Ci voleva il Giubileo dell’industria per ricordare agli imprenditori che la funzione dell’etica non è solo una geniale opera di marketing e comunicazione ma una scelta morale. Se agli inizi degli anni ‘70 Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, scriveva che il vero dovere sociale dell’impresa è quello di ottenere i più elevati profitti producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile, nessuno si sarebbe mai sognato che oggi all’impresa si chiede invece maggiore attenzione ai valori morali di equità, lealtà e affidabilità.
Per parlare di etica d’impresa è utile partire da Kant. Il filosofo sosteneva che tanto maggiori sono i guadagni, tanto maggiori sono i doveri verso la collettività, che la nostra vita sarebbe diversa se ogni nostra azione fosse ispirata al bene comune e al senso profondo della legalità. Eppure, premesso che tutti possono sbagliare, gli imprenditori e le imprese non brillano per comportamenti etici. Il caso più recente e clamoroso è quello della Volkswagen, accusata di aver truccato i dati delle emissioni dei gas di scarico di milioni di autoveicoli. Ma come è possibile che un inganno di questa portata sia avvenuto sotto gli occhi di tutti? Nel 2003 l’autorevole studioso Henry Mintzberg aveva definito le imprese come istituzioni sociali. “Se esse non svolgono attività utili alla comunità, esse non hanno diritto di esistere”. Questo vuol dire che l’azienda automobilistica tedesca avrebbe dovuto chiudere i battenti da tempo. E invece è ancora lì che continua a far guadagnare il suo titolo in borsa mentre si prepara a lanciare il primo modello di auto elettrica della sua scuderia. Ma si sa, il mondo dell’auto e quello degli affari hanno la memoria corta. E, allo stesso modo, nonostante gli scandali finanziari degli ultimi anni, a certe banche è ancora consentito perseverare in comportamenti scorretti.
Con la finanziarizzazione economica avviata negli anni ’80 dalla deregolamentazione dei mercati finanziari, è entrata in crisi l’equazione fordista che associava lo sviluppo dell’impresa alla crescita del benessere. Oggi certi imprenditori sono più interessati alla diffusione di quella concezione del controllo d’impresa solitamente indicata come shareholder value maximization.
La responsabilità è dell’uomo e della sua avidità”, dice il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura durante un convegno dal titolo, Fare insieme: etica e impresa nella società connessa e globale, un seminario che Confindustria ha organizzato a fine febbraio per riflettere su come le imprese possano contribuire a creare una società più giusta e vicina ai bisogni dell’uomo. Lo stesso “uomo” che secondo Ravasi si distrugge con la politica senza principi, con la ricchezza senza lavoro e con gli affari senza morale. Rispetto al PIL del pianeta, ha detto Ravasi, la finanziarizzazione è 10 volte tanto, una marea in cui tutto è artificioso.
È il predominio della finanzia sull’economia. La vicenda delle quattro banche italiane salvate dal governo ci fa capire che il codice etico gli imprenditori se lo sono dimenticato da tempo. “A farne le spese sono state persone che riponevano la loro fiducia in altre persone che incontravano ogni giorno dietro lo sportello e che con un sorriso falso hanno portato sul lastrico famiglie e pensionati”, ha affermato Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, la fondazione più grande d’Italia.
Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, intervenendo al convegno lancia il suo j’accuse al mondo delle imprese. “Ciò che ci colpisce di più oggi è il degrado morale che sembra infilarsi capillarmente nella nostra società”, commenta sconsolato. Non può non venire il dubbio che ci sia dietro un tentativo di Squinzi di recuperare credibilità dopo che il caso del presidente di Confindustria in Sicilia, Antonello Montante, indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso in associazione mafiosa, ha gettato un’ombra sinistra sul mondo degli affari italiano. Non resta che chiedere la benedizione del Papa. “Serve una scossa contro il degrado morale della nostra società. Ed è per questo che abbiamo chiesto udienza al Santo Padre”, ha infatti concluso Squinzi.
A dire il vero, sono mesi che Papa Francesco invoca un ritorno dell’impresa a comportamenti più etici. Ma l’occasione è arrivata solo sabato 27 febbraio durante un’udienza storica, la prima in 106 anni dalla nascita di Confindustria. È stato particolarmente provocatorio il Papa nei confronti dei settemila imprenditori riuniti in Vaticano per ascoltare Bergoglio dispensare consigli su come contribuire a creare una società più inclusiva nei confronti di soggetti spesso dimenticati o trascurati. Sapeva bene il Papa che tra alcuni esempi virtuosi, c’è una buona parte del mondo imprenditoriale che non sa che farsene dell’idea imprenditoriale di Enrico Mattei: mettere la comunità al primo posto. Nell’incontro con il Papa agli imprenditori è stata offerta l’opportunità di “rifiutare le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi. Di evitare che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno”.
E sono altrettanti mesi che il Papa denuncia l’indifferenza del mondo nei confronti dei migranti, molti dei quali sono spinti a lasciare il proprio paese proprio per via di situazioni economiche catastrofiche. Il dramma di miglia di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, fame e povertà che “dovrebbe trovare risposta in un’unica parola, ovvero accoglienza”, dice Bergoglio. Che non ha risparmiato parole dure nei confronti di Donald Trump, il candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che ha da poco dichiarato di voler costruire 2.500 chilometri di muro lungo la frontiera e deportare 10 milioni di immigrati. “Una persona che pensa di fare i muri, chiunque sia, e non fare ponti, non è cristiano. Questo non è nel Vangelo”, ha detto Bergoglio. La risposta di Donald Trump non si è fatta attendere: il Papa fa politica. A dare man forte a Papa Francesco, ci pensa il cardinale Antonio Maria Veglio. “Non si possono costruire muri poiché non è questo quello che la Chiesa vuole”, ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per i migranti. “Nel mondo vi sono 232 milioni di migranti interni, quindi, è migrante quasi una persona su dieci. Ognuno ha il diritto a emigrare, ma c’è anche il diritto a non emigrare, a rimanere in Patria: e per chi è costretto a farlo per fuggire da guerre e sfruttamenti, è necessario aprire un panorama di accoglienza e integrazione”.
Ma di fronte a queste ansie globali, a volte, non sarebbe sufficiente un cambiamento di prospettiva per vedere la luce? E se fosse sufficiente liberarsi dalla tirannia del PIL? È Raul Cavalli, presidente della Fondazione Easy Care, a proporre di trovare un nuovo indice per calcolare il benessere delle nazioni, in grado di tener conto di ciò che vale veramente. “Perché non ci chiediamo come mai il PIL va alle stelle quando aumentano tassi di criminalità, inquinamento, guerre e malattie?”. Ce n’è abbastanza da far riflettere.