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March 9, 2021
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Delisting la Cina! Si combatte a Wall Street la guerra tra Washington e Pechino

Una "bomba" già programmata dall'amministrazione Trump è appena esplosa alla borsa di New York: prima vittima il colosso petrolifero cinese CNOOC

Massimo JausbyMassimo Jaus
La calma è la virtù dei soldi: Wall Street ignora Trump asserragliato alla Casa Bianca

La sede del New York Stock Echange a Wall Street, Manhattan (Foto di Terry W. Sanders)

Time: 3 mins read

C’è una guerra in corso tra Stati Uniti e Cina che è poco visibile alle masse. E’ una guerra spietata che con un colpo di penna, come se fosse una bomba atomica, annienta immediatamente l’avversario. L’arma segreta usata dagli Stati Uniti si chiama delisting, ed è stato già attivato nella guerra che stanno combattendo i due giganti dell’economia mondiale.

Ieri al New York Stock Exchange è stato l’ultimo giorno in cui la compagnia cinese  di prospezioni  petrolifere CNOOC ha potuto essere quotata alla Borsa di New York, prima vittima di uno degli ultimi ordini dell’ex presidente Donald Trump. E nel delisting ci sono molte altre aziende di Pechino,

E’ una storia lunga e controversa nella quale con molta ipocrisia le scuse di base da parte degli Stati Uniti sono la mancanza del rispetto dei diritti umani in Cina e i legami tra le aziende cinesi e l’apparato militare di Pechino. Argomenti usati come una clava per espellere le aziende cinesi dai mercati americani o per impedirne l’ingresso.

L’allora presidente Trump com la First Lady in visita in Cina – 8 Novembre 2017 (PAS China)

Da parte della Cina invece c’è l’uso del sistema capitalista negli Stati Uniti e nello stesso tempo il blocco delle aziende occidentali per essere quotate alle borse cinesi, salvo una rara eccezione per alcune aziende inglesi.  La Cina è sempre un Paese comunista e lo Stato ha il controllo del settore privato gestendo totalmente quello pubblico. Gli investitori occidentali hanno trovato un escamotage comprando azioni delle società cinesi versando un fiume di dollari soprattutto in quelle di telecomunicazioni cinesi quotate nella borsa di Shangai, il quarto Stock and Exchange dopo New York, Londra e Parigi, che a quella di Hong Kong. Non ne saranno proprietari, ma il ritorno sugli investimenti fatti è di gran lunga superiore a quello di altri mercati. In Cina gli investitori stranieri devono essere approvati dal governo per poter investire nelle aziende locali e sono circa 500 quelle approvate di cui solo una ventina degli Stati Uniti e quasi tutte nel “Capital Market”.

La NYSE è uno dei centri principali per scambio di azioni al mondo. (Foto: pixabay)

Il delisting imposto da Washington non riguarda solo società sotto il controllo diretto dello Stato. Ci sono anche la Huawei, China Mobile e Hangzhou Hikvision.  Nella stessa lista della CNOOC pure la Xiaomi, il colosso dei cellulari che recentemente ha festeggiato il sorpasso su Apple (diventando il terzo produttore di smartphone al mondo, dopo Samsung e Huawei). E per le aziende nell’elenco del delisting sono scattate alcune restrizioni, tra le quali il divieto – per le società americane – di investire in queste società. Huawei è stata accusata di essere una minaccia alla sicurezza nazionale americana e per questo motivo sono stati bloccati tutti i rapporti  fra l’azienda cinese e le aziende americane. Ma non solo. La Huawai è stata inclusa in una blacklist commerciale che le impedisce l’accesso a software e componenti prodotti negli Stati Uniti. Un pesantissimo colpo per l’azienda cinese, che da due anni continua a produrre i suoi smartphone senza poter contare sulle licenze di Android (soprattutto di Google), e che è alle prese con difficoltà crescenti con molti Paesi per le le infrastrutture 5G. Tra le tante accuse che le sono state mosse dall’amministrazione Trump anche quella di aver sviluppato un sistema di riconoscimento facciale usato contro l’etnia degli uiguri utilizzato dalla polizia cinese.

I leader cinesi ora sperano che con la presidenza di Joe Biden le cose possano cambiare, una cosa difficile se Pechino non allenterà le restrizioni per le aziende americane di investire, ma di sicuro non ci saranno i toni ostili della precedente amministrazione.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. E’ stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Sposato, 4 figli. Studia antropologia della musica alla Adelphi University.

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