Secondo giorno consecutivo di forti perdite per le Borse statunitensi e globali. Venerdì i principali listini USA hanno aperto in forte ribasso sulla scia dell’annuncio dei dazi imposti da Trump e delle dure contromisure commerciali della Cina.
In apertura l’S&P 500 cedeva oltre il 3%, approfondendo una tendenza negativa iniziata a febbraio e portandosi a quasi il 15% sotto i massimi recenti. Il Nasdaq, trainato dai titoli tecnologici, registrava una flessione ancora più marcata, in calo del 3,6%. Il Dow Jones Industrial Average perdeva 1.200 punti, pari a un ribasso del 3%, mentre il Russell 2000, indice delle piccole aziende statunitensi, subiva una perdita del 3,2%.
Le vendite non si sono fermate a Wall Street. In Europa, i mercati si stanno avvicinando alla soglia della correzione con un calo del 10% dai picchi recenti: la peggiore è Piazza Affari, arrivata a perdere fino al 7,5% (a livelli inediti dall’11 settembre 2001). Anche in Asia, tuttavia, le piazze finanziarie hanno subito pesanti ribassi: il Nikkei ha perso il 2,75%, mentre a Hong Kong le perdite sono limitate all’1,52%.
L’indice VIX, soprannominato “indice della paura”, è invece salito bruscamente ai massimi da agosto, a 38. Si tratta di una misura matematica della volatilità attesa del mercato azionario – che quando raggiunge valori alti sottintende che gli investitori si aspettano variazioni significative dei prezzi.
Anche il mercato obbligazionario ha risentito delle turbolenze commerciali: il rendimento del Treasury decennale USA è sceso sotto il 4%, segnale di un’elevata avversione al rischio da parte degli investitori, che stanno spostando capitali dai titoli azionari verso strumenti più sicuri. I trader scommettono anche su un imminente taglio dei tassi da parte della Banca d’Inghilterra e della Banca Centrale Europea, che ha contribuito ad alimentare una forte corsa verso i mercati dei titoli di Stato.
Sul fronte delle materie prime, il petrolio ha perso quasi l’8%, scivolando a 61,71 dollari al barile – con il Brent ai minimi degli ultimi quattro anni sotto i 65 dollari al barile – avvisaglia del timore di un rallentamento economico che riduca la domanda di carburanti.
A influenzare l’umore negativo dei mercati è stata soprattutto, venerdì mattina, l’attesa reazione di Pechino, che ha annunciato l’imposizione di dazi del 34% su vari prodotti importati dagli Stati Uniti, rispondendo così alla decisione americana di incrementare le tariffe su alcuni beni cinesi fino al 79%.
“La mossa degli Stati Uniti non è in linea con le regole del commercio internazionale, mina seriamente i diritti e gli interessi legittimi e legali della Cina ed è una tipica pratica di bullismo unilaterale”, ha dichiarato il ministero delle Finanze cinese, che ha annunciato che si appellerà all’Organizzazione Mondiale del Commercio.
I dazi del 34% si aggiungono a quelli del 10%-15% già imposti su alcuni prodotti agricoli statunitensi a marzo e a quelle del 10%-15% su alcuni macchinari energetici e agricoli a febbraio.
Nonostante il tonfo finanziario e le critiche degli esperti, Trump ha però mantenuto una posizione intransigente. “LE MIE POLITICHE NON CAMBIERANNO MAI”, ha scritto su Truth Social venerdì. La strategia della Casa Bianca punta a incentivare il ritorno della produzione manifatturiera negli Stati Uniti, ma economisti e imprenditori ritengono che un simile scenario sia irrealizzabile su larga scala e rischi invece di scatenare una spirale recessiva globale.
Gli analisti di Wall Street prevedono ripercussioni gravi. Dan Ives, di Wedbush Securities, ha parlato alla NBC di “disastro economico imminente” se le tariffe non verranno ridimensionate.
Un rapporto pubblicato da JPMorgan ha inoltre alzato al 60% le probabilità di una recessione globale, titolandolo con un monito chiaro: “Scenari foschi all’orizzonte”. “Se i consumatori diventeranno più prudenti e le imprese rallenteranno gli investimenti, la recessione potrebbe arrivare già nel prossimo trimestre”, avvertono gli analisti della banca d’affari con sede a New York.