Il ritorno dei dazi frena la crescita globale. A meno di tre settimane dall’annuncio del nuovo schema tariffario da parte di Donald Trump, il Fondo Monetario Internazionale riscrive in corsa le sue previsioni per il 2025, tagliando sia la stima sul Pil americano che quella sulla crescita mondiale.
“Da solo, questo pacchetto tariffario rappresenta uno shock negativo significativo per l’economia,” si legge nell’introduzione del World Economic Outlook pubblicato martedì a Washington. Il documento incorpora i dati disponibili fino al 4 aprile, includendo l’impatto immediato dei dazi reciproci ma non ancora le successive modifiche – come la sospensione di 90 giorni per l’aumento delle aliquote e l’esenzione per gli smartphone – annunciate in un secondo momento dalla Casa Bianca.
Il colpo si riflette con immediatezza anche sui mercati: l’indice S&P 500 ha perso il 9% dal 2 aprile, giorno in cui, nel Giardino delle Rose, Trump ha presentato il suo nuovo schema di dazi “reciproci” contro i principali partner commerciali degli Stati Uniti.
Secondo le nuove proiezioni, il Pil statunitense crescerà dell’1,8% nel 2025, quasi un punto percentuale in meno rispetto alla stima di gennaio. Anche l’economia globale è attesa in rallentamento, con una previsione rivista al 2,8%, in calo di mezzo punto.
“L’annuncio del 2 aprile ci ha costretti a stravolgere il lavoro già praticamente ultimato,” ha spiegato il capo economista dell’FMI, Pierre-Olivier Gourinchas. “Abbiamo dovuto comprimere in meno di dieci giorni un ciclo di produzione che normalmente richiede oltre due mesi.”
Ma non è solo la politica commerciale a pesare sulla revisione: “Anche il calo della fiducia dei consumatori e il rallentamento dei consumi hanno contribuito alla correzione,” ha precisato Gourinchas parlando con i giornalisti.
Sebbene non ci sia ancora un’allerta ufficiale su una recessione, il Fondo alza il livello di attenzione: le probabilità di una contrazione dell’economia statunitense salgono al 40%, rispetto al 25% stimato nell’autunno 2024.
L’impatto più diretto dei dazi si registra anche sul fronte dell’inflazione. Per le economie avanzate – Stati Uniti, Regno Unito e Canada – l’FMI stima ora un’inflazione media del 2,5% nel 2025, in rialzo di 0,4 punti rispetto alla precedente previsione. Per gli Stati Uniti il dato è ancora più netto: 3%, un intero punto percentuale in più rispetto a gennaio.
A spingere verso l’alto i prezzi, secondo il Fondo, sono “dinamiche ostinate nel settore dei servizi, un’accelerazione nei prezzi dei beni core (esclusi alimentari ed energia) e lo shock dell’offerta innescato dai dazi”.
Il quadro inflazionistico resta comunque eterogeneo: se le economie sviluppate mostrano pressioni al rialzo, in diversi mercati emergenti si registrano revisioni al ribasso.
Resta incerto l’effetto delle tariffe sulle strategie delle banche centrali. “Molto dipenderà dal fatto che queste misure siano percepite come transitorie o strutturali,” scrive il Fondo, sottolineando la variabilità degli effetti anche sul mercato valutario.
Nelle ultime settimane, infatti, il dollaro ha invertito la sua tradizionale traiettoria rialzista durante le fasi di turbolenza, indebolendosi di fronte a un’ondata di vendite azionarie. “L’effetto dei dazi sui cambi non è mai lineare,” osserva ancora Gourinchas. “Nel medio termine, è possibile che il dollaro si svaluti in termini reali se i dazi finiranno per ridurre la produttività del settore manifatturiero statunitense rispetto ai partner commerciali.”