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Infrastrutture: Biden per accordo con repubblicani che resistono ma i loro elettori…

Molti sostenitori del Gop nei sondaggi si dimostrano a favore del piano di rilancio del presidente; intanto Trump scatenato contro i big del partito punta già al 2024

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 5 mins read

Biden tende la mano ai repubblicani. Oggi pomeriggio alla Casa Bianca il presidente ha incontrato i leader di maggioranza e minoranza di Camera e Senato per cercare di trovare il consenso anche dall’opposizione al megapiano per la ristrutturazione delle infrastrutture che comporta una spesa di 2 mila 300 miliardi di dollari. I parlamentari repubblicani puntano i piedi anche se i sondaggi sono in favore del piano di Biden, e nei sondaggi viene evidenziato come un gran numero di elettori repubblicani sia favorevole all’iniziativa. “Cerchiamo un appoggio bipartisan – afferma al Washington Post Anita Dunn – e lo stiamo trovando tra gli elettori repubblicani. Bipartisan non significa che i repubblicani debbano essere quelli che stanno solo al Congresso”.

La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, insiste che il presidente vuole trattare. “L’incontro con i leder politici è per questo. Il presidente è disposto a negoziare”. Un altro top aid della Casa Bianca, Mike Donilon, afferma che il “concetto” bipartisan non deve essere limitato alla politica, “ma ad una agenda politica di lavoro che unifichi il Paese al di fuori dei tradizionali parametri politici”.

Il messaggio è chiaro: se i politici repubblicani puntano i piedi per un piano di migliorie strutturali in tutto il Paese è solo per un loro capriccio e poi se la vedranno loro con l’elettorato al quale dovranno spiegare perché i lavori non sono stati fatti.  Concetto lungamente e ripetutamente espresso dal neoministro dei Trasporti Pete Buttigieg nel programma domenicale di approfondimento politico “Face the Nation” della Cnn. “È soltanto una questione semantica – afferma – i lavori di ristrutturazione sono fondamentali. Abbiamo visto cosa è successo nell’inverno in Texas, Stato saldamente in mano dei repubblicani, messo al tappeto per settimane dal gelo che ha paralizzato la rete di distribuzione energetica. I lavori per modernizzare le infrastrutture sono apartitici. Sono per il Paese”.

Ma i repubblicani insistono: “Sono le spese sociali incluse nel pacchetto delle infrastrutture che gonfiano la spesa. Ecco perché sono contrario” afferma l’indomito senatore del Texas Ted Cruz che, mentre il suo Stato era congelato, scappava per andare in Messico. “Le spese sociali – risponde la democratica Kirsten Gillibrand – coprono anche Stati come il Wyoming dove il sistema scolastico dello Stato ha un passivo di 149 milioni di dollari, dove il 34% dei residenti non ha una assistenza pediatrica e di sostegno scolastico, ove 47 mila veterani hanno un solo ospedale in cui andare, e dove il 20 % della popolazione non ha internet”.

E i repubblicani sanno che il piano della Casa Bianca, se non dovesse ottenere anche l’appoggio bipartisan verrà presentato al Congresso con il “Reconciliation Bill”, una manovra applicabile solo ai piani finanziari come il bilancio federale o lo stimolo economico, per aggirare la regola del Senato che con 40 voti contrari ad una proposta di legge può bloccare la presentazione in aula della maggioranza. C’è però anche un democratico, il senatore della West Virginia Joe Manchin, che si oppone a questa manovra. E la sua opposizione rischia di far fallire l’agenda di Biden. Manchin si fa forza del fatto che al Senato ci sono 50 senatori democratici e 50 repubblicani. Il voto determinante per i democratici è dato dal vicepresidente, Kamala Harris, che è anche presidente del senato e può votare solo in caso di parità. Mancando un solo voto la parità verrebbe meno e quindi i progetti della Casa Bianca fallirebbero. Ma Manchin deve anche considerare che  alle prossime elezioni del 2022 ci saranno 34 seggi del Sento in ballottaggio. Se i democratici dovessero conquistare un altro solo seggio, il gioco di potere che lui sta disputando verrebbe meno, mentre resterebbero i dissapori con la leadership del partito e con la Casa Bianca.

