Via il nome Trump dall’albergo che l’ex presidente aveva a Washington vicino alla Casa Bianca. Il Trump International Hotel di Washington D.C. è stato venduto alla CGI Merchant Group, un gruppo di investimento con sede a Miami, e verrà gestito dalla Hilton che lo ha già rinominato Waldorf Astoria Washington. “Nel corso della notte le insegne che troneggiavano sugli ingressi dell’albergo – scrive il Guardian – sono state fulmineamente rimosse”.
Conosciuto storicamente come Old Post Office and Clock Tower, la proprietà situata al 1100 Pennsylvania Avenue NW, è del governo federale. E’ stata data in leasing per 75 anni. La vendita è stata una operazione un po’ lunga: dopo aver cercato nuovi acquirenti già nel 2019, l’hotel è stato ceduto per 375 milioni di dollari. Nei quattro anni di presidenza Trump, anche a causa del covid, ha perso più di 70 milioni di dollari.
Il palazzo ha un valore storico: costruito 120 anni fa come sede centrale delle Poste venne chiuso e abbandonato solo sette anni dopo la costruzione. Nel 1928 ne fu decisa la demolizione, ma la crisi di quegli anni rinviò i lavori. Nel corso del tempo ha ospitato una serie di uffici federali di secondo piano. E’ stato restaurato dal 2012. La struttura, che conta 263 camere, è diventata un hotel di lusso nel 2016, in concomitanza con la nomina di Trump a candidato alle presidenziali col Partito repubblicano. Da allora le polemiche non sono mancate: nel 2018, i capi di alcuni gruppi religiosi chiedevano la revoca della licenza per i liquori, sostenendo che il proprietario “non fosse una persona di buon carattere”. Ma era anche l’albergo che, afferma Time, era “casualmente” preferito da sultani e oligarchi in cerca di udienza alla Casa Bianca. Secondo Forbes in occasione del tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021 l’ex presidente avrebbe approfittato della situazione: la camera più economica del suo hotel di Washington è passata nella notte del 6 gennaio 2021 da 476 a 1.999 dollari. Poco più di una settimana dopo, i prezzi hanno raggiunto i 3.600 dollari, prima di salire a quota 8.000. Durante i quattro anni di presidenza, l’hotel, insieme alla Trump Tower, era diventato una sorta di ritrovo dei suoi sostenitori. Con annesse polemiche. In tempi più recenti da un’indagine del Congresso sono emerse presunte irregolarità nei ricavi: Trump, secondo l’accusa, avrebbe gonfiato i profitti dell’hotel, affermando per il periodo del suo mandato un guadagno di 150 milioni di dollari a fronte di una perdita di 70 milioni. La Trump Organization, la società che fa capo all’ex presidente, ha negato ogni illecito. E ha definito il rapporto «fuorviante».

Il doppio ruolo di Trump come presidente e proprietario di un hotel accanto alla Casa Bianca, inoltre, aveva sollevato accuse di aver violato le leggi federali sugli emolumenti. La Corte suprema ha chiuso le vertenze subito dopo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca.
Le vicende giudiziari dell’ex presidente comunque non si sono concluse. Il giudice Arthur Engoron di New York ha stabilito diverse condizioni che Donald Trump deve soddisfare per evitare che una multa da 110 mila dollari impostagli per non aver rispettato le sue direttive venga ripristinata.
Nelle settimane scorse l’Attorney General di New York, Letitia James, si era rivolta al magistrato perché nonostante numerosi solleciti i documenti che Engoron aveva ordinato alla holding di Trump di consegnarle non erano stati depositati. All’appello mancavano telefoni cellulari, note scritte a mano (perché l’ex presidente non comunica con i suoi collaboratori con il computer), agende di lavoro e cinque casse di documenti specifici. Alina Habba, l’avvocato di Trump, ha detto che molti documenti e i vecchi cellulari non si riescono a trovare. Il giudice Arthur Engoron ha affermato di volere dichiarazioni giurate su questi documenti introvabili. Le condizioni devono essere soddisfatte entro il 20 maggio, altrimenti il giudice ha detto che ripristinerà la multa e la applicherà retroattivamente.
Ma non è solo questa la controversia tra la società di Trump e il giudice Engoron. Il colosso dei servizi immobiliari commerciali Cushman & Wakefield mercoledì ha presentato ricorso contro l’ordine del magistrato di ottemperare alle ingiunzioni emesse dall’ufficio dell’Attorney General sui documenti relativi alle valutazioni fatte su alcune proprietà della società dell’ex presidente Donald Trump. I documenti sono quelli relativi alle svalutazioni di tre proprietà: Seven Springs Estate, Trump National Golf Club, Los Angeles e 40 Wall Street .
L’ufficio di James ha affermato che le prove mostrano che la holding di Trump ha presentato “valutazioni di informazioni fraudolente o fuorvianti all’Internal Revenue Service” relative alle prime due di quelle proprietà. E l’ufficio ha affermato che Cushman aveva emesso tre valutazioni a Capital One Bank relative al 40 di Wall Street a Manhattan che determinavano il prezzo di quella proprietà tra $200 milioni e $220 milioni dal 2010 al 2012, prima di rilasciare una stima a Ladder Capital Finance LLC nel 2015 in cui valutava lo stesso edificio per $550 milioni.
Il 25 aprile, il giudice ha ordinato a Cushman di conformarsi alle citazioni di James. La Cushman & Wakefield ha presentato appello.