Ci sono papillon vintage, creazione di un ragazzo agrigentino, che hanno spopolato in Australia diventando prodotti di successo; una sedia in cartone totalmente riciclato, progetto di alcuni giovani designer, che ha risollevato l’attività di uno scatolificio palermitano; e poi ancora un centro culturale, che ospita spazi di architettura e gallerie d’arte contemporanea, alberghi all’avanguardia e spazi sociali per attività ricreative nel cuore di Favara, in un quartiere un tempo pieno di case decadenti, oggi meta di visitatori e artisti da tutto il mondo. Non sono che alcune delle storie raccolte negli ultimi anni da Alessandro Cacciato, conduttore del format video e radiofonico Edicola dell’Innovazione, nonché autore del libro Il Sud Vola – Viaggio tra Start Up e giovani innovatori. E la pubblica amministrazione?.
Nato al Nord, ma dal 1994 trapiantato al Sud, Alessandro Cacciato lavora per la Pro.gest, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Agrigento che si occupa di promozione per l’impresa. Il suo è un percorso a ritroso, che trova la sua ragion d’essere nel racconto e nella valorizzazione dell’imprenditoria giovanile del Meridione, sempre più protagonista di un’innovazione che si realizza a colpi di condivisioni sui social e contributi via web, ma anche attraverso l’incontro del digitale con gli antichi saperi. Dall’agricoltura al design, dalla moda al turismo, sono tanti i settori nei quali investire senza esser più costretti a fare le valigie, come Alessandro spiega nei suoi interventi in giro per l’Italia. La Voce lo ha raggiunto durante la promozione del suo libro.
Alessandro, sei d’accordo nel ritenere che il successo di molte delle storie che racconti sia dovuto alla capacità di raccontare in maniera originale l’italian style, oltre che a una fondamentale componente innovativa? E quali sono, secondo te, le potenzialità del “marchio Sicilia” a livello internazionale?
“Sì, senza dubbio. Vi sono realtà che hanno a che fare con moda e turismo e che conservano un forte legame col territorio, come Farm Cultural Park, centro culturale e turistico di nuova generazione, creato a Favara da Andrea Bartoli e dalla moglie Florinda Saieva. Fattore comune a tutte le storie è l’utilizzo del web: la bravura sta nel trovare i canali giusti e nel creare una rete tra persone con varie esperienze. Farm, ad esempio, è un luogo aperto alle migliori menti del territorio e al proprio interno raccoglie gente da tutto il mondo e nuovi modi di vivere e pensare, servendosi dell’apporto di internet e delle università. Ma esistono anche esempi commerciali, come Codex, legatoria artigianale che offre articoli rilegati interamente a mano, o Scocca Papillon, nata dalla passione per la moda di un ragazzo, che ha coinvolto la madre sarta nella produzione di originali papillon: piccolissime realtà artigianali che richiamano il made in Italy o il vintage e che riescono, attraverso una buona comunicazione, a sfruttare l’italian style e a posizionarsi a livello internazionale. La Sicilia raccontata è tantissima, grazie alla rete che permette di generare reddito pur rimanendo a casa propria”.

Nei tuoi interventi e nel tuo libro parli di creazione di ecosistemi, di realtà di co-working, di condivisione di competenze complementari. Che familiarità ha il Sud con questi concetti? E quali sono nel Meridione le possibilità per un giovane con un’idea brillante di ottenere aiuto per svilupparla in un progetto più articolato?
“Innanzitutto, assistiamo a una rottura rispetto alle dinamiche alle quali siamo stati abituati fino a oggi al Sud: fino a dieci, quindici anni fa, se un giovane aveva un’idea, la propria iniziativa veniva mortificata dalla classe dirigente, ma anche dalla famiglia, che spingeva affinché si laureasse in giurisprudenza o architettura. Se ti affacciavi all’amministrazione pubblica e alla politica, ti rimandavano a un domani che non arrivava mai e alimentavano il clientelismo, di cui soffre ancora il Meridione. Per conoscere altre realtà dovevi muoverti, ma non c’erano i voli low-cost o una connessione internet così veloce. Oggi, invece, siamo di fronte a una quarta rivoluzione industriale, nella quale l’analogico dialoga col digitale ed è possibile produrre un prototipo da proporre a un grande imprenditore. Per rendere un’idea più strutturata si può poi accedere a realtà come i co-working, ambienti di condivisione di lavoro ed esperienze, o i fab-lab [officine che offrono servizi personalizzati di fabbricazione digitale, nda], attraverso cui rendere economicamente sensato un progetto. Non occorre più vivere nel Nord-Est, come negli anni Novanta, o recarsi a Milano: io racconto realtà che riescono a dialogare con Samsung e con altri importanti player del mondo economico, direttamente dal Sud. Il modello da seguire è quello delle famose call-for-ideas delle aziende private, che non fanno altro che chiedere e cogliere a piene mani le idee dal basso. I nostri giovani stanno riuscendo a farsi strada in tal senso”.
Quali sono gli strumenti più utili che forniscono la rete e i social network nel dare eco e sostanza a un’idea innovativa?
“La possibilità di commercializzare online e di produrre nella propria terra, utilizzando i social network per pubblicizzare il proprio prodotto su piattaforme come Facebook e YouTube, consente di avere una piazza potenziale di milioni di persone. Una differenza notevole rispetto a vent’anni fa, quando per farsi pubblicità bisognava andare in televisione, disporre di soldi da investire o avere dei finanziatori. Il crowfunding online è poi un altro degli strumenti che possono aiutare a realizzare concretamente un’idea”.