Questo weekend ha segnato anche un ritorno alla feroce retorica di Donald Trump. “Ci riprenderemo la Camera e il Senato nel 2022, e nel 2024 la Casa Bianca” afferma a un gruppo di sostenitori-donatori repubblicani riuniti nel suo club a Mar-a-Lago estasiati dagli attacchi feroci lanciati contro la leadership del suo stesso partito. Doveva essere un discorso di unificazione per lanciare tutti insieme nel Partito repubblicano la campagna elettorale per le elezioni di Mid Term. E’ stato l’esatto contrario. Un turpiloquio pieno di volgarità con un rancore carico di veleno.

Continuando la sua falsa narrativa che lui ha vinto le elezioni e che Biden è un presidente illegittimo perché ha ottenuto la vittoria con i brogli, ha bersagliato di insulti il suo ex compagno di cordata, Mike Pence, che da vicepresidente e presidente del Senato ha accettato la certificazione elettorale di Joe Biden. Lo ha chiamato “vigliacco”, “buono a nulla” e “politicante carrierista”. Nulla però in confronto alla rabbia contro Mitch McConnell definito “un cretino figlio di puttana”, “un cacasotto in mano della moglie”. Parlando poi della moglie di McConnell, l’ex segretario ai Trasporti Elaine Chao, l’ha definita “una ingrata” perché si è dimessa dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio. “Un gelido perdente” continua nella sua filippica contro Mitch McConnell “che se non fosse stato per il mio appoggio per lui in Kentucky non sarebbe stato rieletto”.  E i suoi simpatizzanti applaudivano in tripudio.

Newt Gingrich, l’ex speaker della Camera, che era tra gli invitati non ha voluto fare commenti sugli insulti a McConnell. “È meglio che pensiamo al futuro e ai democratici” ha detto ad un giornalista dell’Associated Press. L’ex pupilla di Trump, Nikki Haley, anche lei duramente contestata dall’ex presidente dopo che condannò l’assalto al Congresso del 6 gennaio, ha fatto sapere che se Trump si dovesse candidare per le presidenziali del 2024 lei si farebbe da parte. “Non ha senso dividere ulteriormente il partito Repubblicano”, ha detto.   

Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Il feroce sarcasmo dell’ex presidente è anche una componente per le difficoltà giudiziarie in cui si dibatte. Indagato per una possibile evasione fiscale, ma forse anche di truffa ai danni di un ente finanziario, con decine di procedimenti giudiziari civili che lo attendono ora che la sua immunità presidenziale è venuta meno, gli investigatori continuano a scavare nelle transazioni fatte dalla Trump Organization, la società del presidente che gestisce altre 500 società. Dopo che Jennifer Weisselberg, l’ex moglie del figlio del CFO della Trump Organization, Allen Weisselberg, ha consegnato tutti i documenti finanziari e i computer agli inquirenti, Donald Trump ha assunto l’avvocato Ronald Fischetti per guidare la sua pattuglia di legali. Fischetti ha 84 anni, è stato anche l’avvocato di Gene Gotti, il fratello del capo della Gambino, John Gotti, ed era il partner di Mark Pommerantz quando i due esercitavano insieme. Pommerantz è uno specialista di contabilità e assetti societari preso in prestito dal Procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus Vance.    

Nel tentativo di avvicinamento e dialogo con i moderati del Partito repubblicano Joe Biden, secondo il ben informato The Hill, vorrebbe nominare Cindy McCain, la vedova del senatore repubblicano John McCain, suo grande amico anche se di opposte vedute politiche, ambasciatrice in Europa. Ancora non è stata scelta la sede, ma probabilmente andrà a Roma come rappresentante degli Stati Uniti al programma Onu al World Food Program, il programma mondiale delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, la più grande organizzazione umanitaria del mondo, premio Nobel per la pace nel 2020. Biden riprenderebbe la politica avviata da Bush padre, seguito poi da Clinton, Bush W, Obama di una nomina del partito opposto a far parte del suo gabinetto.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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