L’indice dei prezzi al consumo di luglio spiana la strada alla Federal Reserve per iniziare a tagliare i tassi nella sua prossima riunione del 17 e 18 settembre, l’ultima prima delle elezioni. Il report di luglio sui prezzi di beni e servizi, pubblicato stamani dal Dipartimento del Lavoro, ha mostrato un aumento dello 0,2% mensile, portando il tasso di inflazione a 12 mesi al 2,9%, il più basso da marzo 2021. Escludendo cibo ed energia, l’indice dei prezzi al consumo di base ha registrato un aumento mensile dello 0,2% e un tasso annuale del 3,2%, in linea con le aspettative degli analisti.
Un aumento dello 0,4% dei costi dell’alloggio, a luglio, è stato responsabile del 90% dell’aumento dell’inflazione di tutti gli articoli. Mentre l’energia è rimasta invariata, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti dello 0,2%, in particolare le uova sono aumentate del 5,5%. I cereali e i prodotti da forno sono diminuiti dello 0,5%, mentre latticini e prodotti correlati sono scesi dello 0,2%. Le letture dell’inflazione, al di là di alcune punte, stanno tornando gradualmente all’obiettivo del 2% della banca centrale. Il rapporto di martedì del Dipartimento del Lavoro ha mostrato che i prezzi alla produzione, un proxy per l’inflazione all’ingrosso, sono aumentati solo dello 0,1% a luglio e sono aumentati del 2,2% anno su anno: anche qui, un altro dato vicino al 2%.
I funzionari della Fed, in vari interventi, hanno mostrato una chiara volontà di allentare la rigida politica monetaria dei tempi della pandemia. Sebbene siano stati attenti a non impegnarsi in un calendario specifico né a fare ipotesi sul ritmo con cui potrebbero verificarsi i tagli, gli analisti di Wall Street scommettono che all’incontro di settembre i tassi potrebbero diminuire di 50 punti base, ma non tutti propendono per un taglio così radicale.
Del resto, il mercato del lavoro ha mostrato segnali di potenziale debolezza a luglio, quando si è visto un aumento del tasso di disoccupazione al 4,3%, rispetto al 4,1% di giugno e al 3,7% di inizio anno. La rapida salita ha alimentato le preoccupazioni di una potenziale spirale economica discendente, in cui la crescente disoccupazione deprimerebbe la domanda dei consumatori e innescherebbe ulteriori licenziamenti. Molti economisti pensano ancora che sia possibile evitare una recessione a breve termine, ma sarà il report del lavoro di agosto, le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione e i dati sulle buste paga di agosto, previsti intorno al 6 settembre, a decidere la reale agenda dei banchieri centrali.

Il presidente della Fed di Richmond, Tom Barkin, la scorsa settimana, intervenendo a un webinar, ha spiegato che insieme ai colleghi stanno cercando di “capire se questa è un’economia che si sta muovendo dolcemente verso uno stato di normalizzazione che ti consentirà, in modo deliberato e costante, di normalizzare i tassi e di atterrare… O è questa una situazione a cui devi davvero piegarti?”.
Se il report di oggi ha fatto dire al presidente americano Joe Biden che ci “sono progressi nella riduzione dell’inflazione, ma i prezzi restano troppo alti”, la reazione dell’ex presidente Trump sarà di diversa natura, poiché i tagli avverranno prima delle elezioni e questo potrebbe favorire i Democratici. Trump non lesina critiche al presidente della Fed, Jerome Powell, nonostante sia stato lui stesso a sceglierlo, e a più riprese ha annunciato che la sua presidenza potrebbe vedere ridotta l’indipendenza della Fed e avere un comandante in capo anche sulla Banca Centrale.