Tu definisci quella in atto la quarta rivoluzione industriale, ovvero l’analogico che incontra il digitale. Ma come ci si pone rispetto al ritardo tecnologico di molti imprenditori di vecchia generazione presenti sul territorio? Come dialogano il vecchio e il nuovo?
“Oggi alle aziende si offre una grande opportunità per ammodernare i loro processi produttivi. Porto l’esempio del D/storto Design Project [collettivo formato da designer per ricercare processi innovativi presso le maestranze locali e valorizzarle a livello internazionale, nda]. Un gruppo di ragazzi che, tra le altre cose, ha progettato la Frank Chair: uno scatolificio stava subendo la crisi, ma tramite una piccola modifica dei macchinari già esistenti ha potuto produrre una sedia pieghevole di cartone, con una tenuta fino a 160 chili, realizzata in materiale al 100% riciclato e riciclabile a sua volta. Oggi passato e futuro possono dialogare e gli antichi saperi tornare sotto le luci della ribalta, con progetti sensati anche dal punto di vista sociale. Basti pensare ai tanti pensionati “fuori gioco”: se andassimo nei circoli dove si riuniscono o per le piazze principali dei piccoli centri e mettessimo assieme il loro sapere con quello dei ragazzi che sono a loro agio col digitale, potrebbe venir fuori una bella alchimia. Gli antichi saperi si legano anche alle antiche tradizioni siciliane: in ogni piccolo paese c’è un prodotto tipico, dall’enogastronomia all’artigianato – dalle ceramiche di Caltagirone al tappeto ericino – tante piccole realtà che bisogna riprendere adesso, se non si vuole vadano perse insieme ai tanti artigiani che negli anni scompariranno”.

Controparte, per chi si affaccia per la prima volta al mondo delle imprese, sono la politica e la pubblica amministrazione, peraltro citata nel titolo del tuo libro. Qual è il loro ruolo nello sviluppo dell’imprenditoria giovanile al Sud e il loro approccio nei confronti delle nuove dinamiche generate dal web?
“Nel libro cito la pubblica amministrazione, ma non lo faccio per puntare il dito contro o per criticare, il mio è un invito a passare dalla protesta alla proposta. Esiste una politica che tenta di svecchiare la propria immagine, ma che non sfrutta le chance che le si presentano, e poi ci sono degli amministratori “illuminati”, che iniziano a capire come il vento sia cambiato e come il mondo di cui parliamo sia assolutamente meritocratico, poiché quando ci si affaccia al mercato, non lo si può fare con il raccomandato di turno o con i semplici progetti, bisogna essere concreti. Alcuni piccoli comuni dell’entroterra siciliano cominciano a ragionare su questi parametri ed è necessario chiamarli all’azione. Ad esempio, molti di loro sono detentori di tanti edifici che cadono a pezzi o che versano in condizioni di degrado, con un costo in termini monetario e sociale che ricade sulla collettività: se il pubblico apre questi luoghi alle migliori menti del territorio, dotandoli di linea wi-fi e cogliendo a man bassa (al pari delle grandi aziende) dalle idee della gente, diventa attore protagonista di questa nuova era. Da Ribera a Villalba, da Partanna a Grammichele fino a Enna, sono diversi i centri dove stanno nascendo aree di co-working, ma si è soltanto all’inizio e bisognerà fare delle verifiche quando le buone prassi saranno incanalate nel modo giusto”.
Qual è lo scatto in più da fare affinché le storie proposte, molte in fase embrionale, possano consolidarsi? E quali i settori più promettenti su cui puntare per rimanere al Sud?
“Bisogna mettere i giovani nelle condizioni di generare reddito, altrimenti questa effervescenza di idee serve a poco: aprirsi alle nuove generazioni di imprenditori significa permettere loro di vendere i prodotti. Se invece rimarremo soltanto nell’ambito associazionistico, le menti più brillanti finiranno per andarsene. Le persone dietro le storie che racconto ce l’hanno fatta da sole, spesso senza l’aiuto del pubblico, sebbene qualcuna sia riuscita anche a sfruttare quei fondi europei che finiscono spesso nella mala politica. In realtà, dopo essere rientrato da un tour che ha toccato Varese, Torino, Milano e Bergamo, posso dire che anche lì i fab-lab sono allo stato embrionale, i ragazzi si auto-organizzano allo stesso modo e apprendono tutto dal web, al Nord come al Sud. Quando i protagonisti erano il pubblico e i grandi imprenditori che facevano i loro interessi, si doveva passare dall’anticamera del politico o dall’ufficio del dirigente, oggi il web democratizza tutti i processi. Per questo motivo dico che il Sud vola, perché ormai le ali sono a disposizione di tutti. Tra i vari settori in cui investire vi è sicuramente l’agricoltura, uno degli asset principali dell’economia siciliana, un’attività che produce anche tanti scarti. Un ente statale virtuoso come il CNR (Consiglio Nazionale della Ricerca) ci dice che dalle pale dei fichi d’india possono essere ottenuti pannelli isolanti termici per l’edilizia; dalle arance si ricavano sostanze, come la pectina e il limonene, utilizzate nell’industria alimentare e farmaceutica, e addirittura un tessuto sostenibile e cosmetico, come nel caso delle ragazze che hanno dato vita al progetto di Orange Fiber. Le università dovrebbero sfruttare il “petrolio” del nostro territorio, generando figure professionali che utilizzino la materia prima già disponibile per generare ricchezza, far nascere nuove aziende o fare ripartire quelle già esistenti. Perché guardare ancora ad architetti e avvocati?”.