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November 7, 2019
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“Quo vadis Italia”? Quando i francesi si preoccupano (ma non troppo) del Bel Paese

Un convegno a Sciences Po di Parigi con Marc Lazar e altri accademici discute della stabilità politica ed economica dell'Italia e del suo futuro in Europa

Lodovico LuciollibyLodovico Luciolli
“Quo vadis Italia”? Quando i francesi si preoccupano (ma non troppo) del Bel Paese
Time: 4 mins read

“Quo vadis Italia”? Se lo chiedono ancora i francesi, sia nel supplemento di settembre di “Le Monde” (in copertina: “Italie de Garibaldi à Salvini”), sia nel “Le Point” del 17 ottobre (in copertina: “Salvini: le grand entretien”), e se lo chiedono uno dei maggiori esperti francesi dell’Italia, Marc Lazar, ed altri accademici di Sciences Po.

Lazar, dopo l’intervista rilasciata a “Le Monde” (“La fierté d’être italien est plus culturelle que politique”), in cui fa una traccia storica dell’Italia soprattutto dal Risorgimento (definendo giustamente apocrifa la frase di D’Azeglio “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”), ha riunito con Paolo Modugno, il 21 ottobre scorso a Sciences Po, altri accademici che si sono concentrati sugli antefatti degli ultimi decenni: in particolare quelli economici a partire dalla creazione della Comunità Europea. (n.d.r. Vedi l’invito all’evento QUI).

Dopo che Sophie Gherardi (del sito “Philonomist”) ha descritto la “maggioranza invisibile” di piccole imprese che fanno da locomotiva al sistema, Céline Antonin, dell’O.F.C.E. (Observatoire Français des Conjonctures Économiques) ha rievocato gli sforzi negli anni 70 e 80 per uscire dall’inflazione, che andava di pari passo con il debito pubblico, e dalle continue svalutazioni della lira quando il Paese doveva rinsavire per entrare nello SME. L’inflazione galoppante e le conseguenti svalutazioni favorivano infatti solo le esportazioni, mentre il potere d’acquisto di tutti si riduceva drasticamente. Da allora si è dunque intrapresa la strada che ha poi portato anche l’Italia nell’Euro, ossia in una moneta che non essendo più governata dal Paese non poteva più essere stampata a dismisura per sostenere in pratica, con la conseguente svalutazione, solo le esportazioni (oltre all’ulteriore aumento del debito pubblico e alla perdita di valore dei risparmi). Da allora non s’è tuttavia trovato il rimedio per la riduzione del debito che è rimasto notevolmente superiore alla media di quelli degli altri Paesi dell’UE. È perciò che questa s’allarma quando le sono presentati i bilanci con i rapporti deficit/PIL al di sopra dei valori prestabiliti.

L’Italia, tuttavia, ha una propensione al risparmio e alla proprietà immobiliare superiore agli altri paesi, e se anche le spese correnti fossero accettate nelle misure attuali in quanto considerate irriducibili non dovrebbe comunque venir meno lo sforzo d’eliminare più efficacemente quelle improduttive. Anche armonizzando, contemporaneamente, di più le risorse tra nord e sud, poiché (come ha osservato Jacques Le Cacheux dell’Università di Pau) il loro divario, ovvero la mancanza di diversi incentivi agli investimenti anche nei settori primordiali (educazione, infrastrutture, ecc.) appare tanto più in contraddizione con il fatto che l’Italia è diventata un contributore netto dell’UE, quanto più il divario stesso contribuisce pure alla fuga all’estero delle nuove generazioni. Divario che, secondo Emanuele Ferragina, dell’”OSC” (Observatoire Sociologique des Changements), ha infine contribuito ai risultati elettorali di malcontento nel sud.

Gli italiani rimangono tuttavia in gran parte quelli del “fai da te”: Tommaso Vitale, del “Centre d’Études Européennes”, ha osservato come anche gli associativismi nel terzo settore si sono moltiplicati negli ultimi due decenni, in alternativa al consolidamento d’una politica comune nelle rispettive attività. D’altronde, anche il numero d’ONG, o di conferenze episcopali o di altre organizzazioni o manifestazioni simili ha messo sempre di più in ombra i dialoghi istituzionali precedenti, compresi quelli sindacali. E così il coordinamento sociale s’è ulteriormente diffuso orizzontalmente anziché verticalmente.

Alla domanda “Quo vadis Italia?” appare dunque difficile rispondere anche a causa dei cambiamenti sociali. La Storia può aiutare solo per gli ultimissimi anni, poiché non solo è sparita la stabilità che derivava dai due blocchi politici in Europa, ma questa è stata sostituita dalla velocità delle correnti dei movimenti sorti in rete: tanto con il M5S, quanto con Macron o recentemente con gli ecologisti alle elezioni europee. Sia secondo Giovanni Orsina della LUISS che secondo Ilvo Diamanti dell’Università d’Urbino è stato allora giudicato prevedibile solo il presente, e solo in base al compromesso tra le vecchie e nuove convinzioni; tra le vecchie: la sensazione d’una metà degli italiani di far sempre parte della classe media; e tra le nuove: la sensazione d’un minor divario tra i partiti di maggior successo elettorale e la realtà quotidiana. Rimangono tuttavia (come ha concluso Lazar), tra i fattori positivi: il funzionamento delle istituzioni (in particolare nelle formazioni dei governi); tra quelli a rischio: la tentazione di controlli sempre più stretti da parte delle autorità governative -tramite le nomine ai vertici- degli organi e delle istituzioni statali indipendenti; e tra quelli incerti: la collocazione dei populisti al Parlamento europeo, per cui la domanda “Quo vadis?” vale lì pure per loro.

 

Questo articolo è apparso anche su Altritaliani.net

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Lodovico Luciolli

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