Conquistare il mondo scoprendo “l’acqua calda”? Sì, se la “scoperta” rende i computer più piccoli e veloci! Ci sta riuscendo il fisico friulano Roberto Siagri con Eurotech, un’azienda di alta tecnologia quotata in borsa, con core business nella progettazione e commercializzazione di piattaforme IoT (Internet of things) e computer ad elevate prestazioni (Hpc) che ha messo a punto un supercalcolatore raffreddato a liquido caldo: Aurora Hive, in grado, per prestazioni di calcolo e per dimensioni, di far eseguire programmi complessi in poco spazio e con consumi ridotti. Tutto ciò per far raggiungere alle auto la guida autonoma cosiddetta di livello cinque.
Le case automobilistiche ormai contano di raggiungere questo obiettivo, ma quanto tempo ancora ci vorrà? E’ solo attraverso un supercalcolatore che le automobili potranno, in un futuro che è alle porte, pilotare in autonomia, senza l’ausilio umano. Oggi il livello di autonomia è di tipo 3: il computer è di aiuto alla guida, ma guida ancora l’umano.
Il metodo di raffreddamento ad acqua calda di Eurotech chiamato ‘Aurora hot liquid cooling’, secondo i comunicati dell’azienda friulana, è uno tra i più avanzati ed è utilizzabile anche in applicazioni mobili: una tecnologia estremamente all’avanguardia che consente, in qualsiasi condizione climatica, il raffreddamento dell’intero sistema, senza bisogno di condizionatori o sistemi di raffreddamento attivi, risparmiando sui costi di gestione, aumentando l’affidabilità. Il tutto in poco spazio, grazie alla elevata capacità di calcolo per unità di volume.
Utilizzando il sistema di raffreddamento ad acqua calda di Eurotech, applicato alla generazione di supercalcolatori Aurora Hive, già oggi quindi, si sarebbe in grado di avere la potenza di calcolo necessaria per rendere ‘intelligente’ un’auto e farla pilotare nel traffico, senza nessun pilota.
“Siamo sempre più vicini, per tecnologia applicata, al risultato finale: un’auto che guida da sola – spiega Roberto Siagri, Ceo e tra i fondatori di Eurotech –. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario un supercalcolatore in grado di generare la potenza di milioni di miliardi di operazioni al secondo. Inoltre, è necessario che lo strumento abbia dimensioni consone alle auto, presenti sul mercato, e costi sopportabili, come fosse un accessorio. Secondo la legge di Moore, il risultato sarà ottenibile intorno al 2025. Eurotech, con Aurora Hive è ancora più vicina al traguardo: è utilizzabile infatti sui prototipi”.
Siagri, friulano di Udine, laurea in Fisica presso l’Università degli Studi di Trieste, nel 1992 partecipa alla fondazione di Eurotech, dove si è occupato delle attività di marketing strategico, marketing operativo e vendita. Dal 2000 si occupa di pianificazione strategica e nuove opportunità di business in qualità di Presidente ed Amministratore Delegato.
È vero quello che si dice, che tra due-tre anni (in stati come la California ad esempio), le macchine si guideranno da sole?
“Tre anni è un po’ ottimistico, ma cinque è un orizzonte realistico, molto dipende dalle legislazioni. Se come dice lei la California si sta adeguando prima di altri stati per consentire questo tipo di utilizzo e si sta impegnando ad approvare le leggi speciali che servono, sì. La cosa interessante è che un’auto che si guida da sola è un super-computer su 4 ruote, quindi la sfida è una in particolare: bisogna mettere la potenza di calcolo di un super-calcolatore dentro l’auto e per farlo bisogna rendere robusto l’oggetto, perché in genere i super-calcolatori miniaturizzati si usano in stanze climatiche speciali, con alimentazione controllata. Mentre in un’auto le temperature possono andare fuori controllo, il terreno si muove in situazioni precarie e non sempre l’alimentazione è precisa”.
In che cosa consiste la vostra tecnologia? Come viene applicata in questo contesto?
“Per inserirla dentro un’auto, bisogna rendere robusta questa tecnologia: nel nostro caso usiamo raffreddamento a liquido caldo, così che non ci sia bisogno di mettere un grande condizionatore dentro l’auto. Altrimenti se già serve un condizionatore per rinfrescare i passeggeri, potete immaginare di che cosa avremmo bisogno se dovessimo rinfrescare anche il super-calcolatore. Il raffreddamento di un supercalcolatore ad acqua calda, allorché in miniatura, svolge un ruolo fondamentale: consente una drastica riduzione delle dimensioni, oltre che il raggiungimento di un ottimale livello di efficienza energetica, portatrice di enormi vantaggi, rispetto ad un più normale e diffuso sistema di raffreddamento ad aria. Infatti, il sistema ad aria si ottiene con l’utilizzo ed il dispendio di energia, con dimensioni fino a l0 volte superiori, insieme ad una densità di circa 10 miliardi di operazioni per centimetro cubo”.

