A sinistra, Orson Wells nel film "Citizen Kane"
Dovremmo forse scrivere dell’Euro senza Europa che affonda? O delle dimissioni del ministro Scajola e l’annunciarsi della tangentopoli 2? O del caso Falcone, con il capo dell’antimafia Piero Grasso che commenta le ultime "novità" con le stesse frasi dette a noi a New York e riportate nell’ ottobre dell’anno scorso su queste colonne; ricordate il nostro titolo "La mafia per conto d’altri"?
Ci sembra da NY più opportuno commentare invece la frase "sfuggita" al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi martedì: "In Italia c’è fin troppa libertà di stampa".
Un paio di mesi fa, esortavamo il Premier italiano, proprio lui che una volta ripeteva che stava sempre con l’America ancor prima di sapere quello che avrebbe fatto – ma ora ama più frequentare le dacie di Putin e le tende di Gheddafi – di leggere la storia del Primo Emendamento della Costituzione Americana. La storia cioè del come, col passare degli anni, è stato via via interpretato dalla Corte Suprema fino a rendere, a partire dagli anni sessanta, impossibile limitare la libertà di informazione negli Usa.
Mentre in Italia il governo Berlusconi porta in Parlamento una legge che limiterà la libertà di informare i cittadini su notizie, per esempio, riguardanti le indagini in corso nei confronti dei potenti, una legge che addirittura minaccia con la privazione della libertà quei giornalisti che invece cercheranno di fare il loro dovere, vogliamo ricodare allo zar Silvio un episodio della storia del primo emendamento americano. Quello dei "Pentagon Papers", quando un ex funzionario della Difesa Usa consegnò al New York Times centinaia di pagine di documenti che provavano come quattro presidenti americani avessero mentito ai cittadini sulle ragioni della guerra in Viet Nam. Nixon allora tentò di fermare il NYT dal diffondere quei documenti, adducendo il fatto che per motivi di estrema "sicurezza nazionale" il First Amendment non poteva essere applicato… La Corte suprema decise tutt’altro: il giornalista, una volta entrato in possesso di un documento, anche "super segreto", può e anzi deve, se lo crede opportuno, pubblicare, mai il governo può fermare le rotative.
Dopo il discorso di Hillary Clinton dello scorso gennaio sulla libertà di informazione e l’internet, si è ormai arrivati al traguardo che la libertà di espressione e di informare, espressa anche nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite del 1948, non solo viene garantita e protetta negli Usa, ma come ha detto il segretario di Stato di Obama, gli Stati Uniti cercheranno di proteggere questo diritto anche nel mondo. E come? Interferendo negli "affari" di stati sovrani? Sì, ma non certo invadendo con le armate come ha fatto Bush, ma cominciando a riconoscere quei paesi che per potersi dirsi "close" alleati della più potente democrazia del mondo, devono anche condividerne e applicare sul proprio territorio i valori fondamentali e imprescindibili come è appunto la libertà di espressione e di informazione. Ovviamente questo valore sarebbe già garantito in Italia dalla sua costituzione, ma ormai per quel che vale la Costituzione repubblicana nell’era di Berlusconi…
Quindi, e con questo lo scriviamo forte in modo da farci sentire anche dai cosiddetti referenti istituzionali dell’Italia in Usa: se veramente sarà così, se certe leggi saranno approvate e applicate, non raccontateci più la filastrocca dell’Italia come il più stretto alleato degli Usa nell’Europa continentale e bla bla. Come abbiamo scritto sempre su queste colonne in occasione della visita del Presidente della Camera Fini a Washington, la Speaker Nancy Pelosi ha fortemente sottolineato cosa renda indissolubile l’amicizia tra le due nazioni: non sarà e non può essere solo il sangue che scorre nelle vene degli italo americani, ma il sentire comune di valori democratici.
Se continua invece così, tra l’America dell’era Obama e l’Italia di Berlusconi e Bossi l’Oceano si allargherà.