la nostra "naturale" domanda di trasparenza nelle azioni del nostro governo democratico, altrimenti i "nemici" della nazione se ne avvantaggerebbero. È la ragione di stato, ci dicono, per questo noi cittadini concediamo tutta la nostra fiducia affinché quei segreti siano ben custoditi e tenuti lontani da noi, per il nostro bene. Quei documenti si potranno leggere un giorno, tra venti o più anni, solo quando sarà svanita la loro attualità e saranno solo un soggetto di studio storico.
Fino a quaranta anni fa, anche negli Stati Uniti, la nazione col "First Amendment" della Costituzione dedicato alla libertà di stampa, veniva dato per scontato che un documento di "sicurezza nazionale" non potesse essere diffuso dai media. Ma durante la Guerra del Viet-Nam, avvenne il famoso caso dei "Pentagon Papers", quando un ex funzionario del Pentagono, Daniel Ellberg, riuscì a far arrivare al New York Times e al Washington Post uno studio interno che svelò la valanga di menzogne con le quali ben quattro amministrazioni, da Nixon fino ad Eisenhower, avevano ingannato l’opinione pubblica per fargli appoggiare la guerra in Indocina. Anche Nixon cercò di fermare le rotative minacciando i giornali di conseguenze legali gravissime perché rischiavano di mettere in pericolo "la sicurezza nazionale". Ma arrivò il verdetto della Corte Suprema, che interpretò lo spirito del First Amendment come assoluta protezione della stampa nei confronti di qualsiasi interferenza del governo. Fu deciso una volta per tutte che spetta solo ai giornalisti decidere, in piena libertà, cosa e quando pubblicare. Un giornale americano che decide di non pubblicare un documento "scottante", lo fa a suo rischio e pericolo, non certo perché glielo intima la Casa Bianca.
Ora con internet, questa vera libertà di stampa può affermarsi anche altrove, nonostante le resistenze di governi, come quello italiano, che nella "preistoria mediatica" si illudono ancora di poter escogitare nuove leggi per limitare l’informazione anche sul web.
Proprio martedì scorso, per il mio corso "Media & Democracy: from Citizen Kane to the Italian Premier Berlusconi", con gli studenti del Lehman College analizzavamo l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, quella che dal 1948 è praticamente il "Bill of Rights" delle Nazioni Unite: "Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere". Eleanor Roosevelt, protagonista in quella speciale commissione che scrisse quel documento fondamentale per le Nazioni Unite, non poteva certo immaginare ancora l’internet, ma quell’articolo della dichiarazione universale dei diritti umani sembra proprio scritto per proteggere l’informazione sul web.
È stata la stessa Hillary Clinton, da Segretario di Stato, a pronunciare nel gennaio del 2010 un discorso sulla responsabilità della politica estera americana di proteggere nel mondo la libertà di espressione e informazione su internet, giustificandola proprio con la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (potete ascoltare Hillary sul sito del Dipartimento di Stato, basta fare la ricerca "Clinton internet freedom speech")
È vero, i documenti diplomatici americani che Wikileaks "minaccia" di far conoscere, imbarazzeranno molto il governo Usa. Eppure è stata la stessa Hillary a farci capire che un governo che tentasse di bloccare la libertà di chi diffonde informazioni via internet, a prescindere dalle frontiere, commetterebbe qualcosa di ben più grave che cercare di impedire la diffusione di "segreti", calpesterebbe uno dei principali diritti umani proclamato nella dichiarazione universale del 1948. Già, brava Hillary Clinton per avercelo ricordato: l’internet ha trasformato il nostro diritto umano di essere informati sempre e comunque, da dichiarazione utopistica del 1948, a diritto concreto da difendere e pretenderne il rispetto sempre e ovunque.
moc.oohay @araccavs