Se dovessimo fare una classifica, voi di Eurotech in che posizione vi trovate su questo mercato?
“Siamo dei pionieri perché nell’ambiente data center è tecnologia che portiamo dietro da una decina d’anni. Fin dagli inizi abbiamo cominciato a seguire la linea della green economy: perché buttar via energia per raffreddare una macchina quando se la disegni in maniera diversa non mi serve buttar via energia per raffreddarla. I data center in questo senso stanno diventando le strutture più energivore del pianeta e l’idea nostra era di avere data center green ma ci siamo accorti che tutto questo interesse sul risparmio energetico non ci fosse, dieci anni fa”.
Oggi invece il risparmio energetico è un tema importante e quindi vi ritrovate con una tecnologia che avete studiato prima degli altri, giusto?
“Sì, e l’avevamo studiata per uno scopo. E abbiamo scoperto invece che ci sono altri settori, come quello delle automobili senza pilota, interessate alla nostra tecnologia, che riesce, al posto dell’ aria, raffreddando ad acqua ad ottenere una compattazione dieci volte maggiore, insomma si può fare tutto più piccolo. Se raffredda a liquido si può tenere tutto impacchettato e il vantaggio è che riusciamo a mettere dentro un’auto la potenza di calcolo che serve per renderla intelligente. Poi con la legge di Moore le dimensioni scenderanno di molto e anche i consumi, ma adesso deve mettere dentro calcolatori come i nostri, per sperimentare.
E i costi?
“Ad oggi sono molto alti, ma infatti stiamo parlando del vantaggio competitivo di poter riuscire a sperimentare. La legge di Moore dice che ogni 2 anni avviene un dimezzamento dei costi a parità di prestazione. Con questa legge di scala nel giro di 6 anni lei ha ridotto di quasi 10 volte il primo. Quindi anche se oggi costa 10 volte di più, chi fa le sperimentazioni sa che può contare su un vantaggio competitivo a lungo termine”.
Oltre ai trasporti, la vostra tecnologia dove si applica in termini di mercato?
“L’altro trend che c’è è che i nuovi sensori saranno telecamere e avere telecamere significa aver bisogno di più pixel: lavorare immagini quindi richiederà potenze di calcolo di nuovo importanti. Ecco quindi che il settore industriale per l’ispezione degli oggetti e per la produzione di oggetti con qualità più elevata avrà bisogno di telecamere, le cui immagini dovranno essere calcolate da un calcolatore. La nostra tecnologia potrebbe essere quindi applicata in un filone di produzione”.
In questa corsa a questa alta tecnologia, l’Italia, a prescindere dalla sua azienda, possiamo dire che non è un caso ad essere tra le prime?
“L’Europa dipende da tecnologia americana o giapponese nei componenti, in termini di hardware. Ma l’Italia è forte in termini di software perché ha tante belle teste. E i computer in silicio, una tecnologia dove America, Giappone e Cina primeggiano, funzionano grazie alle tecnologie europee e in particolare italiane. Il software è ancora creatività: scrivere un pezzo di codice che sia capace di fare una cosa è frutto di creatività e credo sia legato alla nostra tradizione che da sempre ci vede primeggiare in tal senso. Non so però quanto durerà perché gli altri stanno facendo passi da gigante, non credo che il vantaggio competitivo si possa tenere all’infinito. Se non si investe, non si rimane nella Top 10”.
In un’Italia dove tutti lamentano la difficoltà di poter concretizzare il proprio lavoro. Lei che ha costruito un’azienda competitiva nel mondo, se potesse esprimere un desiderio, in termini di legislazione del nostro Paese, quale sarebbe? C’è qualcosa che le impedisce di far meglio?
“Guardi se siamo riusciti a fare delle cose è perché abbiamo fatto delle acquisizioni all’estero, negli Stati Uniti, Giappone e in altri paesi d’Europa. Se fossimo rimasti solo in Italia non ce l’avremmo fatta. Non c’è qui un sogno collettivo e la concezione del realizzarsi nel realizzarsi degli altri. In America c’è la visione che dipende da te, non che dipende dagli altri. In Italia invece c’è la visione che dipende dagli altri e non da te”.
