Il terzo nostro intervento sulla relazione dello stato dell'economia siciliana, approntata dal governo regionale e sottoscritta dal presidente, Rosario Crocetta, e dall'assessore all'Economia, Alessandro Baccei, riguarda la condizione del sistema industriale siciliano, sia nel 2014, sia nel settennio della crisi globale e con qualche riferimento alle esperienze produttive di qualche tempo addietro.
Nella parte finale dello scorso anno l'economia nazionale ha mostrato qualche segno di ripresa, proseguita nei primi mesi dell'anno in corso, attraverso accenni alla ripresa degli investimenti e dei consumi. In Sicilia questi segnali non si sono avvertiti e permangono, invece, segnali di crisi. Tanto che le stime sul valore aggiunto a fine anno fanno segnare un calo di -3,8 punti in termini reali: un abisso rispetto all'indice nazionale dell'1,1 per cento. Quasi cinque punti di scarto. Sempre in termini reali, la produzione industriale, nel 2014, è crollata in tutte le province e, specialmente, a Palermo, Enna, Agrigento e Trapani dove la flessione è stata rispettivamente in termini percentuali del 23.3, del 13,9, del 24,1 e del 10,8 rispetto alla media regionale. Le province dove il valore aggiunto ha fatto segnare una sostanziale tenuta e qualche punto superiore alla media sono state Siracusa, Caltanissetta, Ragusa e Messina. Tenuta ed incremento dovuti alla presenza in quei territori di impianti industriali ad alto valore aggiunto, quali sono quelli petroliferi.
Il prolungato periodo recessivo ha fortemente indebolito il tessuto produttivo industriale siciliano, il quale, secondo l'anagrafe delle Camere di Commercio, nel 2014 risulta composto da 34.725 imprese, delle quali attive 30.160, ripartite in 28.272 in campo manifatturiero – che rappresenta il 94 per cento dell'industria siciliana in senso stretto – 400 imprese estrattive e 1488 operanti nei servizi di fornitura di acqua, gas ed energia elettrica. Fra queste non sono considerate le imprese del comparto delle costruzioni.
Le imprese artigiane siciliane – la cui consistenza rappresenta circa il 66 per cento del totale delle imprese industriali – alla fine del 2014 si erano ridotte a circa 20 mila unità. Questo dato da solo testimonia il degrado che ha caratterizzato l'ultimo trentennio della politica economica siciliana e la desertificazione del suo apparato produttivo. Alla fine degli anni ‘90 le imprese artigiane in Sicilia erano quasi 90 mila. In 25 anni hanno perso oltre l'80 per cento della loro consistenza numerica.
Le ragioni che hanno determinato questo vistoso calo dell'artigianato sono tante. Alcune le possiamo accennare in questa sede e sono sopratutto dovute al ricambio generazionale. I giovani hanno preferito professioni più rispondenti al loro grado di acculturazione ed in questo ha concorso molto la politica clientelare attraverso l'impiego pubblico senza concorso instauratosi ormai solidamente nella nostra regione, dove lo stipendio è sicuro e la fatica fisica ed intellettuale è minore. A questo scenario si aggiunge la crisi produttiva del sistema Italia che ha tolto grande parte del mercato alle imprese artigiane che lavoravano per conto terzi, nonché il fenomeno delle delocalizzazioni e l'impoverimento generale del mercato dei consumi di lusso, quali sono considerati i beni prodotti dalle imprese artigiane. In compenso, alla riduzione del numero di imprese artigiane ha corrisposto l'aumento del numero delle associazioni di rappresentanza della categoria. Come indice di sviluppo non è niente male. Per la semplice ragione che organizzazioni delle categorie economiche in Sicilia sino a poco tempo addietro erano scritte al libro paga del bilancio della Regione siciliana, da qui la proliferazione delle sigle della rappresentanza.
All'interno del comparto manifatturiero che vede ridursi del 2,7 per cento il numero delle imprese attive, si segnala l'andamento produttivo delle imprese dell'alimentare (+1,7%) e del comparto delle riparazioni e manutenzione macchine (+1,9%). Una flessione del 14,9 per cento si registra nel 2014 nel volume delle esportazioni, il cui crollo è stato determinato dalla crisi della raffinazione petrolifera, i cui prezzi hanno fatto segnare un crollo del 15,2 per cento. Anche i tre pilastri del nostro export tradizionale, e cioè i prodotti da raffinazione petrolifera, quelli chimici e quelli alimentari hanno fatto registrare un andamento negativo.
(I numeri sul crollo delle esportazioni petrolifere li potete leggere qui).
(I numeri della crisi dell'agricoltura li potete leggere qui).
Segnaliamo anche il calo del 24,2 per cento delle esportazioni dei prodotti chimici e la flessione del 18,2 per cento dei prodotti elettronici. A questi si aggiunge la caduta vistosa del settore farmaceutico (-51%), mentre la lavorazione dei minerali non metalliferi registra un -5,5%. In calo anche la produzione di bevande (-4,4%).
Fine III parte/ continua