Periodicamente spuntano sui media e sui social italiani “elaborazioni” o “studi” con tabelle e grafici che vorrebbero dimostrare, calcolando i cosiddetti “residui fiscali”, che la Sicilia riceva ogni anno dal resto d’Italia una cifra compresa tra gli 8 ed i 12 miliardi di Euro. C’è anche chi ci ha scritto libri, pare anche abbastanza fortunati. Queste “elaborazioni” si basano generalmente sui dati forniti dai “conti pubblici territoriali”, i CPT, compilati annualmente dall’agenzia per la coesione territoriale, diretta emanazione della presidenza del consiglio dei ministri.
Purtroppo però, per chissà quale caso, questi “studi” si scordano praticamente sempre di togliere sia dalle entrate che dalle uscite le poste previdenziali. Le poste previdenziali infatti non sono fiscali, sono para-fiscali, quindi ovviamente non ha senso conteggiarle nel calcolo dei residui fiscali tra le varie regioni italiane. Ma c’è di più. Non ha senso non solo perché non sono fiscali, ma anche perché sono sia intergenerazionali che centralizzate. Non esiste un sistema previdenziale lombardo o veneto piuttosto che siciliano, l’assoluta maggioranza dei contribuenti versa i propri contributi a casse nazionali, che gestiscono flussi intergenerazionali che hanno orizzonti di decenni.
Per dare un esempio, immaginiamo il caso di chi abbia lavorato a Milano o a Venezia per buona parte della propria vita lavorativa, ma oggi sia in pensione in Sicilia. Queste “elaborazioni” generalmente contano come trasferimento fiscale quello dei contributi pagati oggi nel resto del paese per pagare le pensione di questo pensionato in Sicilia. Non ha chiaramente alcun senso, proprio perché quello non é un trasferimento fiscale, ma previdenziale, e perché questo pensionato ha pagato i propri contributi ad una cassa statale, non a delle casse regionali, e soprattutto perché questo pensionato ha pagato dei contributi per decenni, pagando le pensioni dei pensionati dell’epoca, per ricevere oggi una pensione, pagati con i contributi degli odierni lavoratori. Non mi stupirei per nulla se le pensioni di chi ha lavorato una vita all’estero per poi magari tornare in Sicilia in pensione non venissero conteggiate da questi “studi” come trasferimenti da un’altra regione italiana, probabilmente Lazio o Lombardia, sedi delle principali casse pensionistiche e dei principali istituti finanziari del paese, verso la Sicilia.

Come si fa nel resto d’Europa, in realtà le spese delle amministrazioni pubbliche andrebbero invece correttamente categorizzate in quattro diverse categorie: centrali, regionali, locali e previdenziali.
Le entrate e le spese regionali e locali si possono facilmente regionalizzare, si può in qualche maniera tentare una regionalizzazione di entrate e spese centrali, ma la regionalizzazione e la contemporanea attualizzazione delle poste previdenziali nello scenario italiano é qualcosa di sostanzialmente inattuabile, almeno con i dati e gli strumenti a nostra corrente disposizione. Includere gli pseudo-trasferimenti previdenziali annuali nei calcoli per i residui fiscali tra le varie regioni é quindi un errore logico marchiano, oppure malafede. Non ci sono altre opzioni. O meglio, c’è l’opzione di chi é in buona fede, e quando usa i CPT per fare il calcolo dei residui fiscali, toglie le poste previdenziali sia dalle entrate che dalle uscite. Il risultato, per la Sicilia, é che ci sono effettivamente dei trasferimenti fiscali in arrivo dal resto del paese, ma non dell’entità propagandata, e sopratutto, sono in costante diminuzione da almeno 3 lustri.
Erano infatti pari ad oltre 5 miliardi di Euro nel 2000, ma già nel 2013 si erano portati al di sotto dei 2 miliardi di Euro, e la tendenza é ad una costante diminuzione, probabilmente imposta dalle politiche di compressione della spesa pubblica e dai tagli ai trasferimenti decisi dagli ultimi governi italiani. La cifra trasferita nel 2013 veniva usata sostanzialmente per finanziare circa la metà delle risorse pubbliche spese in Sicilia per assistenza e beneficenza (inclusi gli assegni sociali). Dato quello che dice l’articolo 53 della costituzione italiana sulla progressività dei tributi e sulla capacità contributiva, e dato che la Sicilia é la regione più povera d’Italia o giù di lì, un trasferimento inferiore ai 2 miliardi di Euro é meno di quanto ci si potrebbe aspettare, perché significa che i Siciliani non solo si pagano da se tutte le loro spese in conto capitale, nessuna esclusa, ma anche quasi tutte le loro spese correnti non previdenziali.
Il fatto che ormai da decenni, come testimoniano i CPT, tutte le regioni italiani debbano necessariamente pagarsi da sé le proprie spese in conto capitale ha un effetto devastante sulle probabilità che un giorno la divergenza in atto tra le aree più sviluppate e meno sviluppate del paese possa invertirsi. Chi analizzasse in buona fede i CPT, troverebbe piuttosto che se in Italia c’è un problema macroscopico, questo non é relativo ai trasferimenti fiscali tra le regioni. La Liguria da sola nel 2013 riusciva a finanziare con il suo surplus il deficit fiscale di tutte le regioni percettrici nette di trasferimenti fiscali, e questo non perché la Liguria subisca un abnorme trasferimento di surplus verso altri lidi, ma perché questi deficit sono complessivamente di piccola entità, a fronte dei numeri in gioco.
Se c’è un problema relativo ai trasferimenti fiscali tra le regioni italiane, é che sono troppo piccoli rispetto a quello che sarebbe probabilmente necessario per mantenere la coesione del paese e provare ad accelerare lo sviluppo delle regioni meno sviluppate per arrivare ad un futura convergenza con quelle più sviluppate, e sono troppo piccoli anche perché prima di trovare le risorse per incrementarli c’è lo stesso problema macroscopico che bisognerebbe iniziare a risolvere, quello riguardante gli squilibri del sistema previdenziale, un problema macroscopico che si osserva piuttosto chiaramente e che ci porta immediatamente ad interrogarci sulla tenuta presente e futura dei conti previdenziali.
La sostenibilità del sistema previdenziale italiano é certamente la sfida principale che il paese deve affrontare oggi e dovrà affrontare ancor di più nei prossimi decenni, e tenuto conto della dinamica della struttura demografica italiana, e della dinamica dei flussi migratori e della sostanziale ostilità di parte dell’opinione pubblica italiana a politiche che tentassero di aggiustare la struttura demografica incentivando un incremento dell’immigrazione, questa diventa probabilmente una sfida di almeno un paio di ordini di grandezza maggiore rispetto a quanto attualmente percepito dall’opinione pubblica italiana.