E poi…
“E poi l’aspetto della burocrazia che è terribile. Secondo me oggi la diversità tra common law e civil law sta facendo la differenza dando vantaggio a chi ha la common law. Perché nella common law tu dici quello che non devi fare, nella civil law devi dire quello che devi fare e di conseguenza il nuovo è sempre fuori regola e crea una giungla legislativa. Ieri sembrava civiltà contro la barbarie, oggi in realtà anche se credi di trovarti in un sistema più civile ti trovi paradossalmente in un sistema più ingessato. Mentre quelli che sembravano più “barbari” oggi hanno un sistema più incline al cambiamento. E poi c’è questione dell’investimento nel futuro: l’Italia continua a investire nel passato”.
Secondo lei in Italia oggi ci sono uomini o donne in questa situazione così politica confusa che hanno espresso idee innovative? Lei è ottimista o pessimista?
“Sì, ci sono le idee. Il problema è che tutti questi ottimi profili vengono fagocitati da quello che è l’apparato. È come avere uno stato dentro lo stato. Abbiamo in Parlamento consulenti e personalità straordinarie, ma che poi vengono impantanate dalla burocrazia. Ci vorrebbe uno sforzo di trasformazione, e forse saremo costretti in futuro un giorno a farlo dal mondo. Prima che la Cina ci compri tutti…”.
Voi siete andati contro-tendenza. Mentre le aziende italiane venivano acquistate, voi avete acquistato all’estero invertendo il trend. Ci siete riusciti grazie al vostro settore o crede ci sia stato un errore strategico complessivo nel sistema?
“Il problema è che c’è sempre stato un sistema capitalistico incestuoso in Italia, nel senso che è stato un capitalismo aperto fino alla globalizzazione, quando gli affari si facevano senza andare all’estero. Ma è stato sempre un capitalismo senza l’idea della competizione, tanto è vero che abbiamo più privatizzato che liberalizzato. Nel settore dell’elettronica e computer siamo sempre stati esposti in una situazione non di monopolio, lavoravamo a barriere già cadute nel pianeta e noi lo abbiamo fatto fino all’inizio. Molti negli altri settori hanno pensato fosse troppo rischioso farlo, forti delle rendite di posizione che avevano grazie ai monopoli. Caduti i monopoli si sono resi conto improvvisamente che le rendite di posizione non ci sono più. Pensi alla difficoltà di far partire Uber in Italia: nel momento in cui c’è un vantaggio per il consumatore, in America lo si fa subito, in Italia non si capisce perché non lo si voglia fare. Per cui ci sono state tante rendite di posizione che hanno fatto comodo a tanti, tutto un sistema che non ha agito nell’ottica dell’espansione. Noi invece nel nostro settore sapevamo di non avere alternativa”.
Una sorta di applicazione del modello americano, ma in Italia…

“Esattamente, abbiamo cercato di pensare all’americana ma in Italia, seppur con i dovuti correttivi”.
Oggi però anche l’America sembra abbia paura di se stessa e si stia chiudendo, dopo le ultime vicissitudini politiche e l’elezione di Donald Trump. Crede sia un aspetto temporaneo o è preoccupato?
“La macchina americana è troppo potente perché un presidente da solo la possa fermare. Credo sia temporaneo, non si può andare contro il futuro e serve una globalizzazione ancora più spinta. È chiaro che all’inizio la globalizzazione è stata nei suoi primi passi un po’ sregolata, ma avere una visione globale è importante e non ci sono alternative. Vedo che il proteggersi non ha mai pagato: nessun muro, costruito in passato, ha resistito dalla valle di Adriano alla muraglia cinese al muro di Berlino. Il muro è una paura transitoria verso il nuovo che avanza che non siamo in grado di interpretare. Anche perché oggi negli USA a me non sembra sia cambiato un granché, nella quotidianità. Sono più proclami fatti per la massa”.
E invece a chi parla di un Grande Fratello horwelliano, a chi teme che le intelligenze artificiali in mano a grandi governi possano diventare dannosi per l’essere umano, che cosa dice? Si sta preoccupando di questo aspetto dal punto di vista etico e morale? Teme che la robotica e la tecnologia possa finire per rimpiazzarci?
“Me lo pongo, certo. Ho in realtà abbastanza fiducia nell’umano, che sia meglio di quello che pensiamo. Anzi credo che il rischio sia opposto: se continuiamo a nascondere certe tecnologie e a far sì che siano in mano solo a pochi, le conseguenze potrebbero essere spiacevoli. Io sono per la massiva democratizzazione delle tecnologie, perché se tutti siamo coscienti sappiamo come reagire. Se invece le blocchiamo, rischiamo che qualcuno in un laboratorio le porti avanti da solo e rischi di diventare un pericolo. Io sono per il controllo e per l’etica gestionale sui tempi e sui modi, ma non per il blocco della ricerca: il reale rischio è che rimanga in poche mani, perché se invece è di tutti, tutti siamo in grado di gestirla”.