Una cosa di cui sono profondamente convinto, e su cui sto iniziando a lavorare a livello scientifico, è che siamo entrando in una fase epocale di rovesciamento del gap di genere tra uomini e donne, le cui conseguenze economiche e sociali saranno notevoli. Basta dare un’occhiata alla composizione delle aule universitarie per rendersene conto: le donne sono ormai la maggioranza, e in molti casi lo sono in modo schiacciante. Ma non è soltanto una questione numerica: anche il rendimento sembra riflettere la stessa tendenza. E la differenza non si nota tanto sulle punte qualitative, ma sulla media. Mentre infatti continuano ad esserci molti studenti maschi bravi, è il livello medio degli studenti maschi a perdere sempre più visibilmente terreno rispetto a quello delle loro colleghe femmine. Non possiamo ancora contare su una solida base statistica, e queste mie osservazioni sono quindi in gran parte basate sull’esperienza personale in tante aule universitarie in giro per il mondo, ma credo che quando disporremo dei dati queste tendenze appariranno con grande chiarezza, come suggeriscono le prime evidenze sul tema.
Eppure, guardandosi in giro, sembrerebbe esserci una solida prova del contrario. Sono di questi giorni le polemiche attorno al panel di apertura della Biennale di Architettura di Venezia, interamente composto da uomini (per di più, tutti bianchi e over 50), o la battaglia di Robin Wright per ottenere la stessa paga del co-protagonista maschio di House of Cards, Kevin Spacey, solo per limitarci a qualche esempio tra gli infiniti che potrebbero essere portati. E il pensiero convenzionale sembra riflettere questi segnali. Recentemente, parlando con un brillante collega (maschio) che peraltro studia proprio, tra le altre cose, le dinamiche socio-economiche della discriminazione di genere, mi è capitato di sentirmi obiettare alla tesi su esposta con la seguente argomentazione: le ricerche più recenti mostrano che le donne hanno meno propensione alla leadership degli uomini. La mia risposta è stata questa: ma con il livello di intimidazione sociale e con il relativo corredo di stereotipi di genere che le donne hanno sempre dovuto subire e continuano a subire non appena si avvicinano a posizioni di prestigio o di responsabilità, ciò che dovrebbe sorprendere è proprio il fatto che ciononostante siano in grado di esprimere livelli significativi di leadership, piuttosto che confrontare la loro assertività con quella dei colleghi maschi. E sarei davvero curioso di vedere cosa resterebbe della leadership di tanti maschi se questi ultimi dovessero trovarsi sistematicamente esposti ai segnali sociali che punteggiano la vita delle loro colleghe donne.
Tutte le evidenze che sembrano negare la tendenza in atto sono in realtà segnali, piuttosto significativi, di resistenza, che sono destinati a loro volta a venire meno quando la disparità che vediamo ora manifestarsi nelle aule scolastiche per le nuove coorti generazionali si sposterà negli ambienti di lavoro e, in ultimo ma inevitabilmente, anche nella politica. E a quel punto sarà interessante vedere come faranno gli uomini, abituati per millenni a fare uso di modelli di autorità convalidati essenzialmente dalla loro identità di genere, a conquistarsi una propria autorevolezza in un contesto di interazione di genere paritaria. Ma quando tutto questo accadrà, ci sarà poco da festeggiare, anche per le donne, che già oggi fanno una fatica crescente a costruire progetti familiari a lungo termine per la ormai notoria difficoltà a trovare uomini che siano disposti ad impegnarsi . Ancora una volta, non ha senso ragionare per singoli esempi (potremo sempre, naturalmente, trovare casi eclatanti in contro-tendenza), ma per dinamiche di popolazione: e questi sono cambiamenti non soltanto difficili da riconoscere, comprendere e interpretare, ma ancora di più da gestire a livello di politiche sociali ed economiche. Meglio saperlo, meglio muoversi in tempo, piuttosto che trincerarsi dietro certezze apparenti e momentaneamente rassicuranti.
Per cui, non fermiamoci alla superficie, ma chiediamoci cosa sta accadendo, e perché. Le necessità di quote di genere, rosa o azzurre che siano, non sono mai un segnale positivo, perché riflettono dei limiti della capacità di regolazione delle nostre società. La differenza di genere è una risorsa preziosa, con una precisa e importante giustificazione evolutiva. Impariamo ad utilizzarla al meglio, per costruire una società inclusiva, equa, responsabile.