Ha scritto Umberto Saba: “il meglio del vivere sta in un lavoro che piace e in un amore felice”. Facile scriverlo, ma difficilissimo da realizzare nell’era del Metaverso e della robotica e degli amori liquidi. A proposito di questo ho trovato davvero interessante la riflessione del ricercatore Enzo Risso, pubblicata su il Domani e che ha visto coinvolti 800 soggetti maggiorenni, che ci aiuta a capire quale potrebbe essere la strategia per far riacquistare dignità e valore al lavoro e cercare di cambiare l’Italia.
Risso, che ha analizzato durante la pandemia gli effetti sulla popolazione, ha cercato di capire quale potrebbe essere la soluzione all’aumento esponenziale dei prezzi e all’inflazione. In questi ultimi due anni ha analizzato tantissime differenze sociali che hanno reso i poveri ancora più poveri. Come se non bastasse i giovani non riescono a trovare un lavoro che li soddisfi e le imprese non riescono a trovare lavoratori specializzati in certi settori. A questo punto è necessario invertire la rotta e trovare delle risposte adeguate alla crisi che stiamo vivendo. “Una realtà – dice Risso – più incerta e precarizzata che non garantisce capitale umano alle imprese e i giovani che non riescono a trovare una stabilità e che decidono di costruirsi una famiglia”.
I dati di giugno 2022 sottolineano come l’Italia sia tra i primi posti nella classifica dei paesi che hanno più paura di perdere il posto di lavoro (48 per cento). Simili a noi gli spagnoli (49 per cento) e ad avere più timori è il Sudafrica con (63 per cento).
L’Italia purtroppo supera le altre nazioni europee. In Germania la preoccupazione si attesta al 10 per cento, in Gran Bretagna al 12 e in Francia al 14. Una differenza che ci mostra come il nostro paese ha bisogno di trovare delle soluzioni e che bisogna ripartire e ricominciare dopo la pandemia.

Pensate che il 70 per cento dell’opinione pubblica preferirebbe, secondo l’indagine di Risso, avere minori sussidi di disoccupazione ma, allo stesso tempo, avere maggiore stabilità contrattuale e a lungo termine.
Gli italiani immaginano come strategia, per risollevare le loro sorti lavorative, la possibilità di definire uno stipendio minimo (46 per cento), disincentivi per i contratti a tempo determinato (33 per cento), nuovi strumenti per il passaggio da lavoro a lavoro (26 per cento), nuovi incentivi economici temporanei per riuscire a mantenere l’occupazione nelle imprese in difficoltà (24 per cento).
Lo stipendio minimo di base piace ai giovani under trenta (49 per cento) e alle persone che appartengono ai ceti popolari (47 per cento). Preoccupano le nuove tecnologie, la robotica e l’intelligenza artificiale nei processi produttivi. Tutti cambiamenti che possono ridurre le opportunità lavorative. Insomma, ci vuole un cambiamento a lungo termine per ridare speranza alle persone e rivalutare l’importanza del lavoro.
Io mi trovo d’accordo, senza alcun dubbio, con i dati emersi da questa indagine e in linea con l’interpretazione di Enzo Risso. Chi mi conosce sa quanto io abbia studiato i problemi delle nuove generazioni prima e dopo l’era post Covid, ponendo sempre lo sguardo al futuro.
Oggi, assistiamo ad una trasformazione profonda della società, al progressivo indebolimento delle istituzioni, alla perdita di ruolo di rappresentanza come corpi intermedi dei partiti politici, osserviamo come vi sia ormai una completa mediatizzazione dei processi di costruzione dell’opinione pubblica. Gli individui appaiono profondamente destabilizzati, perché non trovano più i loro punti di riferimento e non riconoscono l’autorevolezza dell’uomo politico.
Le istituzioni non si occupano dei giovani e dei bambini. In realtà, sono convinto che la politica e le istituzioni possono fare tantissimo. Basta volerlo e iniziare ad operare i cambiamenti necessari. Servono progetti e programmi immediati per ridare ai giovani la possibilità di sognare e farli desistere dall’intento di partire all’estero.

La pandemia ha messo in luce alcune tendenze interne all’Unione europea come la mancanza di solidarietà delle relazioni tra i paesi. Infatti, è emersa l’assenza di una visione comune per far fronte alla crisi e la presenza di un forte egoismo presente nei rapporti tra gli stati. Nonostante il contesto non proprio felice, il quadro globale mostra la continua presenza, nel cuore delle diverse società, di una spinta alla socievolezza. L’elemento che appare chiaro è il desiderio delle persone di vivere in un mondo migliore. Un andamento che detiene una sua rilevante importanza, nonostante si sia persa la fiducia nelle istituzioni che attraversa in lungo e in largo il globo.
La pandemia da Covid -19 ha rappresentato un’emergenza di portata globale che ancora oggi sta avendo un impatto profondo sulle vite dei cittadini. La riduzione degli spazi di libertà personale, la sospensione dei diritti, hanno alterato il rapporto tra cittadini e istituzioni, modificando e indebolendo ulteriormente la dimensione della sfera pubblica.
Il processo di fragilizzazione della società è in atto da tempo e si innesta nella crisi di cittadinanza connessa alla crisi di rappresentanza che ha indebolito fortemente il ruolo delle istituzioni e dei partiti politici tradizionali che sembrano avere perso il proprio ruolo di corpi intermedi, capaci dare concretezza alle istanze di rappresentanza dei cittadini.
Stiamo assistendo ormai da tempo ad una politica che sfrutta la disintermediazione per una costruzione del potere fondato sull’annullamento del processo di costruzione della conoscenza per lasciare spazio alla polarizzazione e ad una opinione pubblica fondata sulla misinformation. Indubbiamente, la perdurante crisi pandemica rappresenta un fattore di profonda destabilizzazione, perché ha acuito i fenomeni già in atto.

Così l’industria della disinformazione, la fabbrica delle fake news alimentano paura, la sfiducia, soffiano sul fuoco della rabbia sociale che sta crescendo ovunque in una situazione di crisi economica, che la pandemia ha enormemente aggravato rendendo ancora più evidenti gli squilibri sociali. Quando viene mancare l’equilibrio nella società si presentano i risultati negativi della mancata coesione sociale, cosi come dimostrato da Risso in uno dei suoi tanti report.
In questi ultimi due anni i cittadini si sono sentiti sempre più soli e confusi. La crisi nasce da una comunicazione politica spesso trasformata in propaganda, indottrinamento e propagazione delle protesta, che ha fallito il suo ruolo centrale non soltanto in Italia ma in Europa e nel mondo.
La spinta forte deve essere quella di restituire alla comunicazione istituzionale e politica un ruolo centrale e spingere la politica al ritorno a scuole per partiti e movimenti per puntare alla giusta comunicazione. Bisogna cercare di ridefinire la sfera sociale per ridare fiducia ai cittadini e offrire soluzioni che possano ristabilire quella serenità necessaria al recupero delle relazioni fra cittadini, attori politici e vita istituzionale.
Pensare ad un mondo migliore significa che ognuno deve iniziare a cambiare quello che può nel proprio piccolo. Il poco di molti può cambiare la vita di tanti, ma bisogna agire qui e ora.